di Aluf Benn,
Haaretz, 26 marzo 2024.
Netanyahu deve ora decidere se riportare a casa gli ostaggi israeliani e permettere il ritorno dei palestinesi residenti del nord di Gaza -anche a prezzo di una spaccatura nella sua coalizione di governo- o se accettare l’opinione dell’estrema destra e dichiarare la creazione di un “problema numero 2 dei rifugiati palestinesi”.
Il problema dei rifugiati è al centro degli attuali negoziati tra Israele e Hamas. La questione è se Israele permetterà ai palestinesi di tornare nel nord della Striscia di Gaza, da cui sono stati espulsi all’inizio della guerra, o se saranno sfollati in modo permanente, lasciando l’area sotto il controllo israeliano.
L’argomento si ricollega anche a un’altra controversia pubblica in corso in Israele: se restituire il nord di Gaza ai palestinesi in cambio degli ostaggi israeliani detenuti nella Striscia, come chiedono i partiti centristi israeliani, o se rinunciare agli ostaggi e mantenere il territorio per costruirvi comunità ebraiche, come vuole la destra.
La principale mossa strategica adottata da Israele nella guerra scoppiata il 7 ottobre è stata l’espulsione dei residenti della Striscia settentrionale e la distruzione di case e infrastrutture. Non è chiaro se il leader di Hamas nella Striscia, Yahya Sinwar, avesse previsto che questo sarebbe stato il modo in cui Israele avrebbe reagito al massacro di Hamas nelle comunità israeliane vicino al confine con Gaza, o se sia stato sorpreso dall’intensità della risposta e dalla facilità con cui Israele ha svuotato la Striscia settentrionale di una considerevole maggioranza dei suoi residenti palestinesi, lasciando quelli rimasti a rischio di fame e morte.
Oltre alle espulsioni e alle distruzioni, Israele ha sgomberato un’area lungo il confine con Israele, dove verrà creata una striscia di sicurezza, priva di persone ed edifici. Ha anche costruito una strada che attraversa la larghezza della Striscia, strada che in futuro potrebbe servire a dividere una futura Gaza settentrionale israeliana da una Striscia meridionale sotto il controllo di Hamas.
Tutte queste misure sono state di basso profilo; le dichiarazioni militari e la maggior parte dei resoconti dei media israeliani si concentrano sulle operazioni tattiche, come il numero di terroristi uccisi, i tunnel fatti saltare e i sospetti arrestati.
Si avvicina il momento della decisione tra rendere permanenti le espulsioni dalla Striscia settentrionale o concedere a questi rifugiati il diritto al ritorno alle loro case. La Nakba palestinese del 1948 fu creata quando, sotto la guida del Primo Ministro David Ben-Gurion, Israele decise di impedire il ritorno dei rifugiati palestinesi che erano fuggiti o erano stati espulsi dalle loro città e dai loro villaggi durante i combattimenti della Guerra d’Indipendenza di Israele.
La politica di impedire il ritorno dei rifugiati, che continua ancora oggi, permise la creazione di Israele lungo le linee armistiziali del 1949. In pochi anni, centinaia di comunità arabe furono demolite e sostituite da comunità ebraiche. I discendenti dei rifugiati palestinesi sfollati nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania, in Giordania, in Siria e in Libano continuano da lì a portare avanti la loro battaglia contro Israele.
La decisione sui rifugiati provenienti dal nord di Gaza spetta al Primo Ministro Benjamin Netanyahu che, come al solito, siede sulla barricata e cerca di guadagnare tempo, mentre le Forze di Difesa Israeliane continuano a costruire una striscia di sicurezza lungo la barriera di confine e ad espellere alcuni dei residenti che sono rimasti lì. Israele si rifiuta di fornire loro rifornimenti usando un percorso rapido dal checkpoint di Erez e ignora le pressioni internazionali e gli avvertimenti sulla carestia incombente.
Netanyahu sta inviando messaggi contrastanti. Poco prima delle udienze presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia in merito alle accuse di genocidio contro Israele, ha dichiarato che “Israele non ha intenzione di occupare permanentemente Gaza o di sfollare la sua popolazione civile”. All’inizio della guerra, ha anche escluso una rinnovata presenza di comunità ebraiche a Gaza.
Da allora, però, ha appoggiato in silenzio le iniziative dell’estrema destra che hanno coinvolto anche molti membri del suo partito Likud. Il rifiuto di Netanyahu di accettare un futuro controllo palestinese nella Striscia, i suoi commenti ai media americani (ai quali ha detto che “resteremo a Gaza per almeno un decennio”) e la sua condotta nei negoziati con Hamas dimostrano che per il momento sta evitando di prendere una decisione, o almeno sta lasciando aperta l’opzione dell’occupazione e degli insediamenti.
Netanyahu conosce la storia. Per anni, Ben-Gurion ha resistito alle forti pressioni internazionali che chiedevano il ritorno dei rifugiati palestinesi, o di una parte di essi. Finché il mondo non si è abituato alla situazione. Questa è anche la posizione della destra israeliana: qualche ettaro di comunità israeliana a Gaza è meglio di qualche voto fastidioso alle Nazioni Unite o all’Aia. E come vogliono loro, non dovranno aspettare molti anni per uno sconvolgimento politico.
Netanyahu e i suoi partner credono, per non dire sperano, che a novembre Donald Trump vincerà le elezioni presidenziali statunitensi, ed è difficile credere che il disagio dei palestinesi possa interessare Trump, soprattutto dopo che il suo rivale, il presidente Joe Biden, ha espresso tanta compassione per loro. E se Israele potesse anche aiutare una rimonta di Trump incoraggiando la comunità filo-palestinese nello stato chiave del Michigan a non votare per i democratici questa volta, Trump sarebbe molto grato a Netanyahu.
Ma il primo ministro non può aspettare Trump per prendere una decisione. Anche se vincesse le elezioni, l’inaugurazione di Trump avverrebbe solo tra altri 10 mesi. Netanyahu deve decidere ora, mentre i negoziati in Qatar sono in corso, se riportare a casa gli ostaggi israeliani e permettere il ritorno dei residenti del nord di Gaza -anche a prezzo di una spaccatura nella sua coalizione di governo- o se accettare la posizione dell’estrema destra e dichiarare la creazione di un “problema numero 2 dei rifugiati palestinesi” e preparare la costruzione degli insediamenti di lusso di Samson Heights e Delila Oasis sui siti di Shujaiyeh e Jabalya e Rimal nella Striscia di Gaza.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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