di Salam Fayyad,
Foreign Affairs, 27 ottobre 2023.
Le riforme che potrebbero permettere all’OLP di guidare e all’Autorità Palestinese di governare.
Nell’ultimo decennio è stato chiaro che il “processo di pace” tra israeliani e palestinesi si è da tempo trasformato in poco più di un prolungato tentativo di tirarla per le lunghe. Eppure, negli ultimi anni, l’assenza di violenza continuata su larga scala ha prodotto un’illusione di stabilità. Anche coloro che non si erano lasciati cullare dall’autocompiacimento sono rimasti scioccati dallo scoppio della devastante guerra che imperversa da quando Hamas ha attaccato il sud di Israele il 7 ottobre.
Le ultime tre settimane hanno visto una perdita di vite umane di una dimensione spaventosa. Per Israele si tratta della più devastante perdita di civili dei suoi 75 anni di esistenza. Nei primi 15 giorni di questa guerra sono stati uccisi più palestinesi di quanti ne siano stati uccisi durante la seconda Intifada, durata più di cinque anni, e di tutti i successivi cicli di violenza messi insieme. Peggio ancora, sembra probabile che molte altre migliaia di civili palestinesi periranno se Israele perseguirà il suo obiettivo dichiarato (anche se irraggiungibile) di eliminare Hamas. Lo stesso risultato si avrebbe anche con l’obiettivo meno ambizioso di sradicare le infrastrutture di Hamas.
In queste condizioni, la prima priorità deve essere quella di fermare la corsa verso l’abisso. A tal fine, Hamas deve rilasciare incondizionatamente i civili israeliani che detiene. Il recente rilascio di alcuni prigionieri è stato un passo avanti ed è realistico aspettarsi che ne vengano rilasciati altri.
Ma Israele non sembra essere dell’umore adatto per discutere di un cessate il fuoco in questo momento e, almeno finora, l’amministrazione Biden non ha voluto fare pressioni sugli israeliani perché prendessero in considerazione questa opzione. Al contrario, gli Stati Uniti si sono limitati a sollecitare Israele a ritardare un’invasione di terra di Gaza fino al rilascio di altri ostaggi. L’inizio di una simile operazione militare produrrebbe una carneficina senza precedenti, aumenterebbe il rischio di un conflitto regionale più ampio e potenzialmente minaccerebbe i governi di diversi Paesi Arabi, che potrebbero destabilizzarsi di fronte alle proteste di massa. Un’invasione israeliana di Gaza metterebbe inoltre ulteriormente a rischio l’Autorità Palestinese (AP), già vulnerabile, mentre la rabbia cresce in Cisgiordania. Alla luce di queste considerazioni, il disprezzo rivolto dai funzionari israeliani al Segretario Generale delle Nazioni Unite per il suo recente appello a un cessate il fuoco immediato per porre fine a quelle che ha definito “sofferenze epiche” a Gaza non si può vedere in altro modo che come un gesto sconsideratamente pericoloso e di sapore guerrafondaio.
Rimane la speranza che il rilascio dei civili israeliani in prigionia possa ritagliare uno spazio sufficiente alla diplomazia araba e internazionale per trovare una risposta rapida alla domanda su cosa accadrà il “giorno dopo”, ovvero chi governerà all’indomani dell’operazione israeliana in corso. Un’idea da escludere è quella di imporre ai palestinesi un qualsiasi accordo particolare dopo averli costretti alla sottomissione. Da escludere senza esitazione è anche l’idea che l’Autorità Palestinese, nella sua configurazione attuale, torni a esercitare la sua giurisdizione sulla Striscia di Gaza.
Innanzitutto, non è certo che l’AP, nella sua attuale configurazione, sia disposta ad assumersi le responsabilità di governare Gaza dopo che un’offensiva israeliana mortale e distruttiva avrà fatto il suo corso. Anche se l’Autorità Palestinese cercasse di svolgere questo ruolo, non sarebbe in grado di farlo, soprattutto se si considera che la sua legittimità, già ridotta, sta rapidamente svanendo sotto la pressione della guerra in atto.
Ma un’AP adeguatamente riconfigurata potrebbe offrire la migliore opzione per il “giorno dopo” e oltre, fornendo una strada per uno sforzo a livello regionale e sostenuto a livello internazionale per porre fine all’occupazione israeliana, in un quadro che affronti in modo credibile le debolezze strutturali che hanno ostacolato il processo di pace negli ultimi tre decenni.
Una via d’uscita
L’AP è stata creata nel 1994 come entità di governo transitoria in Cisgiordania e a Gaza, in base agli accordi di Oslo, sottoscritti dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a nome del popolo palestinese. Ma l’AP e l’OLP iniziarono presto a soffrire di un’erosione di legittimità causata dal fallimento del quadro di Oslo nel mantenere la promessa di uno Stato palestinese sul territorio catturato e poi occupato da Israele nel 1967. La progressiva disillusione sulla fattibilità di tale obiettivo e il concomitante aumento del sostegno alla resistenza armata –come sostenuto da Hamas e da altri movimenti politici che si sono opposti al quadro di Oslo fin dall’inizio– hanno contribuito a tale erosione, mettendo in discussione che fosse ancora valida la pretesa dell’OLP di essere l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese. Insieme al cronico malgoverno dell’AP, l’esclusione di un’ampia gamma di fazioni politiche e orientamenti politici palestinesi ha lasciato all’OLP e all’AP una reputazione molto limitata tra i palestinesi.
Sia l’OLP che l’AP avrebbero dovuto essere riformate e riconfigurate molto tempo fa, e l’urgenza di questo compito non è mai stata così grande come oggi. Il primo passo deve essere l’espansione immediata e incondizionata dell’OLP per includere tutte le principali fazioni e forze politiche, tra cui Hamas e la Jihad islamica palestinese. Hamas ha ottenuto la maggioranza assoluta nelle ultime elezioni parlamentari tenutesi nei territori palestinesi nel 2006, e sebbene da allora non si siano più tenute elezioni simili, i sondaggi mostrano che Hamas ha continuato a godere di un notevole sostegno pubblico. Inoltre, non si vede come l’OLP possa credibilmente impegnarsi a favore della nonviolenza come parte di qualsiasi tentativo di riavviare il processo di pace se Hamas e le fazioni di orientamento simile non sono rappresentate.
L’OLP potrebbe essere ampliata senza dover abbandonare i requisiti del processo di pace. Ma tale processo dovrebbe essere radicalmente modificato in modo da affrontare le cause profonde del suo fallimento negli ultimi tre decenni. Innanzitutto, Israele dovrebbe riconoscere formalmente il diritto dei palestinesi a uno Stato sovrano sul territorio che Israele ha occupato dal 1967. Così facendo, Israele non farebbe altro che ricambiare il sostanziale riconoscimento dell’OLP del “diritto di Israele a esistere in pace e sicurezza”, sancito nella dichiarazione di reciproco riconoscimento degli accordi di Oslo del 1993. Fino a quando tale reciproco riconoscimento non sarà garantito, l’OLP allargata potrebbe adottare una piattaforma che rifletta l’intero spettro delle opinioni palestinesi su ciò che costituisce una soluzione accettabile, pur mantenendo un percorso verso una soluzione negoziata a due Stati.
Infine, in conformità con la sua Legge Fondamentale, l’Autorità Palestinese, attraverso un governo approvato dall’OLP allargata, assumerebbe il pieno controllo della gestione degli affari del popolo palestinese in Cisgiordania e a Gaza durante un periodo di transizione pluriennale. Durante questo periodo, tutte le intese tra Israele e l’AP e tutte le operazioni israeliane e dell’AP potrebbero essere sostenute da un ferreo impegno reciproco alla nonviolenza. Al termine di questa fase, l’Autorità Palestinese dovrebbe indire elezioni nazionali in una data concordata all’inizio della transizione.
Ho già proposto riforme simili in Affari Esteri nel 2014. Da allora, le discordie interne e le faziosità hanno indubbiamente ostacolato la loro considerazione e ancor meno la loro adozione. Ma data la gravità della situazione attuale, il loro momento potrebbe essere finalmente arrivato – anche se troppo tardi, ovviamente, per le migliaia di persone che sono già morte. Ma con l’incoraggiamento e il sostegno dei Paesi Arabi, questo piano potrebbe offrire una strada credibile. A prescindere dai suoi difetti e dalle sue complicazioni, sarebbe certamente preferibile alle opzioni che Israele sta evidentemente prendendo in considerazione ora, che porteranno tutte ad ulteriori violenze e spargimenti di sangue con scarse possibilità di ottenere una pace duratura.
Salam Fayyad è Visiting Senior Scholar e Daniella Lipper Coules ’95 Distinguished Visitor in Foreign Affairs all’Università di Princeton. Dal 2007 al 2013 è stato Primo Ministro dell’Autorità Palestinese.
https://www.foreignaffairs.com/israel/plan-for-peace-gaza-fayyad
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
.