Malafede, doppiezza e cinismo: Il Mandato Britannico in Palestina, 100 anni fa

Ott 2, 2023 | Notizie

di David Kattenburg

Mondoweiss, 29 settembre 2023.  

Il 29 settembre ricorrono i 100 anni da quando alla Gran Bretagna fu assegnato il ruolo di Potenza Mandataria in Palestina. Anche se sono passati cento anni di sanguinosi conflitti e lutti, l’obbligo della comunità internazionale di decolonizzare la Palestina continua ancora oggi.

Il ministro degli interni britannico Winston Churchill (a destra) scortato dall’alto commissario Herbert Samuel, a Gerusalemme durante il periodo del mandato britannico. (foto: Wikimedia)

Si è concluso un altro festival di discorsi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La sessione, che dura una settimana, si chiama “Dibattiti”. Uno dopo l’altro, i leader dei 193 Stati membri dell’ONU rilasciano dichiarazioni altisonanti su ciò che il supremo organo di governo del mondo dovrebbe o non dovrebbe fare.

Si dà il caso che l’esercizio oratorio di quest’anno coincida con il centenario della nascita di una sciagurata situazione di cui l’ONU continua a essere responsabile e che avrebbe la capacità di risolvere: una situazione creata da uno dei suoi Stati fondatori; probabilmente il più annoso punto irrisolto nell’agenda di decolonizzazione dell’ONU, che ha 78 anni: il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, come previsto dal predecessore dell’ONU, la Società delle Nazioni.

Cento anni fa, il 29 settembre 1923, la Società delle Nazioni assegnò formalmente alla Gran Bretagna il ruolo di Potenza Mandataria in Palestina. La sua missione: guidare il popolo palestinese fuori dal colonialismo e verso l’indipendenza.

Invece, in uno dei più gravi atti di malafede, doppiezza e cinismo della storia moderna, la principale potenza coloniale del mondo consegnò la Palestina ai coloni europei, espropriando i nativi della Palestina e gettando i semi per cento anni di sanguinosi conflitti e lutti. 

I compiti fiduciari della Gran Bretagna erano stati stabiliti nel Covenant [Patto] della Società delle Nazioni del 1919. L’articolo 22 del Covenant affermava che: 

Alcune comunità precedentemente appartenenti all’Impero Turco hanno raggiunto uno stadio di sviluppo in cui la loro esistenza come nazioni indipendenti può essere provvisoriamente riconosciuta, con la riserva di ottenere consulenza e assistenza amministrativa da parte di un Paese Mandatario, fino a quando non saranno in grado di stare in piedi da sole. Nella scelta del Mandatario devono essere tenuti soprattutto in considerazione i desideri di queste comunità” [corsivi aggiunti]

E affermava inoltre: “Alle colonie e ai territori che, in conseguenza dell’ultima guerra, hanno cessato di essere sotto la sovranità degli Stati che prima li governavano e che sono abitati da popoli non ancora in grado di reggersi da soli nelle difficili condizioni del mondo moderno, deve essere applicato il principio che il benessere e lo sviluppo di tali popoli costituiscono un impegno sacro di civiltà”. [corsivi aggiunti]

Chi erano questi “popoli” il cui “benessere e sviluppo” la Gran Bretagna era stata istruita a considerare come un “impegno sacro”? Secondo un censimento britannico del 1917, il 92% di questi popoli erano “arabi” (musulmani, cristiani e altre minoranze non ebraiche) e l’8% ebrei (metà dei quali ebrei arabi indigeni).

Cinque anni dopo, nell’ottobre del 1922 – in procinto di assumere la sua posizione mandataria – la Gran Bretagna completò un altro censimento. I risultati: 78% musulmani, 10% cristiani e 11% ebrei.

Pur consapevole di questi numeri, la Gran Bretagna gettò alle ortiche il suo dovere fiduciario di decolonizzare la Palestina e liberare il suo popolo. La circostanza è ben nota: la Dichiarazione Balfour.

Nel novembre 1917, in una sola frase di sessantasette parole, la Gran Bretagna aveva già dichiarato la sua intenzione di trasformare la Palestina in un “focolare nazionale” per il 10% del suo popolo e per il resto degli ebrei del mondo. Quanto al 90% della popolazione palestinese, esso veniva definito in base a ciò che non era:

“Il governo di Sua Maestà vede con favore l’istituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico e farà del suo meglio per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo, restando chiaramente inteso che non sarà fatto nulla che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e lo status politico di cui godono gli ebrei in qualsiasi altro Paese”.

Ma la Gran Bretagna aveva altre ragioni per violare i suoi doveri stabiliti nel Covenant.

“La Gran Bretagna aveva deciso molto prima della Prima Guerra Mondiale –molto prima che Weizmann e i sionisti arrivassero e vendessero il loro progetto al Gabinetto di Guerra britannico– di dover controllare la Palestina”, ha dichiarato a Mondoweiss lo studioso palestinese Rashid Khalidi. “La Palestina è il capolinea terrestre della rotta più breve tra il Golfo e il Mediterraneo, e quindi la rotta per l’India. Perciò, per l’Impero Britannico era assolutamente vitale dal punto di vista strategico controllare la Palestina”.

Naturalmente, Balfour e i suoi colleghi erano anche antisemiti. La legge britannica del 1905 sugli stranieri [Alien Act] – redatta dallo stesso Balfour – era stata concepita per tenere lontani gli ebrei europei. Quale posto migliore ove mandarli se non la Palestina, dove avrebbero potuto fruttare qualche beneficio ai britannici?

Mondoweiss ne ha parlato con lo storico israeliano Avi Shlaim. Il Primo Ministro britannico Lloyd George “aveva la percezione che gli ebrei avessero un potere unico a livello mondiale; che gli ebrei avessero un potere occulto; che gli ebrei avessero il controllo della finanza internazionale”, afferma Shlaim. “Allineando la Gran Bretagna, l’Impero Britannico, con i sionisti in Medio Oriente, Lloyd George agì sulla base di un’errata percezione del potere ebraico”.

Quindi, Balfour, George, Churchill e altri leader britannici non ebbero bisogno di essere convinti quando Chaim Weizmann venne a bussare alla loro porta. Tuttavia, tra la stipula del Covenant e la stesura del Mandato Britannico per la Palestina – a Londra, Parigi e San Remo in Italia – Weizmann mosse cielo e terra per far sì che la Dichiarazione Balfour fosse incorporata nel Mandato, conferendo uno status giuridico al progetto sionista.

Ci riuscì. Secondo i termini del Mandato, entrato in vigore il 29 settembre 1923, la Gran Bretagna avrebbe garantito l’immigrazione ebraica, l’acquisizione della cittadinanza da parte degli ebrei europei, un indottrinamento ebraico “intensivo” e istituzioni sioniste “autogovernate”.

Agli autoctoni della Palestina fu gettato qualche osso da rosicchiare: “diritti civili e religiosi” [non politici] e un sistema giudiziario che “assicurasse agli stranieri, così come ai nativi, una completa garanzia dei loro diritti”.

Qual era il vero obiettivo della Gran Bretagna? La creazione di un “focolare nazionale” ebraico (qualunque cosa ciò significasse) o di un vero e proprio Stato ebraico? E come si vedevano i sionisti: come colonizzatori o come vero popolo nativo della Palestina?

“Il ‘focolare nazionale’ era un concetto nuovo”, ha detto Avi Shlaim a Mondoweiss. “Nessuno sapeva bene cosa significasse”.

“Ma i leader sionisti avevano un’idea molto chiara di ciò che intendevano: intendevano uno Stato. Non chiedevano uno Stato ebraico perché sarebbe stato chiedere troppo e avrebbe immediatamente alienato tutti gli arabi. Quindi, hanno moderato la richiesta chiedendo un focolare nazionale. E gli inglesi li hanno assecondati”.

Ipocrisia e doppiezza

“Ma c’è molta ipocrisia da parte britannica in tutto questo”, dice Shlaim. “I sionisti e i britannici sapevano fin dall’inizio cosa stavano facendo: stavano permettendo la sistematica presa di potere sionista della Palestina a spese dei palestinesi”.

Ipocrisia e doppiezza. “Balfour, Churchill e Lloyd George dissero a Weizmann in una cena privata qualche anno dopo [l’inizio del Mandato] che ciò che intendevano con questo linguaggio offuscante e opaco era uno Stato ebraico”, ha dichiarato a Mondoweiss lo storico palestinese Rashid Khalidi.

Per quanto riguarda i sionisti, il colonialismo d’insediamento era in voga all’epoca. “Negli anni ’20 e ’30 non ci si vergognava di essere coloni”, ha detto Rashid Khalidi a Mondoweiss. “Si rendevano perfettamente conto di essere coloni europei impegnati nell’impresa d’insediamento. L’agenzia che stava acquistando molte di queste terre si chiamava Agenzia per la Colonizzazione Ebraica!”.

La studiosa di diritto palestinese Noura Erekat la mette in modo diverso. “Il progetto sionista non ha mai immaginato che gli ebrei facessero parte del Medio Oriente”, ha dichiarato Erekat a Mondoweiss. “Israele era visto dai suoi fondatori come un’estensione dell’Europa e un sito di insediamento ebraico come Stato satellite, ma non come parte del Medio Oriente, culturalmente, etnicamente, linguisticamente, politicamente”.

Come sempre, i sionisti hanno fatto il doppio gioco.

“Ussishkin e altri che in un certo modo parlavano apertamente di colonialismo – e di fatto pensavano che la Gran Bretagna li avrebbe visti come coloni simili ai coloni bianchi in Rhodesia – anche se a Ben-Gurion non piaceva questo paragone”, ha dichiarato a Mondoweiss lo storico e scrittore israeliano Ilan Pappe. “Diceva: no, no, non siamo uguali. Noi siamo gli indigeni che sono tornati a casa, una casa usurpata dagli alieni, dagli stranieri”.

Per quanto riguarda la Gran Bretagna, essa sapeva perfettamente chi fossero gli indigeni della Palestina, afferma Ilan Pappe. I membri minori del governo britannico erano persino infastiditi dalla doppiezza di Whitehall. Alla fine, la Gran Bretagna era libera di fare ciò che voleva.

“La Società delle Nazioni era l’organismo che supervisionava gli statuti mandatari”, ha dichiarato Pappe a Mondoweiss. “Questo organismo internazionale era dominato da Gran Bretagna e Francia e quindi erano loro a decidere se c’era una violazione o meno”.

Perché guardare indietro?

Quindi, quali sono le implicazioni pratiche della cattiva fede e della doppiezza britannica di un secolo fa? È possibile rimediare ai torti britannici?

“Penso che sia importante controllare ogni capitolo della storia dell’eliminazione con due constatazioni”, ha detto Ilan Pappe a Mondoweiss. “Una è che il sionismo – dalle sue origini fino ad oggi – non ha rinunciato all’idea di avere la maggior parte possibile della Palestina storica con il minor numero possibile di palestinesi… Anche il sionismo liberale non è contrario a questo obiettivo. Ha solo idee diverse su come realizzarlo. Quindi questa è una constatazione. Ed è per questo che dobbiamo studiare la storia. La seconda constatazione: la coalizione internazionale occidentale che ha permesso l’inizio del progetto… quella coalizione internazionale fornisce ancora oggi l’immunità a uno Stato che Amnesty International ha già definito come uno Stato di apartheid”.

 “Se non guardiamo indietro a questo e ad altri aspetti della storia, rischiamo di essere inclini ai miti, alla disinformazione e alle falsità che hanno dominato il modo in cui la gente ha visto questa parte del mondo”, ha detto Rashid Khalidi a Mondoweiss. “Ovviamente, i sionisti preferiscono fingere di aver fatto tutto da soli; che sia stato solo il duro lavoro e il sudore dei pionieri e il loro sacrificio… Ma senza la potenza dell’Impero Britannico, tutto questo sarebbe andato a vuoto o sarebbe stato un processo molto, molto più difficile”.

“Cento anni fa non sono poi così tanti”, ha dichiarato Noura Erekat a Mondoweiss. “Riconoscere i 100 anni dal Mandato della Palestina significa porre quel contesto in primo piano… Porre la responsabilità al suo posto, in primo luogo ai piedi della Gran Bretagna, ma anche ai piedi della comunità internazionale, perché la Dichiarazione Balfour è stata incorporata quasi alla lettera nel Mandato della Palestina [del 1923] nel testo del preambolo, dove diventa da quel momento una parte centrale del diritto internazionale e quindi non è più solo una prerogativa britannica, ma diventa un obbligo della comunità internazionale da rispettare”.

Obbligo giuridico internazionale

Nel gergo giuridico, gli obblighi della comunità internazionale sono “vivi”.

Secondo l’articolo 80 della Carta delle Nazioni Unite, “nulla potrà essere interpretato singolarmente per alterare in qualsiasi modo i diritti degli Stati o dei popoli o i termini degli strumenti internazionali esistenti di cui i membri delle Nazioni Unite sono rispettivamente parti”.

In parole povere, afferma l’esperto di diritto canadese Ardi Imseis, l’obbligo della comunità internazionale di decolonizzare la Palestina e liberare il suo popolo, sancito dall’articolo 22 del Covenant, non è decaduto. Tale obbligo è stato ereditato dall’attuale ONU. A sostegno di questa tesi, Imseis cita la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 1971, Conseguenze Legali per gli Stati della Continua Presenza del Sudafrica in Namibia.

Il par. 55 della sentenza Namibia affermava che: “[Alla] questione se la continuazione di un mandato fosse inseparabilmente legata all’esistenza della Società delle Nazioni, la risposta deve essere che un’istituzione creata per l’adempimento di un impegno sacro non può essere considerata decaduta prima del raggiungimento del suo scopo”.

La comunità internazionale adempirà finalmente al suo impegno sacro nei confronti del popolo palestinese? No, se gli alleati di Israele avranno voce in capitolo. La risoluzione del “conflitto”, insistono questi alleati, deve essere raggiunta attraverso negoziati diretti tra le “parti”, svincolati dal diritto internazionale.

In linea con tale posizione, Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna, tra gli altri, stanno ora sollecitando la Corte Internazionale di Giustizia a non emettere un parere consultivo sulle dimensioni legali dell’occupazione “prolungata” di Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (straordinariamente analoga al Sudafrica in Namibia), come richiesto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso dicembre. Il coinvolgimento della Corte Internazionale di Giustizia renderebbe la “pacificazione” più difficile, se non impossibile, sostengono, e il “processo di pace” è di competenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non dell’Assemblea Generale.

Cinici come sono, gli alleati di Israele sanno che non è così. Conoscono bene l’articolo 80. Anche la Corte Internazionale di Giustizia lo conosce. La sua sentenza, che arriverà nel 2025, sarà probabilmente l’occasione per un’altra serie di esercizi oratori all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: molti dei suoi Stati membri erano colonie britanniche, e sono arrabbiati per la sopravvivenza del colonialismo d’insediamento britannico-israeliano, cento anni dopo il suo inizio.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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