L’Unione Europea ha un nuovo responsabile della politica estera: questo è il motivo per cui deve resistere alle pressioni che vorrebbero rafforzare ulteriormente le relazioni dell’Europa con Israele
Haaretz, 5 dicembre 2019
Quando Federica Mogherini entrò in carica come Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea nel novembre 2014, dichiarò che la soluzione dei due stati poteva essere raggiunta entro il termine dei suoi cinque anni.
Al momento che il suo successore, il ministro degli esteri spagnolo Joseph Borrell, prende il suo posto, non ci sono stati progressi. Invece Israele ha rafforzato la sua morsa sopra i territori palestinesi, la leadership palestinese è debole e divisa, e l’Europa continua ad emettere condanne senza conseguenze.
Da decenni Israele sta di fatto annettendo la Cisgiordania, incoraggiando gli Ebrei di Israele e della diaspora a trasferirsi negli insediamenti. Ciò è illegale per la legge internazionale. Gli insediamenti sono predisposti per frammentare quello che rimane del controllo palestinese sul territorio, in modo da prevenire la creazione di un reale stato palestinese.
La costruzione degli insediamenti è aumentata sotto il controllo della Mogherini e Israele ha cominciato uno strisciante processo di annessione de jure, per cui la Knesset approva leggi da applicare alla Cisgiordania occupata, estendendo la sovranità del Parlamento all’interno dei territori occupati.
Netanyahu ha anche minacciato parecchie volte di annettere totalmente parti della Cisgiordania, Comunque, non ha molti motivi per passare da un’annessione strisciante ad una a tutto gas. Una annessione senza garantire la cittadinanza ai Palestinesi creerebbe un contenzioso legale ed una popolazione diseguale in termini di diritti civili. Ciò comporterebbe un’indesiderata costernazione internazionale, persino tra i tradizionali alleati di Israele.
Israele ha anche continuato il suo blocco sulla striscia di Gaza in risposta alla minaccia posta da Hamas. Agli abitanti di Gaza viene negato quotidianamente e illegalmente l’accesso all’elettricità, all’acqua pulita, ai materiali da costruzione e alle cure mediche. La brutale repressione delle proteste nella striscia di Gaza ha probabilmente violato anche la legge internazionale.
In risposta alle azioni israeliane, l’Unione Europea ha prodotto soltanto retoriche e inconsistenti condanne, senza conseguenze pratiche. Perché?
La Mogherini si è trovata di fronte a un contesto difficile. Al di là dell’Atlantico, il Presidente Donald Trump ha smontato decenni di politica americana, offrendo sostegno incondizionato per Israele, mentre aumentava la pressione sui Palestinesi. L’amministrazione ha iniziato uno scivoloso distacco dal consenso internazionale, evitando la formula “soluzione dei due stati,” esprimendo dubbi sull’idea di uno stato palestinese, e mettendo persino in discussione che gli insediamenti siano illegali.
A casa loro, gli stati europei si sono progressivamente divisi riguardo a Israele e Palestina. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha portato avanti un’efficace politica ”divide et impera,” rafforzando propensioni illiberali e nativiste, condivise con i governi dell’Europa centrale e orientale, mentre ignorava le loro tendenze antisemite, e guadagnava sostegno sul desiderio di Grecia e Cipro per una più forte cooperazione energetica con Israele. La politica estera europea, che si decide all’unanimità, è paralizzata e con scarsa propensione verso le sanzioni.
Consapevole delle minacce all’idea dei due stati, la Mogherini ha dedicato le sue energie a salvaguardarla. È riuscita ad impedire che gli stati membri divergessero radicalmente dalle posizioni concordate e ha continuato ad esprimere appoggio alla legge internazionale. Ha rilasciato dichiarazioni di risposta alle deleterie decisioni Usa: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, l’ambasciata portata a Gerusalemme e il riconoscimento delle Alture del Golan.
Ma i limiti di coesione dell’Unione Europea si sono rivelati al consiglio di sicurezza dell’ONU, quando Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Romania nel dicembre 2017 si sono astenute dal voto sullo stato di Gerusalemme. Il sostegno della Mogherini può aver tenuto in vita la soluzione dei due stati a livello di retorica, ma sul terreno Israele l’ha calpestata, e l’Europa è rimasta a guardare.
Mogherini ha usato una diplomazia assai morbida, trascurando uno strumento più forte: la politica europea della “differenziazione” tra il vero e proprio Israele e i territori occupati dopo il 1967, una politica che esclude gli insediamenti dai vantaggi delle relazioni bilaterali tra Europa e Israele. Le misure della differenziazione includono l’etichettatura dell’origine dei prodotti, per impedire che alcuni insediamenti partecipino ai programmi di ricerca europei, garantendo che i beni prodotti negli insediamenti non ottengano trattamenti preferenziali.
La differenziazione protegge l’integrità del sistema legale europeo garantendo che gli insediamenti, che sono illegali per la legge internazionale, non siano trattati come se fossero parte di Israele. E ciò fa crescere il costo che Israele paga per conservare gli insediamenti, scoraggiandolo dal perseguire quella politica.
Ma la messa in opera della differenziazione è molto discontinua sia al livello dell’Europa che degli stati membri: la Mogherini avrebbe dovuto dare un più forte supporto a questa politica.
L’Europa tende ad esagerare la sua impotenza nel conflitto tra Israele e Palestina, citando la necessità dell’unanimità nelle sue decisioni. Ma Borrell, il capo della politica estera subentrante, non dovrebbe limitare i suoi obiettivi alla retorica difesa della soluzione dei due stati, come ha fatto la Mogherini.
Qualcuno sostiene che un dialogo duro da parte dell’Europa porta solo a una frattura tra Europa e Israele, e non produce un cambio nella politica di Gerusalemme. Ma questo avviene perché la condanna dell’Europa è stata raramente accompagnata da conseguenze pratiche. Quando l’Europa ha imposto delle conseguenze, invece, Israele si è adeguata.
Nel 2014, l’Europa ha escluso i progetti intrapresi da Israele nei territori occupati dal suo programma di ricerca e innovazione, Orizzonte 2020. Quando il governo di Israele ha minacciato di ritirarsi dal programma, si è scontrato con una protesta da parte della comunità della ricerca israeliana e del pubblico, che hanno riconosciuto il “prezzo da pagare” per le politiche del proprio governo. Sotto pressione, Netanyahu ha ceduto e ha firmato. Nel 2017 Netanyahu ha ceduto ancora quando ha firmato con l’Europa un accordo economico di molti milioni di euro che escludeva esplicitamente gli insediamenti.
L’argomento che, se l’Europa diventasse più dura, Israele opterebbe semplicemente per altri partner, come i paesi del Golfo, è sopravvalutato. La connessione tra Israele e l’Europa ha radici profonde, culturalmente e storicamente, oltre a corposi legami economici, tecnologici e di sicurezza. Questi legami non potrebbero essere cancellati facilmente.
Vista la mancanza di unanimità nell’Unione Europea, Borrell dovrebbe evitare la paralisi sostenendo coalizioni di stati membri che hanno intenzione di agire. Borrell dovrebbe inoltre lanciare un processo di revisione dei trattati bilaterali dell’Unione Europea e degli stati membri con Israele e garantire che la differenziazione venga applicata. Ciò non richiederebbe il consenso, poiché Borrell ha una base legale (Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza ONU) e un mandato da parte degli stati membri europei.
Borrell dovrà essere pronto a difendere la sua politica da accuse di antisemitismo da parte di Israele, come quelle rivolte alla Corte di Giustizia europea riguardo all’etichettatura dei prodotti provenienti dagli insediamenti.
Come ha fatto la Mogherini, Borrell dovrebbe difendere la prospettiva dei due stati. Ma dovrebbe anche affrontare il baratro tra la retorica dell’Europa e la realtà emergente di uno stato unico. Israele ora controlla, in varia misura, quasi tutti i territori palestinesi e usa nella Cisgiordania due sistemi legali diversi. Borrell dovrebbe dire chiaramente che questo ha delle conseguenze per la democrazia dello stato di Israele. Dovrebbe inoltre dare inizio a un dibattito interno nell’Unione Europea su come sarebbe possibile accettare uno stato unitario con diritti diseguali per i suoi abitanti.
A meno che non ci siano progressi verso il processo di pace e uno stop alla strisciante annessione della Cisgiordania, Borrell dovrebbe resistere alle pressioni che vorrebbero intensificare ulteriormente le relazioni tra Unione Europea e Israele. Israele già riceve molto dall’Europa: un accordo di associazione stretta che prevede libero commercio, così come accordi in dozzine di campi, che includono aviazione e agricoltura, e la partecipazione nei programmi europei di ricerca e innovazione.
Borrell deve essere determinato anche nei confronti dell’Autorità Palestinese. Soltanto nel 2018 l’Unione Europea ha pagato 155 milioni di euro per sostenere l’Autorità Palestinese, in quanto partecipe delle sue ambizioni per un futuro stato palestinese. Ma la leadership palestinese è ideologicamente e geograficamente divisa e le istituzioni palestinesi sono in pessimo stato.
La magistratura è controllata dall’esecutivo; la legislazione avviene per decreti presidenziali; la legislatura è in dissoluzione; lo spazio della società civile si sta contraendo; e le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese violano i diritti umani dei Palestinesi. L’assistenza all’Autorità Palestinese deve essere condizionata alla riconciliazione, al progresso democratico e a un giusto trattamento per Gaza.
Da ultimo, Borrell dovrebbe sollevare il problema della mancanza di contatti tra Hamas e gli stati membri dell’UE. Il contatto informale, anche se non ancora la cancellazione di Hamas dalla lista delle organizzazioni terroristiche, amplificherebbe le voci moderate e spingerebbe l’organizzazione a adottare il gioco diplomatico. Il contatto sarà essenziale per sostenere la riconciliazione palestinese e le elezioni nazionali.
Quando ricopriva il ruolo di ministro degli esteri spagnolo, Borrell deteneva un record nel sostenere i Palestinesi, raccomandando alla Spagna di riconoscere unilateralmente lo stato di Palestina. Ma le sue credenziali socialdemocratiche, come quelle della Mogherini, possono puntare nella direzione di altri cinque anni di ordinaria amministrazione.
Continuare sulla solita strada da parte dell’Europa permetterebbe un rafforzamento dell’odierno stato unico, una realtà ineguale. Borrell invece può tramutare le parole in azioni.
Beth Oppenheim è una ricercatrice del Centro per la Riforma dell’Europa. Lavora sulla politica estera dell’UE in Medio Oriente, ed è commentatrice per la stampa e i mass media, come BBC, CNN, the Independent e The Telegraph. È ospite del podcast CER. Twitter:@Beth Oppenheim
https://www.haaretz.com/world-news/.premium-can-europe-overcome-its-paralysis-on-palestine-1.8225291
Traduzione di Simonetta Madussi