di David Rothkopf,
Haaretz, 31 dicembre 2023.
Il 7 ottobre è stato un crimine atroce. Ma quanti gazawi devono morire, quanti ministri israeliani devono promuovere la pulizia etnica, quanti fallimenti deve negare Netanyahu – perché gli Stati Uniti riconsiderino il loro sostegno immorale e incondizionato alla guerra depravata condotta dal governo di Israele?
Israele può mai andare troppo oltre, agli occhi degli Stati Uniti?
Sembra che uccidere 20.000 palestinesi, ferirne altri 50.000, sfollare due milioni di persone e avere una coalizione di governo con alti funzionari che sostengono attivamente la pulizia etnica non sia abbastanza per far sì che l’America diminuisca o sospenda il suo sostegno al governo di Israele.
A quanto pare, fissare obiettivi militari impossibili come lo “sradicamento” di Hamas, non riuscendo a fare veri progressi verso obiettivi ancora più ragionevoli come eliminare la sua leadership e rendere Israele più sicuro, mentire o depistare sugli errori del governo israeliano e promettere una guerra che si protrarrà per molti mesi ancora – tutto questo non è abbastanza da farci dire: no, dobbiamo smettere di fornire armi, denaro e prestigio politico per sostenere questa impresa già fallita a Gaza.
Il nostro legame con Israele è così grande da essere, forse unico tra tutte le nostre amicizie e partnership nel mondo, incondizionato? La nostra sensazione che il trauma subito da Israele il 7 ottobre sia stato così orribile è tale da costringerci ad accettare le sue reazioni a quegli attacchi terroristici, a prescindere dalla quantità di sofferenze innocenti che creeranno, a prescindere dalla quantità di sangue e di orrori che ne deriveranno?
L’ideale aspirazione a una patria ebraica è così importante da accettare che quello Stato possa ripetutamente e senza conseguenze violare i diritti umani più fondamentali dei palestinesi che vivono entro i confini controllati da Israele?
Sono domande molto dure e preoccupanti, rese ancora più difficili dal fatto che ci sono eventi che ci costringono a prenderle ora in considerazione.
Forse, se guardiamo al futuro, possiamo avvicinarci alla risposta o almeno iniziare a dare una spiegazione al nostro comportamento. Per quanto terribile sia stato ciò che è accaduto a Gaza negli ultimi due mesi e mezzo, sembra che dovremo considerare orrori o offese ancora più grandi per sondare la natura e i limiti del nostro sostegno a Israele – non l’Israele idealizzato delle speranze e dei sogni del passato, dell’eroismo o delle conquiste, ma l’Israele che ha scelto di fare di Benjamin Netanyahu e di una banda di estremisti sempre più radicali il proprio governo negli ultimi due decenni.
E se Israele continuasse a combattere, ignorando gli appelli dell’amministrazione Biden a ridurre il conflitto?
E se Israele continuasse a combattere con totale disprezzo per le vite degli innocenti e se le morti e le sofferenze continuassero ad aumentare? Ci fermiamo quando 25.000 persone sono morte? Quando 30.000 saranno stati annientati? Quando 50.000 se ne saranno andati? Quanti bambini morti ci vogliono per riconsiderare la nostra politica?
Non si può negare che le 1.200 vite perse il 7 ottobre rappresentino la più grande tragedia della storia di Israele e uno dei crimini più efferati mai commessi da un gruppo terroristico. Presto supereremo un numero di vittime tra i gazawi 20 volte superiore. È sufficiente? O deve essere 30 volte tanto? Quante donne e bambini gazawi compensano le perdite strazianti delle loro controparti israeliane?
Forse possiamo usare una metrica diversa. Forse dovremmo essere puramente pragmatici. Quanti gazawi devono morire per rendere Israele più sicuro? Ci sono state altre guerre in passato. Anche i loro costi sono stati elevati. Ma chiaramente non hanno reso Israele più sicuro né hanno indebolito gli elementi estremisti di Hamas. L’errore del passato è stato che Israele non si è spinto abbastanza in là? Non ha ucciso abbastanza? Si è fermato troppo presto? Come faremo a sapere che questa volta hanno calcolato bene?
Forse dovremmo considerare un’altra serie di possibili esiti futuri e contemplare come potremmo reagire ad essi. Alcuni, troppi, tra i leader israeliani hanno proposto di trasferire la popolazione di Gaza, forse nel Sinai, forse in Paesi dell’Africa e dell’America Latina. Gli Stati Uniti si sono opposti senza mezzi termini. Ma se si realizzassero i trasferimenti, sarebbe questa la linea rossa che porterebbe gli Stati Uniti a riconsiderare il loro sostegno a questo governo israeliano, a qualsiasi governo israeliano che sostenga tali politiche?
I funzionari statunitensi hanno detto che Israele non deve occupare, controllare o insediarsi a Gaza in futuro. Mentre alcuni in Israele hanno affermato che questo non era l’intento del loro paese, altri si sono schierati su entrambi i fronti della questione, compreso il Primo Ministro Netanyahu. È questa la linea rossa?
Oppure la linea rossa sarebbero ulteriori passi nell’uso della violenza e dell’intimidazione per impadronirsi di altra terra e stabilire nuovi “insediamenti” ebraici in Cisgiordania? Oppure la linea rossa sarebbe cercar di bloccare la creazione di una legittima alternativa di governance palestinese, magari fissando standard irraggiungibili da parte dell’amministrazione Biden, come un’Autorità Palestinese riformata?
Oppure la linea rossa sarebbero ulteriori passi per eliminare i diritti dei cittadini palestinesi in Israele? Per indebolire la democrazia in quel Paese? Continuare, come sembra probabile, con le “riforme giudiziarie” autoritarie di Netanyahu, ovvero la sua guerra alla magistratura? Per continuare a sostenere e prolungare il mandato illegittimo del suo corrotto primo ministro?
Quand’è che il troppo è troppo? Quanti morti sono troppi? Quanta sofferenza è troppa?
Quanto danno agli interessi dell’America è troppo? L’associazione degli Stati Uniti con un governo israeliano che ignora i consigli di Washington pur pretendendo il suo sostegno è già costata cara sulla scena internazionale.
Ha reso più difficili le nostre relazioni nella regione e con gli alleati nel resto del mondo. Ha rafforzato il peso e le apparenti ragioni dei nostri nemici all’estero e degli avversari politici in patria. Ha ostacolato i meritevoli e sinceri sforzi dell’amministrazione Biden di rivolgere la propria attenzione a problemi di importanza strategica ben maggiore, dall’Ucraina all’Indo-Pacifico.
Esiste una linea rossa? Esiste un limite? C’è un punto in cui la nostra etica o la nostra posizione morale contano abbastanza per noi da non limitarci a porre domande come quelle sopra citate, ma che ci consentono di osare le risposte giuste?
È altrettanto importante chiedersi se tali limiti siano stati chiaramente comunicati dagli autorevoli funzionari statunitensi durante le loro numerose visite ad alto livello nella regione. Nelle mie conversazioni con alti funzionari, ho avuto l’impressione che essi ritengano di aver espresso questi punti. Ma i risultati suggeriscono che è necessario un linguaggio più forte, che devono essere delineate conseguenze reali per chi ignora le indicazioni degli Stati Uniti e che la nostra volontà di imporle deve essere resa indubbia.
Una volta, quando Israele era visto non solo come un rifugio necessario per gli ebrei del mondo, ma anche come una luce splendente nella regione, che promuoveva la democrazia e l’innovazione, era nell’interesse vitale degli Stati Uniti creare una relazione speciale con questo paese. Era fondamentale nel contesto della Guerra Fredda. Era importante alla luce di quello che consideravamo il nostro scopo più grande nel mondo.
La Guerra Fredda è cosa del passato. Molti interessi e priorità dell’America sono cambiati. E il governo israeliano di oggi – non il popolo del paese, ma il suo governo – ha abusato della fiducia di cui è stato investito sia dai suoi cittadini che dai suoi amici, in particolare dagli Stati Uniti.
Quanti altri danni si possono permettere? Le nazioni che si preoccupano davvero l’una dell’altra permettono dunque ai loro amici di minare la propria sicurezza con politiche sconsiderate, di compromettere i propri valori, di danneggiare se stessi e tutti coloro che li sostengono, di commettere crimini che violano gli insegnamenti e i valori che un tempo volevano emulare e incarnare, di commettere crimini contro l’umanità?
Non siamo forse arrivati al punto in cui il modo migliore per essere amici di Israele è dire “basta”? Non abbiamo superato da tempo quel punto?
Trovare un esito pacifico e giusto alla guerra di Gaza sarà un compito difficile e importante. Ma sarà anche una sfida che questa guerra ha creato per i leader e per il popolo dell’America. Questa non è più solo una guerra combattuta in una parte del mondo di cui ci preoccupiamo, da persone a cui teniamo o dovremmo tenere. È diventata un importante test morale.
Questo dovrebbe contare per gli americani, se vogliamo che l’America continui a essere leader. E dovrebbe importare agli israeliani che considerano le fondamenta del nostro rapporto speciale non solo pragmatiche, ma anche legate ad aspirazioni e ideali condivisi.
David Rothkopf ha pubblicato recentemente “American Resistance: The Inside Story of How the Deep State Saved the Nation”. È anche conduttore di podcast e amministratore delegato di TRG Media.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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Finalmente qualcuno negli USA si fa delle domande
E nel resto del mondo, nell’ Europa, nel mondo arabo, nelle comunità ebraiche della diaspora?
Nulla di nulla, nessuna domanda.