Un articolo di Luisa Morgantini
dalla rivista: Solidarietà Internazionale
del C.I.P.S.I.
Le dichiarazioni di Trump su Gerusalemme capitale eterna, unica e indivisibile dello stato israeliano, con il conseguente trasferimento dell’ambasciata americana, si vanno a sommare al fervore del vice presidente Pence, cristiano messianico, che ribadisce orgogliosamente la scelta USA dinanzi al parlamento israeliano, mentre i rappresentanti della Joint List (liste arabe più Hadash, partito misto, rappresentato al parlamento anche da un Ebreo), venivano a forza espulsi dall’aula. Hanno lasciato a briglie sciolte la destra più estrema, compreso il governo Netanyahu, al fine di gettare a mare ogni legalità internazionale e continuare sulle orme della politica coloniale e di insediamento nei territori occupati nel ’67. Nel frattempo, i coloni attaccano impunemente i Palestinesi, ogni giorno, invadendo i loro villaggi e distruggendone le coltivazioni. Nelle strade di Gerusalemme e agli ingressi alle colonie, appaiono manifesti in cui si ringrazia Trump, “vero amico di Israele”, e il presidente del Guatemala che ha optato per il trasferimento della propria ambasciata a Gerusalemme.
REPRESSIONE A DANNO DEI PALESTINESI. La costante espansione delle colonie si va a sommare alla confisca di terre civili per uso militare, per renderle zone di cantiere per nuove colonie. Il tutto condito con tracotanza e repressione a danno dei Palestinesi, che si fanno sempre più manifeste e brutali. Spari ogni giorno: decine di ragazzini vengono uccisi da cecchini, con colpi sparati dritti alla testa. Dal giorno della dichiarazione di Trump sono stati ammazzati 19 Palestinesi; centinaia i feriti e più di mille gli arrestati, quasi tutti giovanissimi, e molti a Gerusalemme Est. Il target sono i giovani, in particolare quelli che partecipano alla resistenza popolare nonviolenta. È nel pieno interesse di Netanyahu esasperare la popolazione palestinese per indurla a reagire con la violenza e con qualche attentato, così da potersi erigere, ancora una volta, a vittima. Negli ultimi sondaggi condotti dal centro di ricerca di Nablus, molti sono i giovani che vedono nella lotta armata l’unica soluzione. Dichiarano di non credere più alla soluzione dei due popoli e due stati. Tuttavia, la maggioranza della popolazione, ancora troppo provata dalla devastazione subita durante la seconda Intifadah, cerca di tirare avanti e concentrarsi sulla propria esistenza, oppure spera di emigrare in cerca di libertà e futuro. A voler andar via sono soprattutto i giovani talentuosi ed ambiziosi, impossibilitati a sviluppare le proprie potenzialità nel loro paese, a causa delle costrizioni subite: senza libertà di movimento è difficile trovare lavoro. Posizioni diverse e complesse, ma unanimi nel definire questi tempi “i peggiori”. Secondo molti, la questione palestinese è giunta ad un turning point. Zero fiducia verso la leadership palestinese che, dopo 25 anni dagli accordi di Oslo, ha fallito nell’attuazione del disegno di uno stato di Palestina con capitale Gerusalemme Est. La percezione diffusa è che i leader palestinesi non siano più in grado di trovare l’unità al proprio interno, né di liberare Gaza dall’assedio iniziato nel 2007. Qualcuno sostiene che questi tempi così bui siano forieri di una rinascita, ecco perché continuano a vivere lì, fieri e ottimisti, consapevoli che anche quella sia espressione di resistenza. “Mai più la Nakba. Non ci faremo trasferire”. Sebbene in molti si sentano abbandonati dal resto del mondo, qualcuno si illude ancora che l’Europa, insieme alla Russia e alla Cina, possa fare qualcosa. È nulla la fiducia riposta nei paesi arabi. Si dice che sostengano i diritti dei Palestinesi solo a parole, ma agiscano in favore della divisione. Anche dopo gli annunci oltraggiosi di Trump sul ritirare il proprio sostegno all’UNRWA, i leader arabi non hanno saputo contrastarlo unanimemente. In modo particolare questo vale per i ricchi paesi del golfo. L’UNRWA ha dichiarato, tra l’altro, che le restano solo due mesi di autonomia finanziaria, poi sarà costretta a chiudere cliniche, scuole e servizi nei campi profughi. Questo, più che la dichiarazione di Trump, farà insorgere i rifugiati, non solo nei territori occupati.
PARADOSSI ISRAELIANI. Danny Yatom, generale in pensione, ex direttore dell’agenzia di intelligence del Mossad, e membro del comitato direttivo dei comandanti della rete per la sicurezza di Israele, ha pubblicato un open ed sul “New York Times” del 1 febbraio 2018, co-firmato da Amnon Reshef, altro generale in pensione, ex comandante di Armored Corps e presidente della rete. Nell’articolo vengono derise le proposte avanzate da forze politiche e personalità israeliane sui tipi di annessione territoriale che Israele dovrebbe compiere nella Cisgiordania. Si ribadisce, inoltre, che la strada per la sicurezza di Israele e la sua esistenza come stato ebraico e democratico sia insita nella realizzazione del piano “due popoli due stati”. L’articolo giudica folle la proposta estremista del ministro dell’educazione Naftali Bennett di annettere il 60% del territorio palestinese occupato nel 1967 (l’Area C, sotto il totale controllo israeliano. I blocchi di insediamenti principali di Israele occupano circa il 7% della stessa). La suddetta area circonda 169 “isole” urbane palestinesi facenti parte dell’Area A, a presunto controllo palestinese ed alcuni villaggi dell’Area B, sui quali è Israele a mantenere il pieno controllo. Le comunità diffuse in tutta l’Area C sono isolate l’una dall’altra, totalmente sconnesse. Costituiscono il restante 40% del territorio della Cisgiordania e non verrebbero annesse. I due ex generali, firmatari dell’articolo, entrano nel dettaglio del progetto e mostrano come tale piano sia arduo da realizzarsi per la sicurezza israeliana che dovrebbe impiegare immense forze per controllare tutte le 169 isole palestinesi. La proposta, secondo l’articolo, renderebbe furiosi e incontrollabili i Palestinesi e, per quanto deboli e divisi, anche i paesi arabi. Suona paradossale che proprio gli addetti alla sicurezza e alla difesa israeliana si prestino ad essere esempio di moderazione in seno alla crescita del fondamentalismo nazionalista e colonialista israeliano. Ma da queste parti, il mondo va così, alla rovescia.
MEDIA ITALIANI SILENTI. Il mondo della Palestina e di Israele è un mondo che va alla rovescia. Così, anche i racconti che li riguardano vanno al contrario: nei nostri media sembra che siano i Palestinesi a rubare terra, acqua e risorse agli Israeliani. Non si parla invece degli Israeliani che minacciano militarmente, da ormai più di cinquant’anni, il popolo palestinese. Non si dice che fondano colonie e che la popolazione occupante i territori palestinesi abbia raggiunto quota 650.000 abitanti, in piena violazione del diritto internazionale.
Dal giugno 1967 sono stati circa 800.000 i Palestinesi incarcerati per motivi politici. Oggi se ne contano circa 7.000, di cui 400 minori (tra questi, la giovane Ahed Tamimi di Nabi Saleh) e 67 donne (più di 500 in detenzione amministrativa).
Il piano di pace che Trump ha sbandierato come l’accordo epocale non esiste più, anzi, si è rivelato un piano di annessione coloniale.
Saremo in grado di far giocare all’Europa e all’ONU un ruolo di mediazione che affermi il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, e conduca alla fine dell’occupazione e della colonizzazione della Palestina?
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