Il “massacro della farina” è un precursore del “giorno dopo” di Israele a Gaza

Mar 5, 2024 | Notizie

di Yoav Haifawi,   

Mondoweiss, 4 marzo 2024.    

Il massacro dei palestinesi affamati deve essere inteso come un’anticipazione del piano “day after” di Israele per Gaza e tutta la Palestina: l’occupazione militare permanente.

Foto di un pacco di farina intriso di sangue. Condivisa dalla missione palestinese presso l’ONU sui social media il 29 febbraio 2024.

Le procedure politiche per scatenare un genocidio sotto gli occhi del mondo sono complicate. Sebbene Israele abbia la potenza militare per uccidere tutti a Gaza, deve trovare un modo per “criminalizzare” coloro che sono i suoi obiettivi. Quando si sospetta che un combattente della resistenza si nasconda, o semplicemente viva, in un edificio, questo serve come giustificazione per distruggere l’intero edificio, e a volte anche gli edifici circostanti. Essendo la “nazione startup”, l’esercito genocida di Israele ha persino industrializzato il processo di criminalizzazione degli obiettivi civili utilizzando l’intelligenza artificiale.

Ma anche con il modo indiscriminato e sanguinoso in cui è stato condotto l’assalto israeliano, il massacro degli affamati in cerca di pane in Al-Rasheed Street a Gaza, giovedì scorso, è stato diverso. Israele non ha nemmeno affermato che le sue truppe erano state attaccate o che c’erano combattenti della resistenza in giro. Questo massacro è avvenuto mentre Israele pretendeva di “prendersi cura” dei bisogni umanitari della popolazione palestinese. E piuttosto che un tragico incidente isolato, il “massacro della farina”, come è stato chiamato, può essere inteso come un presagio del nuovo ordine che Israele sta cercando di imporre alla popolazione di Gaza dopo la sua pianificata, ma finora sfuggente, eliminazione di Hamas. È stato un riflesso del piano israeliano del “giorno dopo” per Gaza e tutta la Palestina: l’occupazione militare permanente.

Fame e caos prodotti da Israele

L’attuale operazione di Israele a Gaza ha molte sfaccettature e si estende ben oltre la quotidiana raffica di bombardamenti mortali dal cielo e la distruzione operata dalle forze di terra. Israele sta anche producendo fame e caos in tutta Gaza.

Innanzitutto, la fame. Finora, Israele ha intenzionalmente ridotto al minimo la quantità di aiuti umanitari che entrano a Gaza. I principali ostacoli sono le “ispezioni” israeliane ostruzionistiche di tutti i rifornimenti che entrano, sia dall’Egitto attraverso il valico di Rafah sia direttamente da Karm Abu-Salem. Inoltre, l’esercito e la polizia hanno intenzionalmente permesso a teppisti di estrema destra di ostacolare la circolazione nei siti di ispezione e ai valichi, sostenendo che è responsabilità palestinese mantenere l’ordine. Il 22 febbraio, Kan, il servizio ufficiale di radiodiffusione israeliano, ha riferito che, a causa delle interruzioni da parte dei manifestanti, nessun camion di aiuti è potuto entrare a Gaza quel giorno. Quando i limitatissimi aiuti entrano finalmente a Gaza, devono affrontare strade distrutte e potrebbero ancora essere colpiti dall’esercito israeliano.

Poi il caos. Israele sta conducendo una guerra di logoramento contro tutte le organizzazioni umanitarie che cercano di alleviare le sofferenze della popolazione di Gaza. Molti operatori umanitari sono stati uccisi dagli attacchi israeliani. Un mese fa, l’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, ha riferito che 337 operatori sanitari e 145 membri del personale ONU sono stati uccisi – e le uccisioni continuano senza sosta.

Il caso dell’UNRWA è ben noto. Israele non nasconde il suo desiderio di abolire l’agenzia, accusandola di “perpetuare” l’esistenza dei palestinesi come popolo che lotta per tornare nella propria terra. Le potenze occidentali si sono affrettate a tagliare i finanziamenti essenziali all’UNRWA, impedendo l’assistenza salvavita per milioni di persone a Gaza nel momento di un’orribile catastrofe di origine umana, sulla base di affermazioni israeliane non provate contro alcuni dipendenti dell’organizzazione. Inoltre, il 25 febbraio, Amira Hass ha riportato su Haaretz che Israele sta sistematicamente bloccando i visti di lavoro degli operatori delle ONG umanitarie internazionali in Cisgiordania e a Gaza, costringendoli a lasciare il Paese. Il tutto nel tentativo di isolare i palestinesi e rendere davvero impossibile la vita a Gaza.

Inoltre, per generare ulteriore caos, Israele ha attaccato la polizia palestinese ogni volta che questa facilitava la consegna e la distribuzione degli aiuti a Gaza. Kan ha riferito che, a causa degli attacchi israeliani, la polizia palestinese ha smesso di curare la sicurezza dei convogli di aiuti e che, di conseguenza, le organizzazioni umanitarie hanno annunciato la sospensione delle attività di distribuzione degli aiuti, temendo per la sicurezza dei loro operatori.

La fame e il caos a Gaza non sono generati dalla leadership israeliana solo per infliggere dolore, ma anche per creare un’occasione favorevole ai piani d’Israele.

In un articolo apparso su Ynet il 28 febbraio, Ronen Bergman riferisce che i due ministri apparentemente “centristi” del gabinetto di guerra israeliano, gli ex generali Gantz ed Eisenkot, intendevano sfruttare la fame e il caos a Gaza per forzare il rilascio dei prigionieri israeliani. Come riporta Bergman, Gantz ed Eisenkot “hanno cercato di proporre, già circa un mese fa, di condizionare la continuazione degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza al rilascio degli ostaggi, ma la proposta è stata respinta”.

Ronen Bergman è un redattore del New York Times. Ma è anche un israeliano profondamente coinvolto, ed ha, secondo la sua stessa testimonianza, profonde connessioni ai piani alti dell’establishment militare israeliano. Nel suo articolo, accusa Netanyahu di “gesti inutili” a Gaza, come far entrare medicine e carburante. Mentre i “generali centristi” vogliono affamare i gazawi per costringere Hamas a consegnare i prigionieri israeliani senza scambio con prigionieri palestinesi, Netanyahu punta alla perpetuazione della guerra come unico modo per salvare il suo governo e mantenersi al vertice.

Il piano “del giorno dopo” di Netanyahu: occupazione aggressiva permanente

Visti i suoi legami con l’establishment israeliano, è interessante prendere nota delle osservazioni di Bergman. Egli descrive come Netanyahu stia sabotando i negoziati per lo scambio di prigionieri: “… su serve di ignoti che diffondono nei media notizie false sul grande ottimismo [nel team israeliano che negozia lo scambio di prigionieri], e che ci sono svolte e che la situazione è buona; lo fanno per far sì che, quando Hamas torna con una risposta negativa a un’offerta che chiaramente non poteva accettare, possa essere incolpato di aver fatto saltare i negoziati”.

Bergman aggiunge che “le persone che hanno familiarità con ciò che sta accadendo nell’ambiente di Netanyahu pensano che egli stia facendo di tutto per ostacolare l’accordo e stia manipolando l’opinione pubblica con tutti i mezzi a sua disposizione in modo che, anche se si presentasse un accordo che fosse ragionevole per i negoziatori dell’establishment della sicurezza, egli lo rifiuterebbe. E, se questo venisse a conoscenza del pubblico, come uno degli alti funzionari ha assicurato, lui, Netanyahu, li presenterebbe, tutti, come perdenti che non sono pronti a combattere Hamas fino alla vittoria completa”.

Bergman parla a nome di parte dell’establishment militare e dipinge un quadro molto pessimistico della situazione bellica di Israele. “Il punto cruciale”, riassume, “è che l’IDF è bloccato a Gaza. Gli ostaggi rapiti stanno gradualmente morendo. Il pubblico israeliano è inondato di informazioni distorte o false. L’esercito ha manifestato il suo dissenso uscendo sostanzialmente dalla Striscia: cinque divisioni che hanno partecipato alla guerra sono diventate cinque brigate che stanno partecipando a un’operazione limitata a Khan Younis. Gli alti ufficiali militari dicono che è necessario un cessate il fuoco, che è necessario un accordo, anche se i capi dell’esercito non lo dicono esplicitamente”.

Ma per Netanyahu e la maggioranza estremista del suo governo le cose si stanno mettendo bene. Non ci sono pressioni internazionali significative per porre fine alla guerra. Il governo israeliano non è disposto nemmeno a prendere in considerazione una soluzione politica, quindi la sua strategia è una guerra di logoramento, ritenendo che la superiorità militare di Israele estinguerà la forza di resistenza della popolazione palestinese, anche se ciò richiederà anni di conflitto sanguinoso.

A tal fine, dopo un lungo ritardo, Netanyahu ha presentato le componenti fondamentali di quella che dovrebbe essere la sua visione del “giorno dopo” a Gaza, o meglio in tutta la Palestina. Si tratta di una visione che prevede il pieno controllo militare di Israele tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Nessuna entità palestinese indipendente sarà accettata.

Per contrastare le pressioni internazionali, Israele vuole dimostrare di poter provvedere da solo, con alcuni mediatori palestinesi locali “non politici”, anche alla gestione quotidiana della popolazione. Nel suo articolo, Bergman riferisce che il gabinetto di guerra israeliano alla fine ha deciso di consegnare qualche aiuto umanitario alla devastata Gaza settentrionale. Questo dopo aver cacciato la polizia palestinese e aver messo in pericolo tutte le organizzazioni umanitarie, come descritto sopra. E questo ci porta al “massacro della farina”. L’esercito israeliano ha deciso di mettere in sicurezza i convogli da solo, e quale modo migliore di mettere in sicurezza un convoglio di aiuti se non accompagnandolo con formidabili carri armati? Quando i palestinesi affamati nelle strade di Al-Rasheed hanno cercato di “saccheggiare” i rifornimenti, i soldati nei carri armati hanno sparato contro di loro con le loro mitragliatrici.

Su scala minore, in Cisgiordania si verificano quotidianamente sparatorie contro palestinesi disarmati da parte di soldati che “si sentivano minacciati” dalla loro presenza. Nel tentativo di spiegare il massacro di Al-Rasheed, l’esercito israeliano ha affermato che i suoi soldati pesantemente armati si sono sentiti vigliaccamente minacciati dai civili disarmati che si avvicinavano troppo alle loro postazioni. Non sono i gazawi che si sono avvicinati troppo, sono gli israeliani che si sono spinti dove non dovevano.

Il governo di Netanyahu vuole mantenere la sua presenza militare a Gaza per sempre. Non parla ancora ufficialmente di nuovi insediamenti, ma molti elementi della coalizione ci stanno lavorando. Il massacro degli affamati in cerca di pane ci ricorda che per fermare lo spargimento di sangue non basta chiedere un cessate il fuoco adesso. Non è meno importante chiedere il ritiro immediato e completo del sanguinario esercito di occupazione.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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