Gli appelli israeliani alla pulizia etnica di Gaza si fanno sempre più insistenti

Gen 6, 2024 | Notizie

di Ishaan Tharoor,

The Washington Post, 5 gennaio 2024.   

Un carro armato israeliano manovra lungo il confine tra Israele e Gaza, mercoledì 3 gennaio. (Amir Cohen/Reuters)

Quasi tre mesi di guerra hanno lasciato Gaza in rovina. Il tentativo di Israele di sradicare il gruppo militante Hamas dopo l’attacco mortale del 7 ottobre, sembra tutt’altro che terminato, nonostante l’aumento vertiginoso del numero di morti tra i palestinesi. Più di 20.000 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza a causa dei bombardamenti israeliani e dell’offensiva in corso. Una crisi umanitaria di vaste proporzioni ha visto sfollati quasi il 90% dei gazawi, mentre la maggior parte degli oltre 2 milioni di abitanti del territorio occupato è sull’orlo della carestia.

“Sono stato in tutti i tipi di conflitti e di crisi”, ha dichiarato questa settimana al New Yorker Arif Husain, economista capo del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite. “In vita mia, non ho mai visto nulla di simile in termini di gravità, dimensioni e velocità”.

La miseria umana che si sta dispiegando a Gaza trova poca simpatia nel discorso pubblico israeliano, dove la priorità rimane la sconfitta di Hamas – autore del più sanguinoso massacro di ebrei dopo l’Olocausto – e la liberazione degli ostaggi detenuti nei rifugi di Hamas a Gaza. In realtà, il martellamento continuo di frasi ad effetto pronunciate dai legislatori israeliani e da altri esponenti politici ha prospettato un destino ancora più devastante per il territorio.

I membri della coalizione di destra del Primo Ministro Benjamin Netanyahu hanno invocato lo sganciamento di una bomba nucleare su Gaza densamente popolata, l’annientamento totale del territorio come segno di punizione, e l’immiserimento della sua popolazione fino al punto che non abbia altra scelta che abbandonare la propria patria.

Solo questa settimana, un parlamentare del partito Likud di Netanyahu è andato in televisione e ha detto che per la maggior parte degli israeliani è chiaro che “tutti i gazawi devono essere distrutti”. Poi, l’ambasciatore di Israele in Gran Bretagna ha detto a una radio locale che per il suo Paese non c’era altra soluzione che radere al suolo “ogni scuola, ogni moschea, ogni seconda casa” a Gaza per indebolire l’infrastruttura militare di Hamas.

Famiglie palestinesi sfollate dal nord e dal centro della Striscia di Gaza evacuano verso il sud di Gaza il 13 ottobre. (Loay Ayyoub per il Washington Post)

Tutti questi appelli retorici sono finiti nella denuncia di 84 pagine depositata dal governo del Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia, che accusa Israele di azioni che equivalgono a un genocidio o alla mancata prevenzione di un genocidio. Pur condannando l’attacco di Hamas del 7 ottobre, la causa sudafricana sostiene che “nessun attacco armato sul territorio di uno stato, per quanto grave –e anche se comprende crimini di atrocità­– può … fornire una qualche giustificazione o difesa per le violazioni” della Convenzione sul Genocidio. La campagna militare di Israele a Gaza, spiega il documento, ha già “devastato vaste aree di Gaza, compresi interi quartieri, e ha danneggiato o distrutto più di 355.000 case palestinesi”, rendendo inabitabili ampie zone del territorio per un lungo periodo di tempo nel futuro. Secondo la denuncia sudafricana, le autorità israeliane non sono riuscite a reprimere “l’incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio” da parte di una serie di politici, giornalisti e funzionari pubblici israeliani.

Questo include figure di estrema destra come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, che fanno ben poco per nascondere la loro visione di una Gaza ripulita etnicamente. “Ciò che deve essere fatto nella Striscia di Gaza è incoraggiare l’emigrazione”, ha detto Smotrich in un’intervista rilasciata domenica alla radio dell’esercito israeliano. “Se a Gaza ci saranno 100.000 o 200.000 arabi e non 2 milioni di arabi, l’intera discussione sul ‘giorno dopo’ sarà del tutto diversa”. Ben Gvir, per parte sua, ha chiesto la migrazione forzata de facto di centinaia di migliaia di persone da Gaza.

Gli Stati Uniti e altri funzionari occidentali hanno condannato queste dichiarazioni come “infiammatorie e irresponsabili”. Ma queste reazioni non sono servite a cambiare il tono del conflitto. Lo stesso Netanyahu, secondo alcuni miei colleghi, ha cercato di convincere l’Egitto, altri governi arabi e altri Stati ad accogliere i rifugiati gazawi – un’idea che non piace a molti in Medio Oriente, che temono un’ulteriore sottrazione delle loro terre da parte di palestinesi.

Gli appelli israeliani per una pulizia etnica de facto e per un potenziale insediamento israeliano a Gaza potrebbero non riflettere la reale posizione del gabinetto di guerra di Israele. “In privato, i funzionari israeliani dicono che le proposte [di trasferire i gazawi] derivano dagli imperativi politici della coalizione di Netanyahu e dalla sua dipendenza dai partiti di estrema destra per mantenere il potere”, hanno riferito i miei colleghi.

“I professionisti dell’esercito e della sicurezza sanno che questo non è nemmeno una lontana possibilità”, ha dichiarato al Washington Post una persona che ha familiarità con le conversazioni all’interno del governo israeliano, parlando a condizione di anonimato perché non autorizzata a discutere pubblicamente la questione. “Sanno che non c’è futuro senza i gazawi a Gaza e senza l’Autorità Palestinese come parte del governo”.

Palestinesi riflessi in uno schermo televisivo danneggiato mentre cercano tra le macerie di un edificio dopo un bombardamento israeliano a Rafah, il 26 dicembre. (Said Khatib/AFP/Getty Images)

Ma Netanyahu e i suoi alleati rimangono decisamente vaghi sulla strategia finale che immaginano per Gaza. Questa incertezza, sostengono gli analisti, non fa che accrescere le preoccupazioni sulle intenzioni di Israele tra i suoi vicini arabi, comprese le monarchie del Golfo che si erano recentemente avvicinate allo Stato ebraico.

“Nessuno farà i passi che precedono nuovi accordi di normalizzazione quando Netanyahu respinge le richieste degli Stati Arabi su una soluzione politica a due Stati e insiste sul fatto che proprio loro dovrebbero finanziare la ricostruzione di Gaza senza tante domande o vincoli”, hanno scritto Michael Koplow e David Halperin dell’Israel Policy Forum.

“L’Iran e i suoi alleati non si lasceranno scoraggiare quando gli alti funzionari statunitensi in visita esporranno ripetutamente la loro visione di una Gaza post-bellica e i membri del gabinetto israeliano si accalcheranno l’uno sull’altro nella loro corsa agli studi televisivi per offrire pubbliche confutazioni”, hanno aggiunto, sostenendo che è fondamentale che l’amministrazione Biden spinga gli israeliani ad affrontare queste realtà.

Nel frattempo, un gruppo di israeliani importanti, tra cui ex legislatori, scienziati e intellettuali di spicco, hanno scritto mercoledì una lettera congiunta in cui condannano le autorità giudiziarie israeliane per non aver posto un freno ai discorsi genocidi ampiamente diffusi. “Per la prima volta, a quanto possiamo ricordare, gli inviti espliciti a commettere crimini atroci contro milioni di civili, sono diventati una parte legittima e regolare del discorso israeliano”, hanno scritto. “Oggi, appelli di questo tipo sono un fatto quotidiano in Israele”.

Ishaan Tharoor è un editorialista di affari esteri del Washington Post, dove è autore della newsletter e della rubrica Today’s WorldView. Nel 2021 ha vinto l’Arthur Ross Media Award in Commentary dell’American Academy of Diplomacy. In precedenza è stato redattore senior e corrispondente della rivista Time, prima a Hong Kong e poi a New York.

https://www.washingtonpost.com/world/2024/01/05/wv-israel-hamas/?utm_medium=email&utm_source=newsletter&wpisrc=nl_todayworld&utm_campaign=wp_todays_worldview

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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