Una lettera all’Europa da un Palestinese

di Majed Abusalama,

Al Jazeera, 18 ottobre 2023. 

Palestinesi feriti nell’ospedale Ahli Arab siedono per terra all’ospedale al-Shifa di Gaza City. 17 ottobre 2023. (AP/Abed Khaled)

Cari Europei,

Come milioni di Palestinesi, sto vivendo il peggior incubo dell’ennesimo ciclo di morte e distruzione di massa scatenato sul nostro popolo – qualcosa che spesso definireste semplicemente “un’escalation” del “conflitto israelo-palestinese”.

Mentre scrivo queste righe, al-Ahli Hospital è stato bombardato, uccidendo centinaia di bambini, uomini e donne, che avevano cercato sicurezza nei locali dell’ospedale. Ore prima, la notizia della morte del mio amico Mohammed Mokhiemar, sua moglie Safaa, e la loro bambina di tre mesi Elyana mi ha raggiunto.

Sono stati uccisi dopo aver evacuato con altre famiglie nella parte meridionale di Gaza, seguendo gli ordini israeliani. Loro e altri 70 palestinesi sono stati uccisi dagli attacchi aerei israeliani.

L’unica parola che mi viene in mente è “qahr” in arabo; non è solo dolore, angoscia e rabbia. È il sentimento tramandato per generazioni, accumulato in oltre 75 anni di pulizia etnica, uccisioni di massa, ingiustizia, oppressione, colonizzazione, occupazione e apartheid. È un sentimento radicato in ogni palestinese, qualcosa con cui dobbiamo vivere tutta la vita.

È un sentimento con cui sono nato in una famiglia di rifugiati nella Striscia di Gaza. I miei nonni provenivano dal villaggio di Isdud (ora Ashdod) e dal villaggio di Bayt Jirja, ma furono costretti a stabilirsi nel campo profughi di Jabalia, a circa 20 km (12,4 miglia) di distanza dalle loro case.

Qahr è stata probabilmente la prima emozione che ho letto sul volto di mia madre da bambino – una giovane madre preoccupata per i suoi bambini sopravvissuti all’attacco israeliano a Gaza durante la prima Intifada.

Qahr era come mi sentivo quando gli israeliani fecero irruzione in casa nostra, e quando arrestarono mio padre, che è stato sottoposto a ripetute detenzioni arbitrarie senza processo o accuse. È stata la Qahr a sopraffarmi quando ho visto soldati israeliani aprire il fuoco su dimostranti palestinesi pacifici. Qahr era più potente del dolore che provavo quando hanno sparato anche a me.

La Qahr ha definito ogni attacco lanciato da Israele a Gaza uccidendo, mutilando e devastando la mia famiglia, i miei amici, i vicini e i miei compagni palestinesi nel 2008, 2009, 2012, 2014, 2020 e 2021.

Oggi, mentre osservo quello che sta accadendo nella mia patria, sento qahr, ma anche profonda indignazione e frustrazione. Le reazioni dei vostri leader, cari europei, a quanto sta accadendo hanno rivelato ancora una volta una solidarietà selettiva, un fallimento morale e un cupo doppio standard.

L’11 ottobre, quando più di 1.000 palestinesi erano già stati uccisi dai bombardamenti indiscriminati su Gaza da parte di Israele, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha offerto sostegno incondizionato a Israele.

“L’Europa sta con Israele. E sosteniamo pienamente il diritto di Israele di difendersi“, ha detto, non facendo menzione del blocco completo che Israele aveva imposto a Gaza, tagliando l’elettricità, l’acqua e la fornitura di cibo e medicine – ciò che gli esperti legali definiscono un crimine di guerra.

Appena pochi giorni prima, il suo collega, il Commissario Olivér Várhelyi, aveva detto: “La portata del terrore e della brutalità contro Israele e il suo popolo è un punto di svolta. Non ci può essere nulla come al solito“, annunciando la sospensione di tutti gli aiuti al popolo palestinese, in un chiaro atto di punizione collettiva.

La decisione è stata rivista, ma il danno era stato fatto: tutti i palestinesi erano stati dipinti come “brutali terroristi”.

Ovviamente, non c’è stata una reazione ufficiale europea ai funzionari israeliani che chiamavano i palestinesi “animali” e “sub-umani” e alle implicazioni genocidarie che questo linguaggio comporta; non sorprende, dato che le marce dei coloni israeliani in cui questi gridano “uccidere gli arabi” non sono mai state condannate.

Tuttavia c’è stato uno sforzo concertato per censurare e impedire ai Palestinesi della diaspora e ai loro alleati europei di piangere e dimostrare solidarietà con il popolo di Gaza, giacché diversi Stati europei hanno imposto divieti di protesta e le forze di polizia hanno molestato e picchiato i manifestanti.

I politici europei di tutto lo spettro politico – tra cui molti liberali e verdi – si sono uniti alla campagna di disumanizzazione collettiva dei Palestinesi. Eppure, questi stessi individui sono stati più che disponibili al sostegno dell’Ucraina nella sua lotta contro l’occupazione russa.

Secondo loro, gli Ucraini hanno il diritto di resistere, i Palestinesi no; gli Ucraini sono “combattenti per la libertà”, i Palestinesi sono “terroristi”. Le vite ucraine perdute a causa dei bombardamenti indiscriminati di abitazioni e infrastrutture civili meritano il lutto, le vite palestinesi perse nelle stesse circostanze è meglio ignorarle – o peggio giustificarle come esercizio da parte di Israele del suo “diritto di difendersi“. Questo doppio standard europeo è veramente mortale.

Il fatto che i leader e i politici europei stiano prendendo posizione morale in questo momento e ci etichettano, i Palestinesi, come “terroristi brutali” è piuttosto notevole, soprattutto considerando la storia precedente a ciò che sta accadendo.

Ricordiamoci che nel vostro continente, cari Europei, l’antisemitismo selvaggio e brutale imperversava da secoli, causando sanguinosi pogrom, uccisioni di massa, espulsioni, spoliazioni e vessazioni degli Ebrei europei. Quando emerse un movimento all’interno della comunità ebraica che chiedeva un esodo di massa in Palestina, gli antisemiti europei lo incoraggiarono.

Uno di loro, il ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour, firmò nel 1917 l’impegno che il governo britannico avrebbe sostenuto la creazione di una casa nazionale per il popolo ebraico in Palestina, sulle terre della popolazione indigena palestinese.

L’Olocausto, il picco dell’antisemitismo omicida europeo, è stato seguito da paesi europei che hanno sostenuto all’unanimità la creazione di Israele in un voto delle Nazioni Unite. Più della metà del mondo – ancora sotto il dominio coloniale – non poteva votare.

Alla popolazione palestinese indigena, ovviamente, non è stato chiesto se volesse pagare il prezzo della brutalità antisemita europea. L’anno successivo, le milizie israeliane ripulirono etnicamente più di 750.000 palestinesi dalla loro patria in quella che chiamiamo, la Nakba, la catastrofe.

Come lo scrittore americano James Baldwin giustamente scrisse in un articolo del 1979 che riflette su questa realtà: “lo Stato di Israele non è stato creato per la salvezza degli Ebrei; è stato creato per la salvezza degli interessi occidentali … I Palestinesi hanno pagato per la politica coloniale britannica di ‘divide et impera‘ e per la colpevole coscienza cristiana dell’Europa per più di trent’anni.

Non dovrebbe essere così difficile guardare in modo critico alla brutalità a cui sono stati sottoposti i Palestinesi e chiedersi se è giusto. Non dovrebbe essere così difficile aprire un libro di storia e

leggere e conoscere ciò che è accaduto in Palestina e capire la nostra lotta per l’autodeterminazione e il ritorno. Non dovrebbe essere così difficile leggere la miriade di risoluzioni delle Nazioni Unite che riaffermano i nostri diritti – resistere, essere liberi dall’occupazione, tornare in patria.

È una vergogna parlare di diritti umani, uguaglianza e democrazia e poi non mettere in discussione le politiche brutali di un Paese che pratica la colonizzazione e l’apartheid.

Nei primi sei giorni di guerra, Israele ha sganciato 6000 bombe sulla densamente popolata Striscia di Gaza. Questo, secondo gli esperti, è l’equivalente di un quarto di una bomba atomica.

Secondo il Ministero della Salute palestinese, più di 3.000 persone sono state uccise, tra cui più di 1.000 bambini [col passare dei giorni i numeri si sono moltiplicati, ndr]; ma in realtà non sappiamo il vero numero dei morti giacché molte persone rimangono sotto le macerie senza che nessuno li tiri fuori.

La scorsa settimana, Israele ha ordinato a più di 1,1 milioni di palestinesi a Gaza di evacuare le loro case sotto continui bombardamenti. Le immagini dei Palestinesi che lasciano le loro case e si fanno strada tra le macerie verso un’illusoria sicurezza ci hanno ricordato la Nakba. Tra loro c’è la mia famiglia, che ha lasciato con il cuore pesante la nostra casa parzialmente danneggiata, che avevano costruita nel corso della loro la vita.

Mentre scrivo queste righe, temo di ricevere in qualsiasi momento un messaggio sulla morte della mia famiglia: Ismail mio padre, Halima mia madre, Mohammed mio fratello, Asmaa mia cognata, e le mie bellissime nipoti Elya (6 anni) e Naya (2 mesi).

Voglio che ricordiate i loro nomi. Non voglio che diventino semplici numeri se vengono uccisi.

Non avrei paura per la loro vita oggi, cari Europei, se non fosse per il vostro sostegno, il silenzio e la complicità nei crimini israeliani e il sostegno economico e politico che Israele riceve dai governi europei che avete eletto.

Verrà un giorno in cui la Palestina sarà liberata. Sarà un giorno di resa dei conti. Vi verrà chiesto: mentre l’occupazione israeliana e l’apartheid stavano schiacciando i Palestinesi, cosa stavate facendo? Cosa direte per la vostra inazione?

C’è ancora tempo per risparmiarvi la vergogna di essere dalla parte sbagliata della storia. Come ha detto Bell Hooks, “La solidarietà è un verbo [cioè un’azione e non un’entità astratta, NdT]“. State agendo ora per fermare il genocidio a Gaza?

 Majed Abusalama è un dottorando del Palestine Research Group dell’Università di Tampere (Finlandia), analista politico e scrittore. È un rifugiato nato e cresciuto nel campo profughi di Jabalia a Gaza e ora risiede a Berlino. È co-fondatore di Palestine Speaks in Germany, e di Sumud – The Finnish Palestine Network.

https://www.aljazeera.com/opinions/2023/10/18/a-letter-to-europe-from-a-palestinian

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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