Perché gli israeliani si sentono così minacciati da un cessate il fuoco?

Apr 2, 2024 | Notizie

di Meron Rapoport,

+ 972 Magazine, 29 marzo 2024. 

Fermare la guerra di Gaza significa riconoscere che gli obiettivi militari di Israele non erano realistici e che non può sfuggire a un processo politico con i palestinesi.

Un carro armato israeliano vicino alla barriera tra Israele e Gaza, nel sud di Israele, 21 gennaio 2024. (Chaim Goldberg/Flash90)

La decisione americana di non porre il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedeva un immediato cessate il fuoco a Gaza – la prima volta dall’inizio della guerra in cui ha permesso il passaggio di una tale risoluzione – ha riverberato onde d’urto in Israele. La successiva cancellazione da parte di Benjamin Netanyahu di un incontro previsto a Washington con l’amministrazione Biden non ha fatto altro che accrescere l’impressione che Israele sia rimasto isolato sulla scena internazionale e che Netanyahu stia mettendo a rischio il bene più importante del paese: l’alleanza con gli Stati Uniti.

Tuttavia, nonostante le diffuse critiche alla gestione di queste delicate questioni da parte di Netanyahu, anche i suoi avversari – sia nel campo “liberale” che nella destra moderata – sono stati unanimi nel condannare la risoluzione dell’ONU. Yair Lapid, capo del partito di opposizione Yesh Atid, ha dichiarato che la risoluzione è “pericolosa, ingiusta e Israele non l’accetterà”. Il ministro Hili Tropper, uno stretto alleato del rivale di Netanyahu, Benny Gantz – che secondo i sondaggi vincerebbe nettamente se si tenessero oggi le elezioni – ha dichiarato: “La guerra non deve fermarsi”. Questi commenti non si discostano molto dalle reazioni rabbiose di leader di estrema destra come Bezalel Smotrich o Itamar Ben Gvir.

Questo rifiuto quasi unanime del cessate il fuoco rispecchia il sostegno trasversale all’invasione della città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, anche se Netanyahu non sostiene che l’operazione raggiungerà la tanto attesa “vittoria totale” che ha promesso.

L’opposizione al cessate il fuoco può sembrare strana ad alcuni. Molti israeliani accettano la tesi che Netanyahu stia continuando la guerra per favorire i suoi interessi politici e personali. Le famiglie degli ostaggi israeliani, per esempio, sono sempre più critiche nei confronti del “ritardo” di Netanyahu e amplificano le loro richieste per un “accordo subito”.

Anche all’interno dell’establishment della sicurezza israeliana, sempre più persone affermano apertamente che “eliminare Hamas” non è un obiettivo raggiungibile. “Dire che un giorno ci sarà una vittoria completa a Gaza è una vera e propria menzogna”, ha detto di recente l’ex portavoce dell’IDF Ronen Manelis. “Israele non può eliminare completamente Hamas in un’operazione che dura solo pochi mesi”.

Quindi, se l’opinione che Netanyahu stia continuando la guerra per interessi personali sta crescendo; se l’inutilità di continuare la guerra sta diventando sempre più chiara, sia per quanto riguarda il rovesciamento di Hamas che per la liberazione degli ostaggi; se sta diventando ovvio che continuare la guerra rischia di danneggiare le relazioni con gli Stati Uniti – come si può spiegare il consenso in Israele sul “pericolo” di un cessate il fuoco?

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, i deputati e i ministri assistono a una votazione sul bilancio dello Stato nella sala delle assemblee della Knesset, a Gerusalemme, il 13 marzo 2024. (Yonatan Sindel/Flash90)

Domande fondamentali

Una spiegazione è il trauma inflitto dal massacro di Hamas del 7 ottobre. Molti israeliani pensano che, finché Hamas esiste e gode del sostegno popolare, non c’è alternativa alla guerra. Una seconda spiegazione riguarda l’innegabile talento retorico di Netanyahu che, nonostante la sua debolezza politica, è riuscito a instillare lo slogan della “vittoria totale” anche tra coloro che non credono a una sola parola di ciò che dice e tra coloro che capiscono, consciamente o inconsciamente, che questa vittoria non è possibile.

Ma c’è un’altra spiegazione. Fino al 6 ottobre, l’opinione pubblica ebraico-israeliana era concorde nel ritenere che la “questione palestinese” non dovesse preoccupare più di tanto. Il 7 ottobre ha infranto questo mito. La “questione palestinese” è tornata, con piena e sanguinosa forza, all’ordine del giorno.

Le risposte apparentemente possibili al cambiamento di questo status quo erano due: un accordo politico che riconoscesse realmente la presenza di un altro popolo in questa terra e il suo diritto a una vita di dignità e libertà, oppure una guerra di estinzione contro il nemico al di là del muro. L’opinione pubblica ebraica, che non ha mai veramente interiorizzato la prima opzione, ha scelto la seconda.

In quest’ottica, l’idea stessa di un cessate il fuoco appare minacciosa. Costringerebbe l’opinione pubblica ebraica a riconoscere che gli obiettivi presentati da Netanyahu e dall’esercito – “rovesciare Hamas” e liberare gli ostaggi attraverso la pressione militare – sono semplicemente irrealistici. L’opinione pubblica dovrebbe ammettere quello che potrebbe essere percepito come un fallimento, persino una sconfitta, di fronte ad Hamas. Dopo il trauma e l’umiliazione del 7 ottobre, per molti è difficile digerire una simile sconfitta.

Ma c’è una minaccia più profonda. Un cessate il fuoco potrebbe costringere l’opinione pubblica ebraica a confrontarsi con questioni più fondamentali. Se lo status quo non funziona, e una guerra costante con i palestinesi non può ottenere la vittoria desiderata, allora ciò che rimane è la verità: che l’unico modo per gli ebrei di vivere in sicurezza è attraverso un compromesso politico che rispetti i diritti dei palestinesi.

Il completo rifiuto del cessate il fuoco e la sua rappresentazione come una minaccia per Israele dimostrano che siamo lontani dal riconoscimento della suddetta verità. Ma stranamente, potremmo anche essere più vicini di quanto si pensi. Nel 1992, quando gli israeliani furono costretti a scegliere tra una frattura con gli Stati Uniti – dovuta al rifiuto dell’allora primo ministro Yitzhak Shamir di accettare lo schema presentato dagli americani per i colloqui con i palestinesi – e la ricucitura della frattura, scelsero la seconda opzione. Yitzhak Rabin fu eletto primo ministro e, un anno dopo, furono firmati gli accordi di Oslo.

L’attuale spaccatura con l’amministrazione americana convincerà gli ebrei israeliani ad abbandonare l’idea della guerra perpetua e ad accettare di dare una possibilità a un accordo politico con i palestinesi? Non è affatto chiaro. Ma quello che è certo è che Israele si sta rapidamente avvicinando a un bivio in cui dovrà scegliere: verso un cessate il fuoco e la possibilità di un dialogo con i palestinesi, oppure verso una guerra senza fine e un isolamento internazionale che non ha mai conosciuto. Perché l’opzione di tornare indietro, allo status quo del 6 ottobre, è chiaramente impossibile.

Questo articolo è stato pubblicato in collaborazione con The Nation e Local Call.

Meron Rapoport è redattore di Local Call.

https://www.972mag.com/ceasefire-opposition-israelis-gaza/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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