Molti palestinesi della Cisgiordania sono costretti a lasciare i loro villaggi. La mia famiglia sarà la prossima?

di Ali Awad,

The New York Times, 20 novembre 2023. 

Zuhour Muhammad Awad, nonna dell’autore, mentre cammina nel villaggio di Tuba nel maggio 2021. Dice di essere nata a Tuba nel 1948. Ha trascorso la sua vita occupandosi di greggi di pecore e producendo formaggio e yogurt. Emily Glick

Sono nato nel febbraio 1998 a Tuba, una comunità rurale di pastori con 80 abitanti palestinesi, nelle Colline a Sud di Hebron, in Cisgiordania, dove la mia famiglia vive da generazioni. Nel corso degli anni abbiamo subito ripetuti attacchi da parte dei coloni israeliani, episodi di una campagna tuttora in corso per allontanarci dalla nostra terra. Tuttavia, non avrei mai immaginato ciò che la nostra vita è diventata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Nelle ultime sei settimane, le incursioni e le molestie dei coloni sono diventate così intense che non so per quanto tempo ancora io e gli altri membri della mia comunità riusciremo a vivere qui.

Con la copertura della guerra, i coloni hanno preso d’assalto i villaggi della Cisgiordania, minacciando i palestinesi e distruggendo le loro case e i loro mezzi di sostentamento. L’attenzione internazionale si è concentrata soprattutto sulle atrocità in Israele e a Gaza, compreso lo sfollamento interno di oltre metà della popolazione della Striscia di Gaza.

In Cisgiordania, gli assalti sempre più violenti ai villaggi hanno costretto almeno 16 comunità palestinesi – più di 1.000 persone dal 7 ottobre – a fuggire dalle loro case. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, i coloni hanno attaccato i palestinesi in più di 250 incidenti in Cisgiordania. Finora sono stati uccisi 200 palestinesi, otto dai coloni e gli altri durante gli scontri con le forze israeliane.

Nel mio villaggio e in altri villaggi intorno a noi, i coloni hanno fatto irruzione nelle case e ci hanno molestato senza sosta, in certi casi più volte al giorno. A meno di una settimana dall’inizio della guerra, secondo un video pubblicato dal gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, un colono armato è entrato nel villaggio di At-Tuwani, nelle colline meridionali di Hebron, si è avvicinato a un gruppo di palestinesi disarmati che camminavano per strada dopo la preghiera del venerdì e ha sparato a bruciapelo a uno di loro, colpendolo all’addome. A dieci minuti di strada, a Susiya, gli abitanti del villaggio hanno dichiarato che i coloni hanno minacciato di sparare ai residenti se non avessero evacuato le loro case entro 24 ore. Il 30 ottobre, i coloni hanno dato fuoco a diverse case a Khirbet a-Safai, un villaggio a meno di un miglio a est di Tuba. I residenti del villaggio vicino verso ovest, Umm al-Khair, hanno raccontato agli attivisti per i diritti umani che coloni armati in uniforme militare hanno tenuto sotto la minaccia dei fucili gli abitanti e li hanno costretti a condannare Hamas e a promettere di innalzare bandiere israeliane nel villaggio, altrimenti sarebbero stati uccisi.

Per noi di Tuba, questa ondata di attacchi fa parte di una lunga serie di tentativi per costringerci a lasciare le nostre case. E non sono solo i coloni a volerci far partire: anche i governi israeliani che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno cercato di sbarazzarsi di noi.

L’autore, Ali Awad, affida una pecorella a suo cugino di 3 anni a gennaio. Emily Glick

All’inizio degli anni ’80, il nostro villaggio, insieme a un gruppo di altri villaggi in un’area chiamata Masafer Yatta, è stato designato dall’esercito come Zona di tiro 918, un’area che Israele ha deciso di volere per l’addestramento delle sue forze (un documento governativo indica che c’era da molto tempo l’intenzione di sfollare i residenti da quella zona). Da allora stiamo lottando per il diritto di rimanere nella nostra terra. Viviamo nell’Area C della Cisgiordania, il che significa che l’esercito israeliano ha il completo controllo civile e di sicurezza sulla nostra vita. Israele ha tentato varie tattiche per indurci ad andar via, tra cui l’attuazione di politiche che ci impediscono di costruire case nel nostro villaggio e non ci permettono di collegarci alla rete elettrica principale o alle infrastrutture idriche.

A volte la procedura per sfollarci è stata molto meno sottile: nel novembre 1999, quando avevo un anno, l’esercito israeliano ha caricato tutti i residenti e il bestiame di Tuba su camion e ci ha scaricati sul ciglio della strada a diversi chilometri di distanza. Abbiamo trascorso i mesi successivi ammassati in tende di fortuna, cercando di riparare noi stessi e il nostro bestiame dalla fredda pioggia invernale. Alla fine ci è stato permesso di tornare al nostro villaggio “temporaneamente”, in attesa di una decisione definitiva del tribunale.

Anche i coloni dell’avamposto illegale di Havat Ma’on – costruito vicino a Tuba e in parte su terreni privati palestinesi poco dopo il nostro ritorno – hanno fatto la loro parte. Nel 2002, hanno tagliato la strada principale che collegava Tuba ai villaggi circostanti, compresa la scuola più vicina ai bambini e la città di Yatta dove acquistiamo tutto il cibo e le forniture mediche.

I coloni hanno anche fatto ricorso alla violenza, in alcuni casi contro la mia stessa famiglia. Crediamo che siano stati i coloni vicini a pugnalare mio zio, ad attaccare i miei cugini con delle pietre e, come ho già scritto, a dare fuoco a un anno di cibo per le nostre greggi di pecore.

Per tutto questo tempo, abbiamo aspettato la sentenza finale dell’Alta Corte israeliana che doveva decidere se l’esercito israeliano poteva costringerci a evacuare. Poi, l’anno scorso, la corte si è pronunciata a favore dello Stato, permettendo a Israele di sfrattare circa 1.200 palestinesi, compresi quelli del mio villaggio. Siamo rimasti sul posto, irremovibili di fronte a queste pressioni e ci siamo rifiutati di abbandonare la nostra terra e il nostro stile di vita tradizionale. Ma nelle ultime settimane gli attacchi dei coloni hanno scosso la nostra determinazione.

Abbiamo sempre pensato che il lavoro dei militari, che demoliscono le nostre case e ci impediscono di muoverci liberamente, fosse intimamente intrecciato con le molestie dei coloni e aiutato da loro. Tuttavia, da quando è iniziata la guerra, più di un mese fa, i coloni e i soldati della regione sembrano essersi completamente fusi in un’unica entità, ponendo fine a qualsiasi parvenza di distanza tra questi due sistemi violenti. Coloni che conosciamo da anni di molestie nei nostri villaggi sono diventati improvvisamente soldati, come riservisti o come parte delle squadre di sicurezza civile di Itamar Ben-Gvir. I riservisti dell’esercito che sono nuovi nella zona, a quanto pare, ora prendono ordini dai coloni-soldati locali o dalle squadre di sicurezza. Insieme pattugliano le nostre comunità con i loro M16 e minacciano chiunque cerchi di portare al pascolo il proprio gregge o di lasciare il villaggio per lavorare o fare commissioni.

A Tuba, come nei villaggi vicini, i coloni hanno preso di mira anche i sistemi idrici e i pannelli solari che abbiamo costruito e da cui dipendiamo completamente, come a ricordarci la nostra vulnerabilità. Stanno chiaramente approfittando di questo momento per rendere la nostra vita invivibile e non abbiamo motivo di credere che, soprattutto se continua la guerra, la violenza che stiamo vivendo nelle nostre comunità rallenti o si fermi presto. Le autorità israeliane locali dicono che stanno indagando su alcuni degli attacchi più violenti, compresi gli omicidi, ma non mostrano alcun segno di riuscire a controllarli e, di fatto, i ministri del governo stanno alimentando le fiamme.

Solo nelle ultime cinque settimane, i residenti di altri cinque villaggi delle Colline a Sud di Hebron sono stati costretti a fare i bagagli e a lasciare le loro case. Se la situazione non cambia, temo che il villaggio di Tuba sarà il prossimo. Come ha recentemente affermato una lettera firmata da 30 ONG israeliane per i diritti umani: “L’unico modo per fermare questo trasferimento forzato in Cisgiordania è un intervento chiaro, forte e diretto da parte della comunità internazionale”.

Da quando ho memoria, la vita a Tuba è stata difficile, ma anche sempre piena di bellezza e di calma. È la vita che la mia famiglia conosce da generazioni e lo stile di vita tradizionale che conduciamo è profondamente legato alla terra che ci circonda e agli animali di cui ci prendiamo cura. Le colline sono segnate dai nostri passi e da quelli delle nostre greggi, le rocce in cima alla collina sono disposte ordinatamente in modo da poter guardare il tramonto sul deserto. Ma la paura che proviamo, a Tuba e in tutta l’Area C, ora incombe pesantemente su questo paesaggio. Non so se riusciremo a sopportarla.

Ali Awad è un organizzatore di comunità e giornalista che vive a Tuba, nella regione di Masafer Yatta, in Cisgiordania.

https://www.nytimes.com/2023/11/20/opinion/israel-west-bank-palestinians.html

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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