di Dawn Clancy,
PassBlue, 23 gennaio 2024.
Un nuovo programma di assistenza in denaro dell’Unicef sta aiutando i gazawi a rimuovere i cumuli di rifiuti accumulati durante la guerra, comprese le feci umane. L’obiettivo è quello di fermare la diffusione di malattie infettive nell’enclave, dato che milioni di civili sono costretti a vivere per strada o in ripari precari.
Bombe, proiettili e il peso soffocante delle lastre di cemento cadute sui corpi intrappolati dove un tempo sorgevano le case sono solo alcune delle ragioni per cui il bilancio delle vittime a Gaza continua a salire. Ma di recente, l’acqua contaminata e il sistema sanitario sovraccarico stanno contribuendo a diffondere malattie infettive che potrebbero uccidere ancora più palestinesi nella Striscia.
Per migliorare la situazione, l’Unicef ha lanciato un programma specifico di ‘denaro in cambio di lavoro’ nel sud di Gaza, in cui circa 100 volontari, provenienti dall’Università Al-Quds della città di Rafah, saranno pagati 40 shekel israeliani, la valuta di Gaza, equivalente a 10-12 dollari al giorno, per raccogliere e contenere i rifiuti solidi, compresi gli escrementi umani.
Un membro del Consiglio Norvegese per i Rifugiati (NRC), che ha chiesto di non essere identificato, ha così descritto le condizioni in cui si trova: “La prima cosa che mi viene in mente è la merda. Letteralmente e metaforicamente. Poi, naturalmente, anche parole come disgustoso, spaventoso, invivibile e disumano possono descrivere l’odore e le condizioni generali. Quando ci si avvicina a un sito collettivo, l’odore può colpire a 30 metri di distanza. Ti brucia il naso e ti fa lacrimare”.
Il programma dell’Unicef, lanciato l’11 gennaio, durerà tre mesi. I lavoratori saranno retribuiti con un sistema di pagamento elettronico monitorato, utilizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni 10 giorni, ovvero circa tre volte al mese. Il progetto, del valore di 2 milioni di dollari, è finanziato dal Comitato Australiano per l’Unicef per l’assistenza umanitaria in Cisgiordania e Gaza.
Jonathan Crickx, responsabile delle comunicazioni dell’Unicef in Palestina, ha dichiarato che il piano è una derivazione del programma di assistenza umanitaria in denaro dell’agenzia, che prevede che le famiglie ricevano denaro per acquistare cibo, acqua e prodotti per l’igiene durante le crisi.
Il programma cash-for-work sui rifiuti funziona secondo lo stesso principio, ha detto Crickx, ma invece di dare ai civili denaro per comprare beni di prima necessità, “si tratta di denaro per aiutare a migliorare la situazione”, ha osservato, aggiungendo che l’obiettivo principale del programma sono “proprio i rifiuti umani”. PassBlue ha intervistato Crickx dal suo ufficio a Gerusalemme. Agli operatori di Gaza viene fornito l’equipaggiamento protettivo necessario per svolgere il lavoro in sicurezza.
“Stiamo assistendo a un aumento del numero di infezioni respiratorie, diarrea cronica e di tutti i casi di malattie trasmesse dall’acqua”, ha detto. “E una delle ragioni è il fatto che non esiste alcun sistema fognario o di raccolta dei rifiuti solidi”.
PassBlue non ha potuto intervistare le persone che lavorano nel programma nel sud di Gaza a causa delle interruzioni di Internet legate all’assedio di Israele.
“Poiché le scuole vengono utilizzate come luoghi di raccolta per gli sfollati interni, le fosse settiche raggiungono molto presto la loro capacità massima e dovrebbero essere svuotate regolarmente, cosa che non è possibile nelle condizioni attuali”, ha dichiarato Shaina Low, consulente per la comunicazione del NRC in Palestina, un’organizzazione non governativa internazionale, in un’e-mail a PassBlue. “Di conseguenza, l’acqua delle fogne trabocca e scorre tra le tende”.
“La rete di Rafah è stata progettata per coprire le esigenze di circa 200.000-300.000 persone. Attualmente ci sono più di un milione di persone, il che spinge il sistema al limite”, ha aggiunto Low, anch’egli residente a Gerusalemme. “Anche lo smaltimento dei rifiuti è diventato un problema enorme. L’immondizia è ovunque e l’intera area si è praticamente trasformata in una grande discarica”.
Secondo Low, in circostanze normali, una volta raccolta, la spazzatura viene portata nell’area centrale di Gaza, nota anche come Deir al-Balah, dove viene seppellita e si decompone senza contaminare il terreno o le falde acquifere. Ma ora le esigenze sono così grandi che la spazzatura viene gettata ovunque ci sia terra libera. “C’è anche un problema di rifiuti medici”, ha aggiunto, “che dovrebbero essere trattati prima di essere gettati”.
In un’intervista alla CNN, Catherine Russell, capo dell’Unicef, che ha visitato Khan Younis a novembre, ha detto del “paesaggio desolante” di quel luogo: “Ho visto mucchi e mucchi di rifiuti per strada”. Riguardo ai bambini palestinesi uccisi nel conflitto, ha detto: “Come adulti dobbiamo fare tutto il possibile per proteggere [i bambini] nei luoghi in cui dovrebbero essere al sicuro, come le scuole e gli ospedali, ma anche, più in generale, fare ogni passo umanamente possibile per assicurarci che 4.700 bambini -o qualunque sia il loro numero- siano protetti”. (Aveva anche detto che avrebbe rivisto l’area dopo un “paio di settimane”, ma l’Unicef dice che ora deve seguire le cure mediche legate a un incidente d’auto in cui era rimasta coinvolta durante il suo viaggio in Medio Oriente).
In un’e-mail a PassBlue, Tarik Jasarevick, portavoce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha dichiarato che dalla metà di ottobre 2023, nei luoghi di rifugio temporaneo di Gaza sono state rilevate oltre 200.000 infezioni alle vie respiratorie superiori e sono stati segnalati più di 150.000 casi di diarrea. Questo numero include 84.000 casi tra i bambini sotto i cinque anni.
“Il numero di casi di diarrea tra i bambini di età inferiore ai cinque anni registrato negli ultimi tre mesi del 2023 è 26 volte superiore a quello riportato nello stesso periodo del 2022”, ha dichiarato Jasarevick.
Altre malattie segnalate in aumento sono varicella, itterizia, scabbia, pidocchi, impetigine ed epatite.
“Casi di epatite A, un’infiammazione del fegato, sono stati confermati a Gaza“, ha scritto il 18 gennaio su X Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS.
“Le condizioni di vita disumane – è difficile trovare acqua potabile, servizi igienici puliti e condizioni per tenere pulito l’ambiente circostante – permetteranno all’epatite A di diffondersi ulteriormente ed evidenziano quanto l’ambiente sia esplosivamente pericoloso per la diffusione delle malattie. Continuiamo a chiedere che l’accesso agli aiuti medici sia libero e sicuro e che la salute sia protetta”. E ha aggiunto: “Cessate il fuoco”.
L’emergenza igienico-sanitaria di Gaza deriva principalmente dall’evacuazione di massa di quasi due milioni di gazawi, o sfollati interni (IDPs), che fuggono dagli incessanti bombardamenti israeliani nelle zone settentrionali e centrali dell’enclave per trasferirsi in spazi più ristretti a sud, tra cui Khan Younis e Rafah, due città in cui i sistemi igienico-sanitari, se non distrutti dai bombardamenti, sono sopraffatti dall’enorme domanda.
In alcuni campi e in alcuni rifugi, c’è un bagno ogni 500-700 persone”, ha detto Crickx. “E poi, in pratica, dalla fine di dicembre ha iniziato a piovere molto, ma non c’è nessun tipo di sistema di drenaggio. E non c’è alcun tipo di sistema fognario. Così le strade sono semplicemente allagate, coperte di fango e di rifiuti, qualsiasi tipo di rifiuti, compresi quelli umani”.
Alcuni sfollati sono ricorsi a defecare all’aperto.
Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA), dal 7 ottobre – quando gli attacchi di Hamas hanno ucciso circa 1.200 persone, per lo più israeliani, mentre altre 136 sono state prese in ostaggio – 1,7 milioni di palestinesi si sono rifugiati nelle strutture UNRWA a Gaza.
Il ministero della Sanità di Gaza stima che circa 25.000 palestinesi siano stati uccisi finora nella guerra tra Israele e Hamas. Prima dell’attuale guerra tra Israele e Hamas, la popolazione totale di Gaza era di 2,3 milioni di persone.
Chiara Saccardi, direttrice regionale per il Medio Oriente di Action Against Hunger, un gruppo umanitario globale, ha dichiarato a PassBlue che “la più grande priorità e la maggior preoccupazione” per la sua squadra di 18 persone attualmente al lavoro a Rafah è rappresentata dalle acque reflue che inondano le strade, un’emergenza ulteriormente complicata da una quantità limitata di carburante. Il carburante, ha detto Saccardi, “non viene distribuito nelle aree necessarie”, rendendo difficile il funzionamento di quei sistemi idrici e igienici che non sono stati fisicamente danneggiati. (Saccardi lavora normalmente a Madrid).
“I nostri colleghi ci dicono che [i palestinesi] si rifugiano in luoghi che sono invasi da acque reflue inquinate e che per andare da un posto all’altro devono attraversarle”, ha detto Saccardi. “È davvero un quadro desolante”. E non è possibile riparare le attrezzature, visto che a Gaza infuriano i combattimenti.
“Il problema è che l’elenco delle cose che possono essere importate [a Gaza] o che possono arrivare attraverso i convogli [di aiuti] è estremamente limitato … quando si tratta di materiali da costruzione, attrezzature, macchinari e così via, e ora la limitazione è ancora più severa di quanto non fosse prima del 7 ottobre”, ha detto Saccardi. “È davvero difficile operare adeguatamente o anche solo pensare di poter fare qualche piccola riparazione o intervento, perché manca tutto”.
Stéphane Dujarric, portavoce delle Nazioni Unite, ha dichiarato il 19 gennaio che “quantità limitate di carburante sono entrate nella Striscia di Gaza da Rafah. Tuttavia, poiché sono insufficienti, gli ospedali, le strutture idriche e altre strutture critiche stanno ancora operando solo a capacità limitata”.
Omar Hamarsheh, professore di biologia molecolare all’Università Al-Quds di Gerusalemme, ha dichiarato in un’intervista a PassBlue: “Questa situazione [a Gaza], creata dalla guerra, rende la diffusione delle malattie infettive molto elevata”.
“Poi ci sono persone che non vivono in una casa, ma nelle scuole e nei campi, e non hanno accesso ai bagni e non possono fare la doccia, il che rende anche l’igiene personale un problema, facilitando la diffusione delle malattie”, ha detto Hamarsheh.
“Il sistema sanitario di Gaza è molto fragile”, ha aggiunto. “Quindi, quando ci si ammala o si soffriva già di certe malattie e non si ha accesso alle cure, la situazione peggiora. La mia preoccupazione è che la situazione a Gaza stia diventando un incubatore per le epidemie”.
Dawn Clancy è una reporter di New York City che si occupa di questioni femminili, conflitti internazionali e diplomazia. Ha conseguito un master presso la Graduate School of Journalism della Columbia University. In precedenza ha scritto per il Washington Post e l’HuffPost.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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