Quando la guerra di Gaza finirà, i principali media israeliani avranno molte cose di cui rispondere

Mag 24, 2024 | Notizie

di Michael Sfard,

Haaretz, 23 maggio 2024. 

Lasciamo che i giornalisti e i redattori spieghino come la loro etica professionale si concili con la vergognosa decisione di tenere nascosto agli israeliani ciò che stiamo infliggendo alla popolazione di Gaza.

Danny Kushmaro mostra un’arma giocattolo trovata in una scuola di Gaza, durante il principale notiziario di Canale 12, l’anno scorso. Credit: Schermata dal telegiornale di Channel 12.

La divisione notizie di una televisione israeliana sta lavorando a un’importante inchiesta che esamina il regolamento per l’apertura del fuoco dell’esercito israeliano nella guerra di Gaza. I giornalisti stanno cercando di capire come mai così tanti gazawi, tra cui decine di migliaia di bambini e donne, siano stati uccisi dagli attacchi aerei e dall’artiglieria israeliana.

I giornalisti si stanno impegnando al massimo, temendo che qualche concorrente li batta sul tempo pubblicando un’inchiesta a cui anche i suoi reporter hanno lavorato: esporre le delibere dello Stato Maggiore e del gabinetto di guerra che hanno approvato il bombardamento di ospedali, fabbriche di cibo e scuole, nonché di edifici accademici e governativi, fino a trasformare la Striscia di Gaza in un cumulo di rifiuti edilizi. È molto probabile che questi reportage investigativi vadano in onda nei prossimi giorni e scatenino un terremoto in Israele.

Beh, non proprio. Nessuna inchiesta e nessun terremoto. Devo aver avuto le allucinazioni per i primi caldi estivi.

Il massimo trattamento “giornalistico” dei bombardamenti su Gaza che possiamo aspettarci dai principali media israeliani è la storia di un ufficiale di artiglieria che, il 7 ottobre, stava sciando all’estero con i colleghi della sua impresa e ha immediatamente lasciato la località sciistica, attraversato le Alpi a piedi, ha preso un passaggio fino alla riva del mare con dei neonazisti che non sapevano che fosse ebreo, e ha attraversato il Mediterraneo a nuoto per presentarsi alla base di riserva dove presta servizio – senza nemmeno salutare la sua famiglia. Oggi bombarda i gazawi.

Le lacrime degli spettatori sono riservate alla fine della pubblicità, quando vediamo il commovente ricongiungimento dell’ufficiale con la figlia di tre anni, venuta a trovarlo alla base.

Quando il conflitto israelo-palestinese finirà e saranno istituite commissioni per la verità e la riconciliazione, mi candiderò come pubblico ministero nella commissione che esamina la responsabilità dei media israeliani per i crimini dell’occupazione, dell’apartheid e delle guerre su Gaza. (Non esiste un pubblico ministero nelle commissioni per la verità e la riconciliazione, ma vorrei discostarmi per un momento dal modello sudafricano).

Immagino che, su mia richiesta, la commissione convochi i redattori e i conduttori dei telegiornali e dei programmi di attualità, così come i reporter e i commentatori militari, per spiegare alcune caratteristiche della loro copertura dell’occupazione, in particolare dell’attuale guerra a Gaza.

Che spieghino, ad esempio, come la loro etica e la loro deontologia professionale si conciliano con la vergognosa decisione di nascondere agli israeliani la documentazione di ciò che sta accadendo nella Striscia.

Non solo ci vengono nascoste le immagini delle sofferenze dei gazawi, ma non ci sono nemmeno interviste ai gazawi. Sette mesi in cui Israele ha sfollato, bombardato, affamato, ucciso, schiacciato e ammassato circa 2 milioni di persone – e sui canali israeliani non c’è nulla. Assolutamente nulla. Hanno deciso che il pubblico non ha bisogno di vedere e sentire ciò che stiamo infliggendo alla popolazione di Gaza. E poi gli israeliani si meravigliano per ciò che si dice di noi nelle capitali occidentali, dove i media credono ancora che il loro compito sia quello di rivelare, non di nascondere.

Una bambina palestinese porta delle taniche per raccogliere l’acqua mentre passa accanto alle case distrutte da un attacco israeliano, nel corso del conflitto tra Israele e Hamas, a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, mercoledì 22 maggio. Credit: Mohammed Salem / Reuters

Chiederò inoltre agli alti esponenti dei media israeliani di spiegare perché le opinioni contrarie alla guerra – non solo alla strategia militare, ma anche alla distruzione di Gaza come risposta ai crimini del 7 ottobre – sono state completamente escluse dagli studi televisivi. Com’è possibile che gli studi si siano assuefatti ai generali in pensione, al portavoce militare e ai vari incitatori ai crimini di guerra, ma non si discuta della moralità del tipo di guerra che stiamo conducendo? L’accusa che mi sento di rivolgere è che il consenso, l’acceso nazionalismo e la totale pacchianeria siano i principi che hanno caratterizzato le loro trasmissioni.

Poi c’è la stupefacente mancanza di copertura dei crimini dei coloni in Cisgiordania. Qualsiasi studente israeliano che si senta guardato in modo strano in un campus all’estero può ottenere un’intervista accattivante, ma 18 comunità palestinesi sradicate dalla loro terra negli ultimi sei mesi da violente bande terroristiche ebraiche ricevono zero minuti. La violenza dei coloni, che gode della protezione dell’esercito ed è quindi violenza di stato, è ai massimi storici, mentre il canale di informazione più popolare si concentra su un attacco populista a un accademico palestinese che è stato arrestato per motivi di cui i sovietici si sarebbero vergognati.

Vorrei anche chiedere ai redattori come mai, quando Hagar Shezaf di Haaretz ha rivelato il 7 marzo che 27 detenuti di Gaza erano morti in custodia presso le strutture militari israeliane dall’inizio della guerra, nessun redattore ha ripreso questa notizia raccapricciante o si è preoccupato di inviare i giornalisti a chiedere all’esercito e al governo perché i gazawi muoiono come mosche nelle nostre strutture di detenzione. E naturalmente nessuno ha esaminato cosa stesse accadendo in una prigione che si sta rivelando una camera di tortura israeliana. Oh, questo è un lavoro per la CNN.

E naturalmente cercherei di capire cosa passa per la testa dei media mainstream quando, invece di lottare come leoni per la libertà di espressione – che è ciò che permette tutto il loro lavoro – e di denunciare la chiusura di Al Jazeera in Israele, le star dei media stanno conducendo una campagna per mettere a tacere quella rete a causa della sua parzialità (una parzialità che, sebbene ovviamente opposta, è completamente simmetrica a quella delle stazioni israeliane).

Palestinesi rifugiati a Rafah, nel sud di Gaza. Credit: AFP

Prendiamo Danny Kushmaro di Channel 12, che ha chiesto più volte: “Com’è possibile che questo canale trasmetta ancora da Israele?”. Oppure Oded Ben-Ami e Amit Segal, che il giorno in cui è stato emesso l’ordine di chiusura di Al Jazeera hanno detto che Israele è un babbeo rispetto ai paesi arabi che hanno bloccato le trasmissioni di Al Jazeera con sede in Qatar molto tempo fa. Vorrei chiedere loro quanto possano mancare di autocoscienza, queste persone dei media che sostengono la chiusura di Al Jazeera, quando loro stessi, i reporter e i redattori del Canale 12, vengono chiamati dai sostenitori di Bibi “Al Jazeera 12”.

“Così, anche se alcuni media possono essersi opposti al governo”, ha scritto la Commissione sudafricana per la verità e la riconciliazione sul ruolo dei media nei crimini dell’apartheid, “il sistema sociale e politico creato dall’apartheid è stato sancito dai media. I media hanno analizzato la società dall’interno di quel sistema e non hanno fornito prospettive e discorsi alternativi dall’esterno”.

Siamo in un luogo diverso e in un momento diverso, ma questa formulazione esprime con precisione la responsabilità dei media israeliani nei crimini dell’occupazione israeliana. Traduciamo questo passaggio in israeliano:

“Anche se alcune parti dei media possono essersi opposte al governo e al suo leader, il sistema sociale e politico creato dall’occupazione israeliana e dal suo progetto intensivo di insediamento, soprattutto la cancellazione della Linea Verde, l’etichettatura di qualsiasi critica alle mosse di Israele come antisemita, l’affermazione che l’esercito israeliano è un esercito morale e persino ‘il più morale del mondo’ e, in larga misura, la nozione di superiorità ebraica e la disumanizzazione dei palestinesi sono stati sanciti dai media israeliani. I media israeliani hanno analizzato la realtà e la società dalla prospettiva etnocentrica ebraica e non hanno fornito punti di vista alternativi”.

Siete convinti che i media abbiano molto da spiegare? Aspettate finché non parleremo del sistema giudiziario israeliano.

Michael Sfard, avvocato, è specializzato in leggi di guerra e legge internazionale dei diritti umani.

https://www.haaretz.com/opinion/2024-05-23/ty-article-opinion/.premium/when-the-gaza-war-ends-israels-media-will-have-a-lot-of-explaining-to-do/0000018f-a1a3-d639-a5bf-f3fbb1be0000?utm_source=App_Share&utm_medium=iOS_Native

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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