Oslo è morto. Gli israeliani liberali devono fare causa comune con i palestinesi

Set 8, 2023 | Notizie, Riflessioni

di David Hearst,

Middle East Eye, 6 settembre 2023.   

A trent’anni dalla firma degli accordi di Oslo, l’unica lezione appresa è che solo la parità di diritti tra cittadini uguali, palestinesi ed ebrei, può porre fine al conflitto.

Manifestanti con la bandiera palestinese durante una manifestazione per l'”indipendenza giudiziaria” a Tel Aviv il 2 settembre 2023 (Reuters)

È dolorosamente evidente che la prospettiva di creare uno stato Palestinese accanto a uno che si definisce ebraico è pari a zero. Come processo per raggiungere una soluzione a questo conflitto, Oslo è morto.

Ci sono 700.000 coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e non c’è in vista un solo politico israeliano o movimento israeliano disposto a rimuoverli. Al contrario. L’annessione esiste a due velocità: annessione strisciante, favorita da un ampio spettro dell’élite politica israeliana, dal centro alla destra; e annessione domani, come proposto dal Partito Nazionale Religioso. Quest’ultima forza è al posto di guida nel paese.

L’Autorità Palestinese (AP) ha perso la sua bussola nazionale, la sua popolarità e il suo significato. Esiste solo come estensione della politica di sicurezza israeliana. Il suo potere d’acquisto o la sua leva diplomatica si sono ridotti nel mondo arabo. Quando gli Emirati Arabi Uniti hanno normalizzato le relazioni con Israele, ha ottenuto una sospensione dei piani di annessione del territorio in Cisgiordania, cosa che non ha alcun significato nel contesto dell’attuale governo israeliano.

Vedremo quante delle richieste dell’AP la sua delegazione riuscirà a ottenere da Riyadh. Come ho scritto in precedenza, dubito che l’Arabia Saudita normalizzerà con Israele per una serie di ragioni che hanno poco a che fare con i palestinesi, non ultimo il desiderio di vedere quanto durerà l’attuale normalizzazione con l’Iran.

Ma anche se ciò accadesse, dubito che l’Autorità Palestinese otterrà grandi risultati. Questo avviene in un momento in cui il sostegno ai palestinesi nelle strade arabe è forte e vocale come non è mai stato.

Tuttavia, il fatto che una politica dei due Stati non possa funzionare non impedisce che essa continui a vivere nel seno della comunità internazionale e di tutti i suoi principali attori: le Nazioni Unite, USA, Cina, India, Russia, ogni Stato europeo e ogni partito politico all’interno di questi Stati continuano a chiedere una soluzione a due Stati che non può realizzarsi.

Perché? Perché, come meccanismo di sostegno all’unico Stato che continua a esistere e a espandersi, Oslo non sta per crollare. La politica di sostenere il diritto esclusivo alla sovranità di un solo popolo in questo conflitto è cementata, permanente come il muro, le strade e i blocchi stradali che trasformano la Cisgiordania in una miriade di prigioni.

Oslo continua a vivere con la stessa tenacia con cui l’87enne Mahmoud Abbas rimane presidente. Continua a vivere finché quest’ultimo si rifiuta di indire elezioni libere ed eque. E continuerà a vivere poiché Israele e America mantengono uno stretto controllo su chi succederà ad Abbas.

Oslo continua a vivere mentre la Sicurezza Preventiva Palestinese funziona come gli occhi e le orecchie dello Shin Bet. Continua a vivere in tutte le dichiarazioni subdole e profondamente false della comunità internazionale che assumono vi sia una simmetria di violenza. Continua a vivere mentre l’Occidente guarda dall’altra parte quando i coloni si scatenano nelle città arabe sotto la protezione dei soldati israeliani.

Un’Autorità Palestinese paralizzata

In questo momento, una AP paralizzata è tenuta in vita da un Israele che non ha alcuna intenzione di riavviare i negoziati. Perché, vi chiederete? Perché è nell’interesse di uno Stato ebraico espansionista e in espansione avere l’AP al suo posto.

Finché l’AP esiste, il confine orientale (con la Giordania), dove Israele è più vulnerabile, è tranquillo. Anzi, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato di voler rinforzare la recinzione con un muro. Finché l’AP esisterà, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e il Consiglio Nazionale Palestinese (PNC) rimarranno solo dei gusci di ciò che erano. Non è nell’interesse di Israele che l’AP si dissolva. L’AP svolge un ruolo chiave nel mantenere l’occupazione il più indolore possibile per l’occupante.

Il riconoscimento di Israele da parte dell’OLP nel 1993 è stato un disastro per la causa nazionale palestinese. Con Oslo in vigore, non potrà mai esserci un governo di unità nazionale composto da rappresentanti di tutte le fazioni palestinesi. Né potranno esserci veri negoziati, perché solo una fazione palestinese ha un posto al tavolo.

Per Israele, invece, è vero più o meno il contrario. Il numero di Paesi che riconoscono Israele è passato da 110 nel 1993 a 166 oggi. Si tratta dell’88% degli Stati membri delle Nazioni Unite.

Il numero di coloni in Cisgiordania si è quadruplicato da 115.000 a 485.000, esclusa Gerusalemme Est. Il diritto al ritorno è scomparso dalle richieste.

Oslo avrebbe mai portato a uno Stato palestinese sostenibile? Ne dubito.

A dire il vero, molti onesti e ben informati partecipanti alla Conferenza di Madrid del 1991 non sarebbero d’accordo con me e direbbero che Madrid è stata tradita dagli otto mesi di negoziati segreti che si sono svolti nella capitale norvegese.

Da parte mia, ho solo una fonte per affermare che Madrid era condannata prima ancora di iniziare, si tratta di un giordano, ma vale la pena ascoltarlo.

“Non ci sarà nessuno Stato palestinese”

Mi sono imbattuto in Adnan Abu Odeh quando era un uomo anziano, ancora tenuto in grande considerazione dal palazzo di Amman, che girava ancora in un’auto ufficiale e fumava sigari a matita.

Odeh, morto l’anno scorso, era il consigliere palestinese di re Hussein. Il re aveva prelevato il personaggio dai ranghi dei servizi segreti, lo aveva fatto addestrare dall’MI6 a Londra e lo aveva nominato ministro dell’Informazione.

I resti della casa di una famiglia palestinese demolita dall’esercito israeliano nel villaggio di Duma, a sud di Nablus, il 2 febbraio 2023 (Reuters)

Nel marzo 1991, Odeh fu inviato da Hussein a Washington per incontrare il Segretario di Stato americano James Baker. La missione era delicata e doveva essere organizzata in gran segreto. Odeh accompagnò come copertura il principe Hassan a una conferenza a San Francisco, per poi volare in segreto a Washington.

Odeh mi ha raccontato nei dettagli il suo incontro con Baker.

L’inizio fu poco promettente. La missione di Odeh era quella di scoprire quali fossero le intenzioni di George W Bush nell’indire una conferenza internazionale da convocare a Madrid. 

Baker menò il can per l’aia per 15 minuti e concluse dicendo: “Sono stato chiaro?”. Odeh rispose di no e rimase fermo al suo posto. Nella stanza del Segretario di Stato c’era un orologio collegato a quello dell’anticamera. Suonava ogni 15 minuti e ogni volta appariva una segretaria per accompagnare Odeh all’uscita.

Odeh si rifiutò di muoversi. Baker continuò a parlare per altri 15 minuti. L’orologio suonò di nuovo, la segretaria riapparve. Odeh non era ancora soddisfatto. Baker si arrabbiò: “Insomma, cosa vuole?”. Odeh rispose: “Voglio sapere come va a finire il gioco”. Baker ordinò alla sua segretaria di uscire per la seconda volta.

“Senta, signor Odeh, le dirò una cosa come Segretario di Stato. Non ci sarà uno Stato palestinese. Potrebbe esserci un’entità meno di uno Stato, qualcosa più di un’autonomia. Va bene? Questo è il meglio che possiamo ottenere dagli israeliani”.

Questa non era una novità per i giordani. Nel 1981, l’arabista russo Yevgeny Primakov, allora direttore dell’Istituto di Studi Orientali dell’Accademia delle Scienze dell’URSS e primo vicepresidente del Comitato Sovietico per la Pace, si era presentato nell’ufficio di Odeh e gli aveva detto senza mezzi termini: “Adnan, scòrdatelo, non ci sarà nessuno Stato palestinese”.

Una nuova generazione di resistenza

Oslo ha creato un modello per rendere l’occupazione il più indolore possibile per l’occupante. La domanda è per quanto tempo rimarrà tale, mentre il fuoco sotto i piedi dell’occupante brucia più forte che mai.

La guerra arabo-israeliana del 1948 durò nove mesi. Prima di allora, bande terroristiche ebraiche come l’Haganah e l’Irgun uccisero i capi villaggio e costrinsero i palestinesi ad andarsene. In tutto, ci volle circa un anno per costringere 700.000 palestinesi all’esilio, un evento noto come Nakba, o Catastrofe. 

Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, l’esercito di Israele spazzò via tutto in pochi giorni, con il risultato che i palestinesi non se ne andarono in così gran numero. Il piano originale di David Ben-Gurion di conquistare la più grande quantità di terra con il minor numero possibile di palestinesi fallì, e Israele oggi ne vive le conseguenze.

Le conseguenze di Oslo hanno solo aggravato il fallimento di Ben-Gurion. Mentre il numero dei coloni è quadruplicato, è aumentato anche il numero dei palestinesi, dal fiume Giordano al mare.

Secondo Ula Awad, direttore dell’Ufficio centrale di statistica dell’Autorità Palestinese, esiste una parità nel numero di ebrei e palestinesi che vivono tra il fiume e il mare. Ci sono circa sette milioni di persone in ciascun gruppo.

Sta rapidamente prendendo forma una nuova generazione di resistenti, che è anche una risposta a Oslo.

Oslo non ha dato alcun ruolo ai palestinesi che non se ne sono andati quando Israele è stato dichiarato Stato. I Palestinesi del 1948 sono ora parte integrante della causa nazionale palestinese, così come gli abitanti di Gerusalemme. Dal 2021, il popolo palestinese è tornato a essere uno e la Linea Verde sta diventando sempre più oscura.

Le persone che non erano ancora nate nel 1993 hanno imparato che Oslo non le libererà. Si stanno impegnando nella resistenza diretta, nella piena consapevolezza di essere stati traditi dalla leadership che li ha condotti a Oslo e dalla comunità internazionale.

Altrettanto importante è la resistenza passiva dimostrata dai contadini delle Colline a Sud di Hebron, o di Shufat a Gerusalemme, o di qualsiasi altro luogo in cui i palestinesi si rifiutano di lasciare la loro terra sotto l’insostenibile pressione dei coloni e dell’esercito. Non importa quanti insediamenti ci siano se i palestinesi si rifiutano di andarsene.

Lotta di potere per il controllo di Israele

Con l’intensificarsi dell’occupazione, stanno emergendo profonde spaccature tra gli occupanti. I discepoli di Yitzhak Rabin stanno perdendo il controllo della società israeliana. Prima di Oslo esistevano due narrazioni – una palestinese e una israeliana – ma ora ce ne sono almeno tre. È in corso infatti una lotta mortale tra il sionismo liberale e il movimento religioso nazionale.

Si tratta di una lotta di potere per il controllo di Israele.

Il Ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra Itamar Ben-Gvir è sicuramente in grado di vincere. Lo scrittore ebreo americano Peter Beinart ha sottolineato questo punto nel suo ultimo video da New York. Ha detto ai liberali che se non faranno causa comune con i palestinesi, che sono stati esclusi dalle proteste contro le riforme giudiziarie, sarebbero stati schiacciati dalla destra dei coloni.

Beinart è uno dei tanti ex sionisti liberali che hanno chiuso i conti con Oslo.

Egli sostiene, e ci sono altri ebrei come lui, che solo la soluzione di uno Stato unico con uguali diritti tra cittadini uguali, palestinesi ed ebrei, porrà fine al conflitto.

Combattere la destra religiosa da un lato e bombardare Jenin dall’altra, sostiene Beinart, è una scommessa persa. Ha ragione.

La cosiddetta ala liberale dell’esercito, lo Shabak e l’aeronautica saranno fagocitati dalla destra religiosa se non si alleeranno completamente con la causa palestinese. Al momento la destra religiosa ha tutta la forza e tutta la gioventù dalla sua parte.

E chi sarà più tentato di abbandonare il campo di battaglia e andarsene verso l’Europa? I palestinesi o gli ebrei ashkenaziti, con i loro passaporti europei? Saranno, come sono già, gli Ashkenazi che stanno fuggendo da Israele verso gli Stati Uniti, la Turchia e l’Europa.

Dopo che il Portogallo ha annunciato di voler ammettere i discendenti degli ebrei sefarditi espulsi dopo l’Inquisizione, quasi 21.000 israeliani hanno richiesto il passaporto, un numero superiore a quello delle domande provenienti dal Brasile, ex colonia del Portogallo.

I palestinesi non scompariranno, ma i liberali israeliani potrebbero farlo.

Battaglia di volontà

Naturalmente, per quanto riguarda i palestinesi, che differenza fa per loro?

L’unica differenza, per quanto li riguarda, tra Ben-Gvir e Benny Gantz è la velocità con cui si dovrebbe procedere all’annessione o all’espansione territoriale. Ben-Gvir vuole che la Cisgiordania sia annessa domani. Gantz è più che felice che si proceda un pezzo alla volta.

Entrambe le procedure sono irreversibili. Nessuna terra, nessuna casa viene mai restituita.

Anche quando 8.000 coloni furono ritirati da 21 campi a Gaza da parte di Ariel Sharon, l’anno successivo ne furono insediati il doppio in Cisgiordania. Il numero totale di coloni non è diminuito. È aumentato.

Questo conflitto è una battaglia di logoramento e una battaglia di volontà. Oslo non è stata una tregua, ma è stata usata come un’altra arma nel conflitto. Oggi serve come lezione pratica su cosa non si deve fare.

Israele negozierà solo quando non potrà più mantenere il livello di forza necessario ogni giorno e ogni notte per imporre la propria egemonia sulle vite della maggioranza palestinese. Potrebbero essere necessari un’altra intifada e altri decenni per arrivare a questo punto.

Ma quando Israele deciderà di negoziare, ci potrà essere solo una soluzione: un unico Stato per tutti i suoi popoli che devono vivere alla pari.

Solo allora esisterà davvero uno Stato palestinese. Solo allora l’incubo dell’occupazione e l’incubo di Oslo saranno veramente finiti.

David Hearst è cofondatore e caporedattore di Middle East Eye. È commentatore e relatore della regione e analista dell’Arabia Saudita. È stato redattore del Guardian per gli esteri ed è stato corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È entrato al Guardian dal The Scotsman, dove era corrispondente per l’istruzione.

https://www.middleeasteye.net/opinion/oslo-dead-israelis-palestinians-liberals-make-common-cause

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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