I droni armati di Israele preannunciano un’era di uccisioni automatizzate

di Sebastian Ben Daniel (John Brown),  

+972 Magazine, 19 settembre 2023. 

L’uso dei droni da parte dell’esercito ha portato a un’impennata delle esportazioni e a un crescente numero di morti palestinesi, ma non c’è alcun dibattito pubblico sulla loro legalità o moralità.

Palestinesi che ispezionano i resti di una casa colpita da un drone dell’esercito israeliano nella città di Jenin, nella Cisgiordania occupata. 4 settembre 2023. (Nasser Ishtayeh/Flash90)

Il 4 settembre, l’esercito israeliano ha lanciato un’incursione nel campo profughi di Jenin, dopo l’invasione su larga scala di due mesi fa, nell’ambito di un’operazione per arrestare diversi membri di Hamas. Durante uno scambio di colpi d’arma da fuoco, l’esercito ha utilizzato un Rafael SPIKE FireFly – noto come drone “suicida” o “kamikaze” – per colpire i militanti palestinesi presenti nell’area. L’attacco è stato il più recente utilizzo di droni da combattimento a Jenin, segnalando la crescente presenza di queste macchine nelle operazioni israeliane nella Cisgiordania occupata.

L’esercito israeliano utilizza da decenni droni armati per effettuare, tra l’altro, esecuzioni extragiudiziali. Ma fino all’anno scorso era ufficialmente vietato pubblicare questa informazione fondamentale sui media israeliani; solo il 20 luglio 2022 la censura militare israeliana ha cambiato la sua politica. L’interdizione ai media, che è stata in vigore per lungo tempo, ha contribuito a soffocare in Israele un dibattito pubblico informato sulla moralità di questi droni, anche se vivaci discussioni si svolgevano in altre parti del mondo, in particolare riguardo al loro uso da parte dell’esercito statunitense.

Un’indagine di +972 e Local Call rivela tre casi – uno dei quali durante l’Operazione Protective Edge del 2014 e due durante l’Operazione Guardian of the Walls del 2021 – in cui nove non-combattenti palestinesi, tra cui cinque bambini, sono stati uccisi a causa di missili lanciati da droni. In un caso è stata aperta un’indagine penale, ma nessuno è stato perseguito. Negli altri due casi, gli ufficiali sono stati rimproverati, ma l’esercito non ha aperto un’indagine.

Un segreto aperto

L’esercito israeliano ha iniziato a utilizzare i droni all’inizio degli anni ’80 in Libano, prima che venissero chiamati “veicoli aerei senza pilota” (UAV o “Unmanned Aerial Vehicles”), un nome che voleva far pensare a un metodo di uccisione umano. In anni più recenti, l’esercito ha utilizzato queste armi per compiere migliaia di attacchi nella Striscia di Gaza e, più recentemente, a Jenin.

Per decenni, queste armi sono state un “segreto aperto”, visto che il mondo intero – e certamente i palestinesi – sapevano benissimo dell’uso di queste armi. Eppure, per un lungo periodo, era ancora tecnicamente vietato riferirne al pubblico israeliano, anche se anch’esso sapeva dell’esistenza di queste armi.

Un UAV Hermes 900 prodotto da Elbit Systems, esposto al Paris Air Show, 24 giugno 2007. (Matthieu Sontag/CC-BY-SA)

La stessa Aeronautica Militare Israeliana (IAF) si è vantata dei droni d’attacco in molte delle sue pubblicazioni (l’IAF non è soggetta alla censura militare, che spesso redige o censura la pubblicazione nella stampa israeliana di ciò che considera materiale sensibile sulle attività dell’esercito). Nel 2014, ad esempio, la rivista dell’IAF ha affermato che l’UAV Hermes 900, prodotto dalla società Elbit Systems, “ha un ulteriore vantaggio operativo rispetto ai velivoli più vecchi, in quanto può trasportare un carico maggiore, consentendo di eseguire più missioni in una sola sortita” (non ha specificato quale fosse questo carico). In un video ufficiale in inglese del Ministero della Difesa per le vendite all’estero, è stato anche mostrato come l’Hermes 900 bombarda i suoi obiettivi, sottolineando che la sua efficacia è stata provata in battaglia.

Nel 2022, le vendite di queste armi da parte di Israele hanno rappresentato un quarto di tutte le sue esportazioni nel settore della difesa, che hanno raggiunto un picco di 12,5 miliardi di dollari lo scorso anno. Recentemente, sulla scia delle preoccupazioni per l’impatto della revisione giudiziaria sull’economia israeliana, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich hanno affermato che l’industria della difesa è “piena di ordini” per le armi e che queste esportazioni consentiranno al governo di mantenere la testa fuori dall’acqua dal punto di vista economico.

I legami tra le forze armate israeliane e l’industria privata della difesa sono così forti che l’aeronautica militare ha condiviso video che lodano le meraviglie dei droni di Elbit. Durante l’assalto del 2014 a Gaza, Israele si è affrettato a “testare in battaglia” il modello Hermes 900 di Elbit, facilitando notevolmente le vendite del velivolo.

Per i palestinesi di Gaza, l’uso di questi droni non è certo un segreto. Infatti, è difficile trovare un residente della Striscia che non riconosca il ronzio unico di queste macchine.

All’inizio del 2014, Atef Abu Saif, ministro della cultura dell’Autorità Palestinese e poi professore all’Università Al-Azhar di Gaza, ha pubblicato “Sleepless in Gaza”, uno studio che analizza l’uso di veicoli aerei contro i residenti della Striscia dal 2009. Secondo i suoi risultati, Israele ha effettuato 42 attacchi con i droni durante l'”Operazione Piombo Fuso” del 2008-9, uccidendo 87 persone, tra cui 29 minori, e ferendone altre 73. Gli UAV hanno poi ucciso 36 palestinesi durante l’assalto a Gaza del 2012, due terzi dei quali erano non-combattenti.

Palestinesi a Rafah, accanto a una casa distrutta dopo essere stata colpita da attacchi aerei israeliani durante l’Operazione Guardiano delle Mura, nel quartiere di Al-Rimal a Gaza City, 30 maggio 2021. (Abed Rahim Khatib/Flash90)

Limitare la discussione pubblica

Negli Stati Uniti e altrove, l’uso di queste armi per esecuzioni extragiudiziali ha sollevato questioni morali e legali, tra cui la domanda se il risparmio economico nell’addestramento e nell’uso dei droni – rispetto all’addestramento e all’impiego di un pilota – possa portare a un uso eccessivo di queste macchine, sminuendo così il valore della vita di coloro che vengono uccisi. Inoltre, cosa significa che gli operatori che conducono gli attacchi con i droni non hanno quasi nessuna autonomia nel decidere l’esecuzione, a parte la scelta dell’esatto momento dell’attacco? E quanti civili vengono uccisi in questo tipo di attacchi?

Il divieto della censura militare israeliana di discutere queste questioni ha impedito che si svolgesse questo tipo di discorso morale, impedendo al contempo ai giornalisti di indagare sull’uccisione di civili negli attacchi con i droni, sia che si tratti di un’azione programmata o di un incidente. Al pubblico israeliano è stato quindi di fatto impedito di mettere in discussione uno dei mezzi principali usati dall’esercito per infliggere violenza, soprattutto alla popolazione occupata.

Anche dopo la revoca, un anno fa, del divieto imposto dalla censura, gran parte dei media israeliani ha lanciato una campagna preventiva per frenare la discussione pubblica sull’uso degli UAV nelle esecuzioni extragiudiziali. Gli articoli elogiativi che celebravano la revoca della censura esaltavano anche le virtù e l’estetica delle macchine, trascurando di discutere il numero dei morti, il distacco degli operatori dei droni dalle loro azioni e la moralità di queste armi. La questione se l’uso di queste macchine sia eticamente appropriato non è stata sollevata.

È molto probabile che la revoca della censura sia un test dell’accoglienza presso il pubblico, in un momento in cui l’uso dei droni sta rapidamente accelerando. I media internazionali hanno riferito che Israele ha già iniziato a schierare droni che utilizzano il software di intelligenza artificiale (AI) di Elbit, chiamato Legion-X. Nel maggio 2021, Israele ha definito il suo attacco a Gaza “la prima guerra AI del mondo”.

Un soldato israeliano lancia un drone di sorveglianza verso Gaza durante l’Operazione Protective Edge, 14 luglio 2014. (Yossi Aloni/FLASH90)

Un recente articolo di Bloomberg ha rivelato che l’esercito israeliano utilizza anche l’intelligenza artificiale per selezionare gli obiettivi da colpire e “incriminarli”, utilizzando il software Fire Factory del produttore israeliano di armi Rafael. Sebbene vi sia un coinvolgimento umano nell’approvazione degli obiettivi, questi vengono scelti da algoritmi considerati una “scatola nera”, il che significa che chi approva l’attacco non può sapere quali informazioni hanno portato alla criminalizzazione dell’obiettivo.

Il silenzio pubblico dopo che tutte queste informazioni sono venute alla luce è conveniente per tutte le parti coinvolte. Le aziende produttrici di armi possono pubblicizzare i vantaggi dell’uso dei loro droni senza subire critiche; lo stesso vale per il Ministero della Difesa e le forze armate, ciò che permette una transizione verso queste armi economiche, autonome e prontamente disponibili. Nell’attuale clima politico, con i piloti israeliani che si rifiutano di condurre missioni a causa della revisione giudiziaria, l’uso di UAV armati è particolarmente interessante per l’establishment della sicurezza.

È proprio per questo motivo che è così pericoloso per l’opinione pubblica israeliana lasciare il dibattito sui droni ai produttori di armi e ai generali che lavorano a porte chiuse.

Un attacco “impeccabile” che ha ucciso quattro bambini

Uno degli incidenti più famosi dell’aggressione israeliana del 2014 a Gaza è stato un attacco che ha ucciso quattro bambini palestinesi su una spiaggia. Il 16 luglio 2014, non molto tempo dopo l’inizio dell’operazione militare israeliana, alcuni bambini della famiglia Bakr, di età compresa tra i 9 e gli 11 anni, erano usciti per giocare a calcio in riva al mare, durante una pausa degli attacchi nella zona.

Intorno alle 16, alcuni bambini sono entrati in un container che era sulla spiaggia e a quel punto sono stati colpiti da un missile, che ha ucciso uno di loro. I bambini sopravvissuti sono scappati e sono stati colpiti da un secondo missile mentre si allontanavano dal container.

Il fumo si alza da una spiaggia di Gaza dopo che i droni israeliani hanno ucciso 4 bambini della famiglia Bakr: Ahed Atef Bakr, 9 anni, Zakaria Ahed Subhi Bakr, 10 anni, Mohammed Ramez Izzat Bakr, 11 anni, e Ismail Mohammed Subhi Bakr, 9 anni, 16 luglio 2014. (Anne Paq/Activestills)

Quattro bambini – Ahed Atef Bakr, 9 anni, Zakaria Ahed Subhi Bakr, 10 anni, Mohammed Ramez Izzat Bakr, 11 anni, e Ismail Mohammed Subhi Bakr, 9 anni – hanno perso la vita nell’attacco e altri quattro della stessa famiglia sono rimasti feriti. Secondo le indagini, questo è stato solo uno delle “molte centinaia” di attacchi di questo tipo.

Due droni sono stati coinvolti nell’attacco: uno per fotografare e l’altro per attaccare. Secondo un’indagine interna della polizia militare, un drone Hermes 450 si è librato per quattro ore sopra l’obiettivo, vicino alla spiaggia. Un ufficiale dell’intelligence navale israeliana, chiamato E., ha affermato che il container è stato riconosciuto come appartenente a un’unità navale di Hamas che aveva effettuato un’operazione in una spiaggia nel sud di Israele. E. ha spiegato che era stata ricevuta un’informazione secondo cui una riunione di alcune forze di Hamas avrebbe dovuto svolgersi lì.

Un ufficiale dei servizi segreti dell’esercito ha testimoniato alla Divisione Investigativa Criminale della Polizia Militare che l’obiettivo era stato indagato anni prima e ha affermato che il fatto che i bambini corressero e poi rallentassero fino a camminare era sospetto, perché sulla base di “precedenti esperienze”, i combattenti camminavano in quel modo quando non volevano apparire sospetti. L’ufficiale ha anche detto che nei casi che coinvolgono un obiettivo di alto livello, è possibile ottenere l’autorizzazione a lanciare un attacco che colpisse anche civili “non coinvolti”; in questo caso, tuttavia, non è stata data tale autorizzazione, il che significa che l’obiettivo sulla spiaggia di Gaza non era definito “di alto livello”.

Secondo coloro che hanno dato queste testimonianze, l’attacco è stato “impeccabile” e si è basato su un’intelligence forte, pari a quella di qualsiasi altro attacco. Gli ufficiali che hanno testimoniato hanno affermato che se un presunto crimine soddisfa il test di plausibilità e se è probabile che un attacco uccida attori ostili, allora l’attacco è appropriato.

Le prove nel caso dei ragazzi Bakr indicano un caso estremo di quello che viene chiamato “signature strike” (attacco basato su un comportamento tipico dell’obiettivo), in cui c’è incertezza sull’identità esatta degli obiettivi, ma il loro modello di comportamento percepito è sufficiente a legittimare un attacco. Nel caso dei ragazzi, il loro ingresso nel container – che anni prima era stato identificato come appartenente alla forza navale di Hamas – è stato ritenuto sufficiente per farli diventare obiettivi. Questo presupposto ha guidato anche il secondo attacco pochi secondi dopo, per il quale non è stata chiesta l’autorizzazione – cosa che, secondo gli ufficiali dell’esercito, non era insolita.

Un bambino palestinese tra i rottami di un quartiere di Gaza dopo un attacco aereo israeliano. 12 maggio 2012. (Mohammed Zaanoun)

“Credevo che si trattasse di commando navali di Hamas che venivano a raccogliere equipaggiamento e forse poi partire su barche in preparazione di un attacco contro lo Stato di Israele”, ha testimoniato un alto ufficiale della Marina. I militari volevano anche “far pagare un prezzo” alla forza navale di Hamas per l’infiltrazione sulla spiaggia israeliana alcuni giorni prima, motivo per cui il container era prioritario per un attacco. In altre parole, i bambini uccisi nell’attacco non sono stati identificati come una “bomba a orologeria”, ma sono stati piuttosto presi di mira per vendicare un’operazione condotta da Hamas.

Danni collaterali

Dato che, secondo le prove, Israele aveva bombardato il container il giorno prima, è discutibile che i combattenti di Hamas sarebbero tornati nello stesso posto il giorno dopo. È anche discutibile che, come è stato affermato, il container fosse stato recintato se era stato fatto esplodere il giorno precedente. Nessuno di coloro che sono stati interrogati per l’indagine ha risposto a queste domande.

Una delle persone interrogate ha affermato che anche dopo aver esaminato una seconda volta le riprese del primo drone, non era stato possibile sapere se le figure che si vedevano erano bambini. “È molto difficile identificare i bambini perché stiamo guardando l’area da una prospettiva verticale, dall’alto”, hanno detto.

M., un ufficiale dell’aeronautica, ha detto che questo attacco è stato oggetto di particolare attenzione perché è stato uno dei primi effettuati con il drone Hermes 900, entrato in servizio il giorno prima degli attacchi sulla spiaggia. A quel punto, l’esercito non disponeva di una letteratura organizzata su come usare i droni in combattimento e ci sarebbero voluti diversi anni prima che venissero utilizzati regolarmente.

L’indagine dell’esercito sulla morte dei ragazzi Bakr, come tutte le indagini israeliane sulle uccisioni di civili nell’assalto a Gaza del 2014, è stata chiusa senza un processo – nonostante le statistiche dell’esercito stesso mostrassero che 369 minori palestinesi erano stati uccisi durante l’operazione, la maggior parte dei quali in attacchi aerei. Non è noto quante di queste morti siano state causate da attacchi di droni.

Una schermata che mostra una ripresa aerea della Striscia di Gaza con tre bambini cerchiati, da un video caricato sull’account YouTube delle Forze di Difesa Israeliane, intitolato “Attacco IDF abortito

In alcuni casi, l’esercito ha stabilito che il vantaggio militare derivante dall’uccisione dell’obiettivo principale era superiore alla perdita di vite civili, che si sapeva sarebbero state danneggiate al momento dell’attacco. Tuttavia, nelle conversazioni con Local Call, gli operatori di droni hanno rivelato che sono proprio questi attacchi – quelli in cui sanno in anticipo che colpiranno dei non-combattenti, piuttosto che quelli che comportano degli errori – a richiedere il maggior tributo mentale.

La differenza tra gli attacchi “normali” e quelli senza pilota non sta solo nel luogo in cui si trova il soldato che compie l’attacco, ma anche nella natura e nel numero degli obiettivi. Il crimine viene commesso molto prima che l’uccisione avvenga effettivamente e quasi nessuno nella catena di comando, dal comandante all’operatore, ha molta discrezionalità in materia. La loro autonomia è molto limitata perché ricevono le informazioni da altre fonti. Sono spesso usati come un timbro kosher umano per uccidere.

Un caso di errata identificazione – e un altro ancora

Sette anni dopo, durante l’assalto a Gaza del maggio 2021, gli attacchi dei droni israeliani hanno ucciso cinque civili a Gaza in due incidenti separati.

Secondo un’indagine di Local Call, nel primo, avvenuto il 12 maggio 2021, un drone dell’IAF ha bombardato un veicolo, uccidendo quattro persone che erano state erroneamente identificate come operatori di Hamas. L’esercito israeliano ha pubblicato il filmato dell’attacco. Le vittime – Aatef al-Barawi, Nael al-Barawi, Wael al-Ghawla e Talaat Agha – erano agricoltori che stavano caricando pesche sul loro veicolo nel nord di Gaza. Il portavoce dell’IDF ha confermato a Local Call che i quattro erano innocenti; erano tra le 46 persone uccise a Gaza quel giorno, metà delle quali erano non-combattenti.

Il padre di Alaa Qaddoum, una bambina palestinese di cinque anni, porta via il suo corpo dopo che era stata uccisa da un attacco aereo israeliano nel quartiere Shuja’iyya di Gaza City, 5 agosto 2022. (Mohammed Zaanoun)

Il secondo incidente è avvenuto una settimana dopo, quando Dima Asaliyah, 10 anni, residente a Jabaliya, è stata uccisa in un attacco aereo senza equipaggio vicino alla sua casa. Sembra che sia stata identificata erroneamente come un’agente di Hamas. Sua madre ha testimoniato che Asaliyah era stata mandata a prendere una pentola a casa della sorella, a circa 50 metri dalla loro abitazione, quando il missile l’ha colpita. Per quanto è dato sapere, non c’erano obiettivi di Hamas intorno a lei. Sono stati presi provvedimenti disciplinari contro gli agenti, ma non è stata avviata alcuna indagine penale.

I droni sarebbero stati utilizzati anche nell’operazione militare di luglio 2023 nel campo profughi di Jenin, un ambiente particolarmente sovraffollato. Tuttavia, l’opinione pubblica israeliana – lasciata quasi completamente all’oscuro sulla natura degli attacchi – è rimasta ancora una volta insensibile agli attacchi e nessuno ha messo in discussione l’aspetto etico dell’uso di queste macchine. Pochi si sono chiesti che senso avessero questi ripetuti attacchi, o se le ripetute uccisioni avrebbero semplicemente fornito carburante per la prossima esplosione.

Per quanto riguarda l’esercito israeliano e i media, la deterrenza è stata ripristinata e le esportazioni di droni continueranno a salire. Ma poiché ci troviamo alle soglie di un’era di uccisioni completamente automatizzate, dobbiamo affrontare questo argomento, non solo in nome dei palestinesi uccisi e feriti dagli attacchi dei droni, ma anche per il suo impatto sulla società israeliana e per il potenziale di questi strumenti al servizio di un regime sempre più autoritario.

In risposta a una richiesta di commento, il portavoce dell’IDF ha dichiarato: “L’IDF indaga a fondo sulle accuse di danni a chi non è coinvolto [nei combattimenti]. Nel frattempo, l’IDF trae continuamente lezioni dalle sue attività operative e le integra nelle procedure di addestramento e di combattimento, anche al fine di ridurre al minimo i danni alle [persone] non coinvolte e di diventare più efficienti dal punto di vista operativo”. 

“Dall’operazione ‘Protective Edge’, l’IDF ha migliorato le sue capacità di osservazione e di raccolta di informazioni, e ha apportato modifiche ai suoi metodi di criminalizzazione degli obiettivi, con l’obiettivo di ridurre il più possibile i danni alle [persone] non coinvolte durante gli attacchi alle organizzazioni terroristiche che operano in aree popolate, come è evidente dalle operazioni nella Striscia di Gaza che hanno avuto luogo negli ultimi anni”.

In collaborazione con Local Call

Sebastian Ben Daniel (John Brown) è un accademico e blogger israeliano.

https://www.972mag.com/armed-drones-automated-killing-palestinians/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

.

Lascia un commento