di Mouin Rabbani,
Post su X, 7 maggio 2024.
Martedì sera [probabilmente l’autore si riferiva invece a lunedì 6 maggio. NdT], sembrava che la fine fosse finalmente in vista. Hamas aveva formalmente accettato la proposta di cessate il fuoco avanzata da Egitto e Qatar e nelle strade di Rafah e di altre città palestinesi della Striscia di Gaza sono scoppiati festeggiamenti spontanei.
Dato che il Segretario di Stato americano Antony Blinken e altri funzionari statunitensi hanno ripetutamente insistito sul fatto che Hamas costituisce l’unico ostacolo a un accordo di cessate il fuoco, si poteva perdonare ai palestinesi di credere che il giorno 213 di questo calvario genocida sarebbe stato l’ultimo.
L’euforia, tuttavia, è durata poco. Alcune ore dopo, l’ufficio del Primo Ministro israeliano Binyamin Netanyahu ha annunciato che il gabinetto di guerra israeliano aveva concordato all’unanimità che la proposta “è lontana dai requisiti necessari per Israele” e che l’ultima offensiva sulla città meridionale di Rafah, vicina al confine palestinese-egiziano, sarebbe continuata come previsto.
In effetti, l’esercito israeliano, sostenuto e rifornito dall’Occidente, ha lanciato intensi attacchi aerei e di artiglieria per sostenere l’incursione a Rafah, iniziata poco dopo l’annuncio di Netanyahu.
I negoziati per il cessate il fuoco sono in corso da tempo, guidati dall’Egitto e dal Qatar, che mantengono rapporti di lavoro sia con Israele che con Hamas. L’Egitto ha inoltre una stretta alleanza con Israele, mentre il Qatar ospita la leadership di Hamas sul proprio territorio.
Anche gli Stati Uniti sono spesso identificati come mediatori, ma questo non è del tutto esatto. Non solo sono il principale sponsor di Israele in tutti i sensi, ma chiedono apertamente la distruzione e l’eliminazione di Hamas, con cui non hanno contatti o comunicazioni.
Sebbene partecipi ai negoziati, come dimostrano le dichiarazioni di Blinken, Washington funge principalmente da rappresentante di Israele e non da ciò che qualsiasi osservatore ragionevole definirebbe un mediatore.
Dato il potere degli Stati Uniti e il sostegno incondizionato del Presidente Joe Biden a Israele e al suo governo di estrema destra, l’ipotesi di lavoro al Cairo e a Doha è stata che qualsiasi cosa Washington accettasse si sarebbe tradotta in un’approvazione israeliana.
Non è andata proprio così e il motivo principale è che l’impareggiabile abbraccio di Biden e Blinken a Israele e l’impunità israeliana nei confronti del popolo palestinese si sono estesi fino a permettere a Netanyahu di ignorare senza conseguenze le scelte politiche statunitensi.
Finché Blinken sarà al centro della diplomazia statunitense in Medio Oriente, potrà essere tranquillamente ignorato. Sprovveduto come sempre, nel suo ultimo viaggio in Medio Oriente ha dato ancora una volta la priorità a un accordo di normalizzazione saudita-israeliano, che lui sembra credere davvero imminente.
Per quanto riguarda il cessate il fuoco, non ha potuto trattenersi dall’elogiare l’offerta “straordinariamente generosa” di Israele di sospendere l’assalto genocida alla Striscia di Gaza per alcune settimane, con la ripresa delle uccisioni di massa solo dopo che Israele avesse recuperato in sicurezza i suoi prigionieri.
Solo dopo che lo sfortunato Segretario è tornato a Washington per stracciare altri promemoria di dissenso tra Israele e il Dipartimento di Stato e rilasciare ulteriori certificati di buona condotta ai suoi genocidari preferiti per consentire ulteriori forniture di armi, le cose hanno cominciato a cambiare.
Ancora una volta, Blinken è stato sostituito dal direttore della CIA William Burns, un diplomatico serio che conosce bene il Medio Oriente e che, a differenza del suo capo alla Casa Bianca, sa distinguere tra gli interessi statunitensi e quelli israeliani.
Tra i punti chiave dei negoziati c’è il fatto che Hamas ha chiesto la fine della guerra di Israele, mentre Israele ha insistito per continuarla.
Data questa contraddizione, i mediatori non potevano inserire una formulazione esplicita che ponesse fine o meno alla guerra e concludere comunque l’accordo. Ciò che sembra essere accaduto è che nella proposta sia stata inserita una formula sufficientemente vaga, accompagnata da assicurazioni informali americane che se Hamas avesse attuato le prime fasi dell’accordo in tre fasi, Washington avrebbe garantito la cessazione delle ostilità israeliane entro la fine della fase finale.
Per la cronaca, le assicurazioni degli Stati Uniti ai palestinesi nel corso degli anni sono state rispettate soprattutto con la loro violazione.
Il caso più evidente è stato nel 1982, quando l’amministrazione Reagan garantì la protezione dei civili rimasti a Beirut dopo il ritiro dell’OLP dalla capitale libanese, ma poi non fece nulla per fermare i massacri di Sabra-Shatila.
In questo contesto, e data l’insistenza di Hamas sulla fine della guerra di Israele, Netanyahu era sicuro che non sarebbe stato raggiunto alcun accordo, e comunque aveva detto ai mediatori che Israele avrebbe inviato dei rappresentanti al Cairo solo se Hamas avesse accettato formalmente l’ultima proposta.
Con grande costernazione di Israele, è emerso che la delegazione di Hamas inviata al Cairo aveva istruzioni di impegnarsi positivamente con la proposta e garantire un accordo. Netanyahu è andato su tutte le furie.
Ha risposto con una serie di dichiarazioni in cui affermava che Israele era determinato a invadere Rafah anche se fosse stato concluso un accordo di cessate il fuoco e che avrebbe terminato la sua campagna solo dopo aver ottenuto la vittoria totale che gli è sistematicamente sfuggita fin dall’inizio.
Tanto per non sbagliare, ha anche vietato ad Al-Jazeera di operare in Israele, in una mossa deliberatamente calcolata per irritare il governo del Qatar e provocare il suo ritiro dai negoziati.
Hamas ha interpretato l’ultima buffonata di Israele come una presa in giro della proposta e, soprattutto, del ruolo degli Stati Uniti nella sua attuazione, e la delegazione del movimento è tornata a Doha.
Altrettanto incattiviti, gli egiziani e i qatarini hanno perfezionato la loro proposta (e presumibilmente anche le garanzie statunitensi) per renderla più appetibile ad Hamas, che questa volta l’ha accettata.
Anche e presentata come un’iniziativa egiziano-qatariota, è inconcepibile che anche un solo segno di punteggiatura non sia stato prima chiarito con Burns, che si trova anch’egli a Doha, né che Burns non si sia analogamente consultato con Washington prima di approvarla.
Hamas sostiene di essere stato assicurato dagli egiziani e dai qatarini che Biden avrebbe garantito l’attuazione dell’accordo se il movimento lo avesse accettato. Probabilmente scopriremo la realtà di questa affermazione nei prossimi giorni.
Lo stesso dicasi per le dichiarazioni di Burns o dei funzionari di Washington che potrebbero affermare di non aver avuto alcun ruolo nell’elaborazione dell’ultima proposta.
In un mondo diverso si potrebbe pensare che questo significhi che anche Israele sarebbe costretto ad accettare l’accordo, soprattutto perché Biden ha pubblicamente identificato un’invasione israeliana di Rafah come una “linea rossa”. Ma questo mondo diverso non esiste.
Netanyahu è sicuro di poter oltrepassare a piacimento le linee rosse di Washington, perché quest’ultimo continuerà a non imporgli alcuna conseguenza. In effetti, Washington sta già facendo marcia indietro, affermando ora di opporsi solo a una “grande” operazione di terra israeliana a Rafah.
I prossimi giorni riveleranno se i calcoli di Israele sono validi o se c’è un limite oltre il quale l’amministrazione Biden non è disposta a farsi guidare dai suoi alleati israeliani di estrema destra.
Per quanto riguarda l’idea che tutto questo sia opera di Netanyahu, motivato unicamente dal suo desiderio di rimanere al potere per sfuggire ai processi per corruzione, questa non si accorda particolarmente bene con un gabinetto di guerra che ha approvato all’unanimità il rifiuto della proposta sul tavolo e l’invasione di Rafah. Ciò che sta accadendo a Gaza, e in Palestina più in generale, va ben oltre l’ostinazione di un politico di aggrapparsi al potere.
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Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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