di Adam Raz,
Haaretz, 9 gennaio 2021.
Chi viola il coprifuoco non dovrebbe essere ucciso, ma può essere schiaffeggiato e colpito con un fucile. Documenti appena declassificati rivelano i modi in cui il governo militare ha tormentato la vita degli arabi israeliani.

Le origini della brutalità documentata in tutta la sua bruttezza la scorsa settimana – un soldato israeliano ha sparato a un palestinese disarmato che cercava di proteggere il generatore elettrico di cui ha bisogno per vivere, in mezzo all’abissale povertà delle colline a Sud di Hebron – risalgono a parecchi decenni fa, al periodo del governo militare in Israele. Testimonianze di documenti recentemente declassificati, insieme a documenti storici conservati negli archivi, fanno luce sull’acuta violenza che ha prevalso nello “stato nello stato” che Israele ha imposto a vaste aree del paese dove vivevano cittadini arabi, dal 1948 al 1966.
Per oltre 18 anni, circa l’85% dei cittadini palestinesi del paese è stato soggetto a un regime oppressivo. Tra le altre restrizioni, qualsiasi spostamento al di fuori dei loro villaggi doveva essere autorizzato, le loro comunità erano sotto coprifuoco permanente, era vietato trasferirsi senza un’autorizzazione formale, la maggior parte delle organizzazioni politiche e civili era proibita e intere regioni dove avevano vissuto prima del 1948 erano ora chiuse per loro. Sebbene questa parte del passato sia stata ampiamente rimossa dalla maggior parte della popolazione ebraica israeliana, essa costituisce parte integrante dell’identità e della memoria collettiva dei cittadini arabi del paese. Queste memorie includono -oltre al regime di autorizzazioni- abusi quotidiani e una rete di informatori e collaboratori.
In pratica, per coloro che erano sottoposti al governo militare, la democrazia israeliana era sostanzialmente diversa da quella degli ebrei. Yehoshua Palmon, consigliere del Primo Ministro David Ben-Gurion per gli affari arabi, scrisse al quartier generale del governo militare – in una lettera dell’ottobre 1950 recuperata dall’Archivio di Stato – che erano stati ricevuti rapporti secondo i quali il personale del governo militare nel Triangolo (una concentrazione di comunità arabe adiacenti alla Linea Verde, nel centro del paese) stava impiegando “pressioni illegali durante gli interrogatori dei residenti, come l’uso di cani [contro di loro], minacce e simili”.
Un anno dopo, Baruch Yekutieli, vice di Palmon, spiegò al segretario di gabinetto che la situazione nelle aree arabe richiedeva talvolta “una mano forte da parte delle autorità”. Anche se non entrò nei dettagli di questa politica, le testimonianze che sono state rese pubbliche ne descrivono l’attuazione – e tutte riflettono un’esperienza di umiliazione e sottomissione.
Così, si è saputo che i rappresentanti del governo militare minacciavano i cittadini per evitare che si lamentassero delle azioni intraprese contro di loro; un governatore militare (ce n’erano tre, per il Negev, il Triangolo e il nord) pretendeva che i frequentatori di un caffè del villaggio mostrassero il loro rispetto alzandosi in piedi quando lui entrava e minacciava chiunque disobbedisse; i soldati si divertivano a intimidire un cittadino arabo appoggiandogli un’arma da fuoco sulla spalla; e altri impedivano ai cittadini musulmani di pregare. In altri casi, i rappresentanti del governo militare hanno molestato gli agricoltori e distrutto le loro proprietà; le persone sono state umiliate regolarmente e affrontate con un linguaggio volgare; la violenza è stata perpetrata sui bambini; e il personale del governo militare ha minacciato i cittadini arabi se non avessero votato alle elezioni per i candidati favoriti dalle autorità.
Il governatore militare del sud, Yehoshua Verbin, in una testimonianza resa all’inizio del 1956 a una commissione governativa – e recentemente resa pubblica su richiesta dell’Istituto Akevot per la Ricerca sul Conflitto Israelo-Palestinese – sostenne che “il governo militare è troppo liberale e gentile. Non si può parlare affatto di crudeltà, perché è un’affermazione priva di fondamento, una calunnia che non ha alcuna base”.
Tuttavia, le osservazioni del governatore del Triangolo, Zalman Mart, nella sua testimonianza del 1957 in un processo relativo al massacro di Kafr Qasem dell’anno precedente – quando la Polizia di Frontiera sparò e uccise 49 abitanti di un villaggio arabo che non sapevano che era stato imposto il coprifuoco – confutano le affermazioni di Verbin. Secondo Mart, non c’era l’obbligo di uccidere una persona che violava il coprifuoco, ma esisteva una sorta di protocollo per la punizione: “Puoi schiaffeggiarlo, colpirlo con un fucile sulla gamba, puoi gridargli contro”.
Una serie di lunghe testimonianze del personale della Polizia di Frontiera, che ha agito come forza di polizia nei villaggi arabi, offre un quadro della vita quotidiana all’ombra del governo militare. La franchezza degli agenti nelle loro testimonianze nel processo di Kafr Qasem è sconvolgente. Eravate “pervasi dalla sensazione che gli arabi sono i nemici dello Stato di Israele?”, è stato chiesto a un ufficiale, che ha risposto semplicemente “Sì”. Gli è stato poi chiesto: “Uccideresti qualcuno? Anche una donna, un bambino?”. “Sì”, ha ribadito. Un altro agente di polizia ha testimoniato che, se gli fosse stato ordinato, avrebbe aperto il fuoco contro un autobus pieno di donne arabe. E un altro ha spiegato: “Mi hanno sempre detto che ogni arabo è un nemico dello stato e una quinta colonna”.
Gli agenti hanno mostrato scarso senso di pietà quando gli è stato chiesto se avrebbero sparato a individui indifesi: la maggior parte di loro ha affermato che lo avrebbe fatto se necessario. Uno di loro ha detto che se si fosse imbattuto in un bambino che aveva “violato” il coprifuoco: “Potrebbe sembrare crudele, ma gli sparerei. Sarei obbligato a farlo”.

Alcune delle denunce fatte da persone soggette al governo militare sono state presentate in forma anonima. Un rapporto dell’Associazione Ebraico-Araba per la Pace, inviato nel 1958 a un comitato ministeriale, si apre spiegando le ragioni delle denunce anonime: “In casi precedenti l’apparato governativo militare ha usato minacce e pressioni contro persone [cioè cittadini palestinesi di Israele] che avevano testimoniato contro di esso”. L’associazione ha raccolto un gran numero di testimonianze e ha allegato il nome del denunciante a ciascuna di esse, chiedendo che “gli onorevoli ministri si assicurino che non vi siano pressioni di questo tipo e che le persone non siano costrette a soffrire a causa della loro testimonianza”.
Diverse testimonianze del villaggio di Jish (Gush Halav) risalenti al 1950, conservate nell’Archivio Yad Yaari, fanno luce su ciò che il governo militare cercò di nascondere. Un abitante del luogo, Nama Antanas, raccontò come il personale militare avesse fatto irruzione in casa sua nel cuore della notte e lo avesse preso per un interrogatorio. Antanas era accusato di aver comprato un paio di scarpe di contrabbando. Gli interroganti gli dissero che se non avesse parlato, avrebbero fatto in modo che lo facesse. Secondo la sua testimonianza, “in quel frangente mi è stato ordinato di togliermi le scarpe e di togliermi il copricapo. Quando l’ho fatto, sono stato costretto a stendermi sul pavimento e le mie gambe sono state sollevate e messe su una sedia. In quel momento, due soldati si sono avvicinati e hanno iniziato a picchiarmi sulle piante dei piedi con un bastone di legno ricavato dal ramo grezzo di un albero di datteri”. In seguito, è stato buttato fuori, incapace di camminare.
Un’altra persona, identificata come al-Tafi, ha raccontato che le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in casa sua e l’hanno picchiato senza pietà. Un ufficiale del governo militare ha spiegato che lo avrebbero giustiziato e gli ha ordinato di salire su un’auto, mentre la moglie rimaneva lì, sconvolta. Dopo un breve tragitto, l’auto si è fermata sul ciglio della strada e una pistola è stata puntata sulla testa di Al-Tafi. Dopo essere stato picchiato di nuovo, è stato gettato in un recinto per animali, dove, ha detto, ha sofferto per due settimane.
Hana Yakub Jerassi ha subito un trattamento simile, dopo che il governatore militare gli aveva detto che era “spazzatura”. È stato picchiato sulle mani fino a farle sanguinare. “In seguito sono stato portato fuori e uno dei miei amici è stato portato dentro, e gli hanno fatto lo stesso trattamento che hanno fatto a me. Poi ne hanno portato un terzo e hanno fatto lo stesso”.
Per molti, questa era la routine.
Le diverse testimonianze che abbiamo raccolto ci costringono a dubitare delle parole di Mishael Shaham, il comandante del governo militare tra il 1955 e il 1960. Nel 1956 disse a una commissione governativa che stava discutendo il futuro di quell’organismo, che esso “non era preoccupante” e che addirittura “costituiva un elemento di educazione alla buona cittadinanza”.
Ciò che è chiaro è che lo stato prese provvedimenti per nascondere al pubblico le informazioni su ciò che accadeva all’interno del governo militare. Nel febbraio 1951, l’allora Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa israeliane Yigael Yadin si infuriò per la pubblicazione di un rapporto sull’espulsione di 13 abitanti arabi dai loro villaggi. Secondo Yadin, “rapporti di questo tipo possono essere dannosi per la sicurezza dello stato, quindi bisogna trovare un modo perché la censura ne possa ritardare la pubblicazione”. Il poeta Natan Alterman sapeva di cosa stava parlando quando, un anno dopo, scrisse “Whisper a Secret” [Sussurra un Segreto], una poesia che criticava il duro regime di censura.
L’apparato governativo militare è stato smantellato anni fa, ma il suo spirito continua a vivere in Israele e al di fuori di esso, nei territori occupati. Allora questo apparato sorvegliava e governava i cittadini palestinesi del paese all’interno della Linea Verde, mentre ora le azioni di polizia sono condotte dai soldati contro una popolazione civile al di là della Linea Verde. Ma c’è un’altra somiglianza. Oggi come allora, la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana convive con le ingiustizie perpetrate e tace.
Adam Raz è ricercatore presso l’Istituto Akevot per la ricerca sui conflitti israelo-palestinesi. Questo articolo si basa sul libro “Military Rule, 1948-1966: A Collection of Documents”, pubblicato questo mese da Akevot.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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