di Meron Rapoport,
+973 Magazine, 17 settembre 2024.
Mentre i ministri, i generali e gli accademici israeliani si preparano a una nuova fase della guerra, ecco come si presenterebbe l’Operazione Fame e Sterminio.
L’ordine è simile a quello emesso dall’esercito il 13 ottobre 2023 a più di 1 milione di Palestinesi che vivevano a Gaza City e nei suoi dintorni. Ma è chiaro a tutti che questa volta Israele sta pianificando qualcosa di completamente diverso.
Sebbene il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant mantengano un riserbo sui veri obiettivi dell’operazione, il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, così come altri ministri dell’estrema destra, li dichiarano apertamente. In questo caso, citano un programma che il “Forum dei Comandanti e dei Combattenti di Riserva”, guidato dal Maggior Gen. (in riserva) Giora Eiland, ha proposto solo poche settimane fa: ordinare a tutti i residenti del nord di Gaza di andarsene entro una settimana, prima di imporre un assedio totale sull’area, compresa l’interruzione di tutte le forniture di acqua, cibo e carburante, fino a che coloro che rimangono si arrenderanno o moriranno di fame.
Anche altri israeliani di spicco, negli ultimi mesi, hanno chiesto ai militari di fare uno sterminio di massa nel nord di Gaza. “Rimuovete l’intera popolazione civile dal nord, e chiunque rimanga lì sarà legalmente condannato come terrorista e sottoposto a un processo di fame o di sterminio”, ha spiegato il Prof. Uzi Rabi, ricercatore senior dell’Università di Tel Aviv, in un’intervista radiofonica del 15 settembre. E ad agosto, secondo un rapporto di Ynet, i ministri del governo avevano già iniziato a fare pressione su Netanyahu per ‘ripulire’ il nord di Gaza dai suoi abitanti.
Un’altra proposta è stata scritta a luglio da diversi accademici israeliani, intitolata “Da un regime omicida a una società moderata: La trasformazione e la ricostruzione di Gaza dopo Hamas”. Secondo questo piano, che è stato presentato ai decisori israeliani, la “sconfitta totale” di Hamas è una condizione preliminare per avviare un processo di “deradicalizzazione” dei palestinesi di Gaza. “È importante che anche l’opinione pubblica palestinese abbia un’ampia percezione della sconfitta di Hamas”, hanno sostenuto i suoi autori, aggiungendo: “Il ‘primo soccorso’ può iniziare nelle aree epurate da Hamas”. Uno degli autori della proposta, il dottor Harel Chorev, ricercatore senior presso il Centro Moshe Dayan, dove lavora anche Rabi, ha espresso pieno sostegno al piano di Eiland.
Ma torniamo al nostro scenario: l’“Operazione Ordine e Pulizia” è iniziata e, nonostante gli ordini di evacuazione dell’esercito, circa 300.000 Palestinesi rimangono tra le rovine di Gaza City e dintorni, rifiutandosi di andarsene. Forse rimangono perché hanno visto cosa è successo ai loro vicini che se ne sono andati all’inizio della guerra, credendo che si trattasse di un’evacuazione temporanea, e che ancora oggi vagano per le strade del sud di Gaza senza un luogo sicuro dove rifugiarsi. Forse perché temono Hamas, che invita i residenti a rifiutare gli ordini di evacuazione di Israele. O forse perché sentono di non avere più nulla da perdere.
In ogni caso, l’esercito impone un blocco completo entro una settimana a tutti coloro che rimangono nel nord di Gaza. I combattenti di Hamas – il documento Eiland stima che ne siano rimasti 5.000 nel nord, ma nessuno conosce il loro vero numero – rifiutano di arrendersi. Sulla televisione internazionale e sui social media, le persone di tutto il mondo osservano come Gaza City sia consumata dalla fame di massa. “Preferiamo morire piuttosto che andarcene”, dicono i residenti ai giornalisti.
Alla TV israeliana, i commentatori non sono convinti che una tale mossa sarà decisiva per vincere la guerra. Ma concordano sul fatto che una “campagna di fame e sterminio” è preferibile al fatto che l’esercito continui a trascinarsi a Gaza. Alcune voci negli studi televisivi avvertono del potenziale danno alle relazioni pubbliche di Israele, ma comunque il piano ottiene il sostegno della maggioranza dell’opinione pubblica ebraico-israeliana. I cittadini palestinesi di Israele, che intensificano le loro proteste contro il genocidio, vengono arrestati anche solo per averne parlato online, e la polizia reprime con la forza le manifestazioni della sinistra radicale.
Il Segretario di Stato americano Antony Blinken esprime preoccupazione, afferma che Washington è impegnata nell’integrità territoriale di Gaza e nella soluzione dei due Stati, e avverte che quest’ultima campagna israeliana potrebbe sabotare i negoziati per un accordo sugli ostaggi – ma Netanyahu è indifferente. Sotto la pressione della destra, che vede l’espulsione dei residenti di Gaza City come un’opportunità per radere completamente al suolo l’area e costruire insediamenti in cima alle rovine, l’esercito sta iniziando la fase di ‘sterminio’ descritta da Rabi.
Poiché l’esercito ha affermato che i civili possono lasciare il nord di Gaza – anche se i soldati sparano e uccidono a caso i civili palestinesi che cercano di evacuare – tratta come terrorista chiunque rimanga in città. Tale strategia è in linea con ciò che il tenente colonnello A., comandante dello squadrone di droni dell’aviazione israeliana, ha dichiarato a Ynet in agosto, a proposito dell’operazione di salvataggio degli ostaggi nel campo di Nuseirat: “Chiunque non sia fuggito, anche se disarmato, per quanto ci riguarda, è un terrorista. Tutti quelli che abbiamo ucciso dovevano essere uccisi”.
Gaza City è completamente distrutta e tra le rovine giacciono i corpi di migliaia o forse decine di migliaia di Palestinesi. Nessuno conosce il numero esatto, perché l’area rimane una “zona militare chiusa”. L’Operazione Ordine e Pulizia viene incoronata come un successo. L’esercito, come proposto nel piano Eiland, si prepara a replicare operazioni simili a Khan Younis e Deir al-Balah. In coordinamento con i comandanti sul campo, apparentemente senza l’approvazione dello Stato Maggiore, il movimento rivitalizzato per il reinsediamento di Gaza – che ha aspettato dietro le quinte per mesi – inizia a creare le prime nuove comunità nelle aree che sono state ‘epurate’ dai Palestinesi.
Uno scenario probabile ma non inevitabile
Non c’è certezza che questo scenario si realizzi. Può essere ostacolato in diversi momenti: l’esercito potrebbe far capire che non è interessato all’occupazione completa della Striscia di Gaza, né alla ricostituzione di un governo militare. L’esercito è consapevole che una tale operazione su larga scala potrebbe portare all’uccisione degli ostaggi rimasti, come è accaduto a Rafah, e non vuole essere responsabile del loro omicidio. Così come teme che un’operazione su larga scala a Gaza possa scatenare una risposta più forte da parte di Hezbollah, e quindi una guerra intensa su due fronti, o forse più.
Nonostante tutta l’indulgenza che l’amministrazione statunitense ha mostrato per le azioni genocide di Israele a Gaza – in cui sono stati affamati e annientati decine di migliaia di palestinesi – la prossima fase potrebbe essere troppo anche per il presidente Joe Biden, autoproclamatosi ‘sionista’, e per la candidata alla presidenza Kamala Harris, che parla di “sofferenza palestinese”. Questa potrebbe essere la mossa che costringerà la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) a dichiarare che Israele sta commettendo un genocidio e accelererà la Corte Penale Internazionale (ICC) a emettere mandati di arresto, e non solo per Netanyahu e Gallant.
I paesi europei, che finora hanno esitato a sanzionare Israele, potrebbero fare un passo avanti. Netanyahu potrebbe concludere che il prezzo internazionale di una tale operazione sarebbe troppo alto – al diavolo i desideri dei suoi alleati di destra.
Anche la società israeliana potrebbe porre ostacoli all’attuazione del piano. Come è emerso dalle manifestazioni di massa delle ultime settimane, gran parte dell’opinione pubblica ebraico-israeliana ha perso fiducia nelle promesse del governo di “vittoria totale” a Gaza o nell’idea che “solo la pressione militare libererà gli ostaggi”. Guidati dalle famiglie degli ostaggi – che si sono radicalizzate dopo la recente esecuzione da parte di Hamas dei sei ostaggi in un tunnel a Rafah – centinaia di migliaia di israeliani, a quanto pare, vogliono non solo vedere gli ostaggi tornare a casa, ma vogliono anche lasciarsi alle spalle la guerra. Il piano Rabi-Eiland, che certamente prolungherà la guerra a Gaza e probabilmente impedirà il ritorno degli ostaggi rimanenti, potrebbe essere rifiutato da centinaia di migliaia di manifestanti proprio per queste ragioni.
Tuttavia, dobbiamo anche ammettere che lo scenario che ho delineato sopra non è inverosimile. Dal 7 ottobre, la società israeliana ha subito un processo accelerato di disumanizzazione nei confronti dei palestinesi, ed è difficile che l’esercito si rifiuti in massa di portare avanti una campagna di sterminio di questo tipo, specialmente se viene presentata in fasi: prima l’allontanamento della maggior parte dei residenti, seguito dall’imposizione di un assedio, e solo in seguito l’eliminazione di coloro che rimangono.
Non si tratta semplicemente di una vendetta per le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre. Nella logica distorta che regola la politica israeliana nei confronti dei Palestinesi, l’unico modo per ripristinare la ‘deterrenza’ dopo l’umiliazione militare del 7 ottobre è quello di schiacciare completamente la collettività palestinese, comprese le sue città e istituzioni.
Per alcuni, potrebbe essere facile bocciare le proposte israeliane di “finire il lavoro” nel nord di Gaza con un clamoroso genocidio, che difficilmente verrà realizzato. Ma sono state concepite da Eiland, Rabi e da altre persone influenti – non solo da quelle del circolo ‘messianico’ di Ben Gvir e Smotrich. E a prescindere da ciò che accadrà nei prossimi mesi, il fatto stesso che le proposte aperte di affamare e sterminare centinaia di migliaia di persone siano in discussione dimostra esattamente a che punto è oggi la società israeliana.
Meron Rapoport è redattore di Local Call.
https://www.972mag.com/northern-gaza-liquidation-scenario-eiland-rabi
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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