Israele ha un sistema sicuro, basato sul copia-incolla, per insabbiare le uccisioni di civili da parte di militari. Chi poteva sapere che c’erano una o due famiglie lì vicino?
Hagai El-Ad
Haaretz, 28 settembre 2018
La madre di Amir è svenuta in ospedale. È svenuta sul corpo di suo figlio morto, attorniata dai componenti della sua famiglia. Quando si è risvegliata a casa, le sue grida erano strazianti,
ma non sono servite per riportare in vita suo figlio di 14 anni.
Queste grida non hanno avuto eco. A chi in Israele interessa di un altro adolescente morto, e per di più a Gaza? Un altro civile “non coinvolto” che entra a far parte delle statistiche, senza un volto e senza nome, senza una foto in copertina, senza una storia, senza una madre che vede la testa sanguinante di suo figlio e sviene.
“Una settimana dopo la nascita, mio figlio Amir è stato visitato e i medici hanno scoperto un buco nel suo cuore. I medici ci hanno detto che avrebbe avuto bisogno di un’operazione quando avesse compiuto 18 anni. Non hanno prescritto medicinali per Amir, ma ci hanno detto che il foro era tra le due camere del cuore e che si sarebbe ristretto con la crescita di Amir.”
In Israele, l’interesse per gli adolescenti palestinesi morti si limita alla qualità della carta sulla quale il nostro sistema legale e investigativo scrive i suoi raffinati documenti di insabbiamento. È importante che la carta sia del tipo che assorbe e nasconde le macchie di sangue, ed è importante che ciò che viene scritto includa una buona dose di frasi lunghe, senza alcun significato, ma con uno scopo inequivocabile: avvolgere la vita che si è spezzata nel cotone idrofilo del sistema legale. Ciò assicura che l’assassinio brillerà di perfezione e che l’indagine seppellirà il corpo sanguinante dell’Arabo.
Dopo l’estate in cui a Gaza furono uccisi 500 bambini e adolescenti, il Revisore dello Stato [nell’ordinamento israeliano, lo State Comptroller controlla la legalità, l’efficienza e il comportamento etico delle istituzioni pubbliche, compreso l’esercito, ndt] ha esaminato la qualità della carta. All’inizio dell’anno, il Revisore ha pubblicato un rapporto di 120 pagine che esamina “le attività delle Forze di Difesa israeliane dal punto di vista delle leggi internazionali, soprattutto a proposito dei meccanismi di analisi e monitoraggio della leadership civile e militare”.
È un rapporto preciso, ma sterile, che cita naturalmente tutta la serie di rapporti precedenti, e chiunque farà riferimento ad esso in rapporti futuri probabilmente lo citerà in maniera appropriata nelle note a piè di pagina. Note che non menzioneranno il selfie che Amir ed il suo amico Luay si stavano facendo sul tetto di un edificio di Gaza, poco prima che divenissero loro malgrado il danno collaterale di un attacco chirurgico di grande successo. Dopodiché, il portavoce dell’IDF si è vantato del fatto che si trattava di una delle tante manifestazioni di efficienza dell’intelligence e capacità operativa dell’esercito, “che diventeranno anche più intense e più forti se necessario.”
Nei video pubblicati dall’esercito, non vedi Amir e Luay prima dell’attacco missilistico e non senti le loro grida sempre più intense e più forti, ammesso che riuscissero a gridare. Vedi solo le persone che hanno rischiato la propria vita arrivando sul tetto alcuni minuti dopo. Non sapevano con precisione dopo quanti minuti sarebbe stata lanciata una bomba che avrebbe messo fine all’edificio, eppure sono salite sul tetto per soccorrere i due ragazzi morenti. Ma poco dopo sono state costrette a fuggire quando il secondo missile ha colpito il tetto.
In quell’istante, filmato dall’alto in un video dell’esercito, sembra che vi sia una folata di punti neri che si disperdono nel cielo dopo un’esplosione improvvisa, al centro della quale c’è una macchia con i corpi di Amir e Luay.
La madre di Amir dice che la cosa per lui più importante era che nessuno sapesse che aveva un buco nel cuore, soprattutto gli amici e i parenti.
“Mi ha detto che avrebbe vissuto una vita normale nonostante la malattia, e cercava di ignorare i sintomi e la debolezza che sentiva.”
Nel rapporto del Revisore dello Stato, l’aspetto che preoccupa maggiormente l’élite legale-politico-militare israeliana, per quanto riguarda la morte dei giovani palestinesi, si trova proprio nella parte iniziale. Ci si arriva, così, prima che le dita siano diventate callose per aver girato così tante pagine o siano state magari tagliate, Dio non voglia, dai margini acuminati, per esempio, di pagina 10, dove si dice qualcosa a proposito di “esami per localizzare incidenti eccezionali che richiedono ulteriori indagini.”
Il lettore può ricordarsi di una affermazione –cos’era?– a pagina 5. Oh, sì, “464 incidenti inconsueti; ovvero, incidenti in cui cittadini estranei al fatto sembra siano stati danneggiati o siano state danneggiate le proprietà di civili.” Ci sono dunque stati 464 incidenti? Un minuto,
ma quanti incidenti devono verificarsi perché essi non siano più considerati “eccezionali”? Quando è che una cosa eccezionale diventa normale?
Beh, questa è una domanda ingenua e dimostra che chi pone questa domanda non comprende i principi base del sistema: ciò che è eccezionale non diventa mai normale. In termini legali, deve continuare ad essere considerato eccezionale, analizzato come eccezionale e infine sepolto come eccezionale in un sudario legale. Come il Revisore di Stato ci spiega subito a pagina 3: “Il corretto funzionamento del sistema legale ed investigativo dello stato di Israele contribuirà a prevenire l’intervento da parte di enti esterni negli affari sovrani dello stato di Israele.”
Lasciamo che l’IDF faccia il suo lavoro, naturalmente
E che cos’è il “corretto funzionamento dei sistemi investigativi?” Un’indagine sugli incidenti eccezionali. Poiché, se –Dio non voglia– non avessimo eventi eccezionali, cosa investigheremmo e quali rapporti pubblicheremmo per gettarli in faccia a tutte le agenzie internazionali a noi ostili che hanno la sfrontatezza di interferire nei nostri affari? Dopo tutto, senza le “eccezioni”, quel che resta è una situazione palese di assassinii, di corpi di adolescenti morti, di macchie di sangue che non possono essere assorbite, e di scandali. E da quando in qua le morti di adolescenti di Gaza sono per noi un motivo di scandalo?
“In famiglia abbiamo sempre fatto il possibile per evitare situazioni che avrebbero fatto arrabbiare Amir. Veniva tenuto in speciale considerazione da suo nonno, suo padre e i suoi fratelli. Amava il calcio e con i suoi soldi comprava sempre palloni per giocare. Era tifoso del Real Madrid e andava nei bar per guardare le partite del campionato.”
E quei Palestinesi, che stiamo eccezionalmente ammazzando a Gaza, sono sicuramente “il nostro affare nazionale.” Effettivamente, vi è una certa logica per agire in tal modo, in quanto, per amministrare con successo Gaza, che in un certo senso è la più grande prigione del mondo, usiamo ogni mezzo per disperdere le manifestazioni e sopprimere le rivolte. Metodi che vanno dallo sparare proiettili –ovviamente con precisione– al lancio di bombe –ovviamente chirurgiche. Conoscete altri paesi nei quali qualcun’altro interferisce con l’amministrazione delle proprie prigioni?
Dunque, per prevenire le ingerenze delle agenzie internazionali, dobbiamo accuratamente ripulire il sangue, mentre rispettiamo meticolosamente gli standard internazionali. E perché è così importante che non si ingeriscano? Perché “le ripercussioni internazionali che potrebbero derivare da attacchi contro civili inermi” potrebbero avere conseguenze sulla “capacità dell’IDF di raggiungere i propri obiettivi di lotta.”
Bene, è un dato di fatto che c’è un gran numero di civili “non coinvolti” a Gaza. Li abbiamo uccisi e continueremo a farlo. Ma se non morissero in maniera “eccezionale”, non saremmo in grado di continuare con la “lotta” e uccidere, in modo eccezionale, altri “civili non coinvolti.” E allora l’amministrazione delle carceri verrebbe sottratta al nostro controllo nazionale. Voi due, Amir e Luay, che sedete sul bordo del tetto e vi fate un selfie in una calda serata estiva, lo volete capire?
A quanto pare, il Revisore dello Stato non ha verificato che i cittadini non coinvolti nelle operazioni avessero chiara la propria funzione, ovvero quella di morire nel ruolo di eccezioni. Fortunatamente l’Avvocatura Generale Militare “esamina e investiga” continuamente le centinaia di “segnalazioni riguardanti incidenti eccezionali durante l’Operazione Protective Edge” in Gaza del 2014. Il nostro diligente avvocato generale militare si occupa infatti di esaminare scrupolosamente tutti i casi segnalati, uno per volta: alcuni saranno insabbiati e dimenticati sulla base dei “meccanismi di inchiesta dello Stato Maggiore”, altri saranno sottoposti a indagini della Polizia Militare e insabbiati in corso d’opera.
A Gaza sono passati quattro anni da quell’estate, ma il lavoro di insabbiamento e ripulitura continua sistematicamente, andando in porto giorno dopo giorno. Un porto da cui poi vengono gettati tutti i cadaveri, proprio nei pressi di quella banchina “efficace e indipendente” che dovrebbe garantirne la sicurezza, e con loro affonda anche la più piccola possibilità di un’assunzione di responsabilità da parte nostra.
Per essere ben sicuro che affoghino, l’avvocato generale militare si assicura ogni volta di legare ai loro piedi pesanti blocchi di cemento, sotto forma di report che dimostrano –a colpi di copia/incolla– come “i danni causati alla popolazione civile non coinvolta nei combattimenti” sono stati “una tragica e sfortunata conseguenza” delle operazioni, ma che “non ha alcuna implicazione, in retrospettiva, sulla legittimità dell’attacco”.
“Quando aveva 13 anni, Amir fu inviato all’Ospedale Beilinson, in Israele, per degli esami clinici. Ci andò con mio padre. I test mostrarono che il buco nel suo cuore si era ridotto da 8 a 6 millimetri. I dottori ci dissero che preferivano posticipare l’operazione fino ai 19 anni. Amir avrebbe dovuto sottoporsi a ulteriori esami al Beilinson alla fine di agosto.”
Si è scoperto che Gaza è un posto strano, dove accadono cose inspiegabili, singolari e totalmente inaspettate. A Gaza, persone in un primo momento identificate come combattenti di Hamas, si sono poi rivelate essere –”in retrospettiva”, ovviamente– soltanto dei bambini (quattro morti). Gaza è la patria delle “coincidenze”, dove i civili, per qualche ragione, si ostinano a stare sui tetti proprio durante un bombardamento (sette morti, tutti membri della stessa famiglia). Datevi una mossa, eccezioni, e scendete da quei tetti!
A Gaza, “contrariamente a quanto programmato”, i “piani superiori dell’edificio” si ribellano alla nostra meticolosa strategia e decidono di collassare spontaneamente mezz’ora dopo un nostro attacco (14 civili uccisi). A Gaza, quando sei lì che stai lanciando un missile su uomini di Hamas a bordo di una motocicletta, salta fuori che stai conducendo l’attacco proprio “nei pressi di una scuola.” Coincidenze diaboliche che sembrano orchestrate apposta per farci arrabbiare! A Gaza, quando sganci una bomba su un bersaglio militare, salta fuori “in retrospettiva” che –sorpresa sorpresa!– “l’edificio ospitava anche un caffè” (nove morti).
Una procedura in quattro punti
Infine a Gaza –e questa è certamente un’eccezione– la gente si ostina sempre a rimanere all’interno degli edifici e a morire a dozzine nonostante la “professionale analisi dei corpi operativi sul numero di civili potenzialmente messi a repentaglio dall’attacco.”
Le cosa vanno così perché quei dilettanti di Gaza non danno retta alle stime ineccepibili dei nostri professionisti.
“Amir ha vissuto a Gaza tutta la sua vita, non ha mai potuto viaggiare da nessun’altra parte. Gli piaceva lo shawarma [pietanza di carne] e ha sempre preferito vestirsi di bianco.”
Per l’Avvocatura Generale Militare, questo è un sistema a prova di errore che può essere riciclato all’infinito e ogni volta ripulito di tutti gli “eccezionali incidenti.” Basta solo che la decisione sia: 1) presa da “corpi autorizzati,” 2) che sia “contro un dichiarato obiettivo militare,” 3) che “la stima dei potenziali danni collaterali non sia sproporzionata rispetto al beneficio militare,” e 4) –ciliegina sulla torta– ci si assicuri che vengano prese “misure precauzionali atte a limitare i danni alla popolazione civile.”
Il gioco è fatto: uno, due, tre, quattro strati di carta assorbente di alta qualità e tutto è sistemato. Dozzine di civili vengono uccisi in questo modo, bambini, intere famiglie. Ogni volta, senza alcuna conseguenza. È sufficiente aggiungere la dizione “in retrospettiva” quando ci si accorge che c’era una scuola, un caffè, un altro piano, un edificio accanto oppure una o due famiglie sul tetto o magari all’interno dell’edificio.
Non potete rinfacciarci queste “incresciose conseguenze.” Quando abbiamo deciso di bombardare l’edificio come potevamo immaginare che sarebbero morti tutti quei civili? Non l’abbiamo mica fatto apposta! Possiamo per favore andare avanti e procedere con il prossimo “attacco chirurgico”? Niente paura, è basato su una “accurata intelligence” che dimostra che i potenziali danni collaterali saranno assolutamente proporzionati al beneficio militare.
E se poi in retrospettiva si scoprisse che non c’era alcuna intelligence, che l’attacco non era preciso, che non era affatto chirurgico, che non sapevamo, non avevamo valutato, non avevamo fatto i conti, e che altri 14 “civili non coinvolti nelle operazioni” ora sono diventati statistiche, a quel punto, dopo che il copione si sarà ripetuto per la millesima volta, ci limiteremo ad alzare le spalle e a dire qualcosa del tipo “un’incresciosa conseguenza”. Dopodiché procederemo con l’incidente 1001.
Un articolo di Haaretz del mese scorso esprimeva preoccupazione per i cecchini sulle barricate al confine di Gaza che “hanno aperto il fuoco per ore contro dozzine di persone a distanza ravvicinata, li hanno visti cadere e hanno udito le loro grida”. Ma i cecchini, secondo l’articolo, “non hanno ricevuto alcun trattamento specifico da parte delle loro unità,” riferendosi a forme di supporto psicologico.
C’è qualcuno nell’ufficio del Procuratore Militare che abbia mai pensato di riservare un simile trattamento post-traumatico agli avvocati che ne fanno parte? In fondo questi giovani avvocati hanno il pesante onere di seppellire centinaia di morti. Nonostante l’uso sistematico del copia-incolla, ripulire i fascicoli di tutto quel sangue può richiedere anche “diverse ore”. Non dovrebbero forse ricevere anch’essi supporto psicologico per ogni fascicolo chiuso in quel modo?
“Dopo la morte di mio figlio Amir, la mia vita è diventata un inferno. Piango il mio bambino innocente giorno e notte. Sento ancora la sua voce e la sua dolce risata e rivedo il sorriso che aveva sempre sul volto. Ho aspettato a lungo di vederlo crescere sotto i miei occhi. Ma gli aerei dell’esercito israeliano l’hanno sepolto sotto le bombe. È così che è morto Amir, è così che i suoi sogni sono morti con lui.
Nonostante Amir vivesse con un buco nel cuore, amava giocare a calcio. Voleva crescere per diventare insegnate di scuola guida. I suoi sogni sono stati brutalmente interrotti. Amava la scuola ed era uno dei migliori studenti. Malak, la sua sorellina di 5 anni mi chiede di lui ogni giorno, vuole sapere dov’è. Io le rispondo che ora è in cielo.
Prego per l’anima di Amir. La separazione da lui è insopportabile. Prego Dio di aiutarmi ad andare avanti e a sopportare il dolore lacerante della perdita di mio figlio, il mio adorato Amir.”
Hagai El-Ad
Hagai El-Ad è il direttore esecutivo di B’Tselem.
Amir al-Nimra e Luay Kahil, entrambi quattordicenni, sono stati uccisi in un raid aereo su Gaza il 14 luglio. La madre di Amir, Maysoon al-Nimra, è stata intervistata da Olfat al-Kurd e Khaled al-Azayzeh, due ricercatori di B’Tselem, il centro israeliano di informazione per i diritti umani nei territori occupati.
Traduzione di Gennaro Corcella e Matteo Cesari