Brothers in Peace (di Franca Bastianello)

 

Bassam Aramin and Rami Elhanan

Di tutti gli incontri che si fanno durante i viaggi in Palestina, con Luisa, quello a cui tengo di più è sicuramente con Rami Elhanan e Bassam Aramin: i “combattenti per la Pace”.
Se mi chiedete perchè, non mi è difficile rispondere: incontrare un israeliano ed un palestinese che combattono insieme per la Pace, non è cosa facile e soprattutto, sarà che sono un po’ cinica e smaliziata, non a tutti io riesco a credere.
A loro credo fermamente e una ragione importante c’è.
Non è solo perché la loro storia è così terribile, pur se riescono a parlarne con tanta semplicità, da sembrare assurda, ma è soprattutto perchè si percepisce, nel loro racconto, quanto dirompende dolore hanno vissuto e quanto “oltre” hanno dovuto andare per poter dialogare e affidarsi l’un l’altro, come se fossero affezionati fratelli.
E non c’è retorica, loro sono autentici: fratelli diversi accomunati dalla stessa perdita.
Rami, israeliano da generazioni, alto biondo, ormai tendente al bianco e un po’ su di peso, ha fatto il servizio militare nei caccia-bombardieri. Un “non cosciente” della situazione, come molti altri israeliani, almeno fino al momento in cui, un giorno, il terrorismo palestinese uccide la figlia Smadar di 14 anni. Un dolore atroce che, prima o dopo, fa chiedere se un senso in tutto questo ci sia.
Bassam, palestinese, alto, magro e scuro di pelle, una decina d’anni dopo, perde la figlia Abir, di 10 anni, per una pallottola sparata da un soldato israeliano. Un’ingiustizia che viene da lontano, che è impossibile perdonare.
Due dolori molto simili, due situazioni umanamente inaccettabili, due condizioni distanti che si avvicinano fino a toccarsi.
Perdere un figlio e l’atto più terribile che un essere umano possa affrontare.
Da questo può nascere un odio senza fine, una incomprensione infinita che non dà adito a requie.
Eppure due uomini così diversi, ambedue consci di provare la stessa forma di dolore e di essere totalmente incolpevoli, almeno personalmente, mettono insieme le loro risorse affettive e mentali e creano un sodalizio che li rende dei combattenti, molto singolari, tra altre persone colpite da simile disgrazia, i “Combattenti per la Pace” e appartengono anche ad un gruppo di sostegno “The Parents’ Circle” di palestinesi ed israeliani uniti assieme per la stessa ragione: ricomporre la Pace.
Ogni volta che sento la storia della ragione che li ha messi assieme e dei loro sentimenti di fronte al lutto e dei pensieri funesti che ognuno di loro ha percepito per lungo tempo, mi commuovo e mi emoziono come se quella perdita fosse anche mia. Mi emoziona anche l’amicizia che c’è fra di loro. Rami più affettivo di Bassam e se vogliamo più estroverso specifica che lui risponde solo alle domande semplici e che suo fratello Bassam risponde a quelle più difficili e complicate. Bassam che è più riservato ed introverso, mostra un piccolo guizzo sulla guancia, un sorriso nascosto e fugace. Si abbracciano e abbracciano Luisa come fossero figli della stessa terra, come io avrei voluto immaginare la convivenza tra queste due popolazioni. Dice Rami: “dovremo imparare a vivere separatamente gli uni accanto agli altri” e questo si può fare solo con rispetto ed amore.
Ma alla fine è ancora Rami, l’israeliano delle risposte facili, che lancia la “bomba” più esplosiva, come se sorvolasse sulle nostre teste, col suo caccia-bombardiere, e volesse imprimerci nella nostra mente il fragore di una verità, che a me personalmente ha fatto tremare il cuore e davvero mi fa dire che sono esseri umani che ammiro profondamente:

“messaggio da Ebreo, con tutto rispetto per le mie tradizioni:

occupare

umiliare

milioni di persone calpestandone tutti di diritti,

non ha nulla a che vedere con l’essere Ebreo.

Ed essere contro l’occupazione militare

Non

È essere antisemita”

Una lezione che non dimenticherò mai.

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