Perché i funzionari israeliani stanno improvvisamente etichettando i pogrom dei coloni come “terroristici”?

Lug 1, 2023 | Notizie

di Adrian Kreutz,  

Mondoweiss, 28 giugno 2023.  

Lo Stato israeliano vede le folle violente dei coloni come una sfida al suo monopolio sulla violenza. Questo mette in difficoltà i ministri di destra come Itamar Ben-Gvir: i coloni facilitano il progetto di insediamento, ma lo Stato vuol restare quello che lo controlla.

I palestinesi ispezionano una casa data alle fiamme dai coloni israeliani nel villaggio palestinese di Turmus Aya, vicino a Ramallah. 21 giugno 2023. (foto: Mohammed Nasser/Apa Images)

L’ultimo giorno del programma di diritto internazionale di Al-Haq, il mio gruppo di avvocati e accademici per i diritti umani ha visitato il villaggio di Turmus Ayya, attaccato dai coloni solo pochi giorni prima. A Turmus Ayya, l’odore di terra bruciata era ancora chiaramente presente nell’aria calda di giugno. Oltre ai danni fisici, il villaggio era in lutto per la perdita di Omar Qattain, un giovane di 27 anni ucciso mentre difendeva il suo villaggio a nord-est di Ramallah. Questo pogrom fa parte di una serie di attacchi avvenuti in febbraio a partire da Huwwara, quando centinaia di coloni misero a ferro e fuoco quella città palestinese. Ma perché fare pogrom? Perché ora? E perché gli alti funzionari dell’esercito e dell’apparato di sicurezza israeliano hanno risposto etichettando inaspettatamente i pogrom come “attacchi terroristici”, nonostante il legame simbiotico tra insediamenti, violenza, Stato e apparato di sicurezza israeliano?

L’etichetta “terrorista” ha uno scopo strategico. In primo luogo, alcuni eventi sono così raccapriccianti da attirare l’attenzione e la condanna dei media internazionali. Huwwara è stato uno di questi eventi. Quando si trova al centro dell’attenzione dei media internazionali, Israele è costretto a reagire, in un modo o nell’altro, attraverso i canali ufficiali, mentre le sue violazioni dei diritti umani e la violenza brutale dei suoi cittadini scorrono sugli schermi degli iPhone di tutto il mondo e vengono stampati sui giornali internazionali. Un attacco così palesemente violento e condotto contro una popolazione civile disarmata è molto difficile da giustificare, anche per il sempre creativo governo israeliano, per l’esercito, per la magistratura e per le forze di sicurezza.

Al di là dell’attenzione internazionale, i pogrom come quello avvenuto a Turmus Ayya costringono la società ebraico-israeliana ad affrontare una realtà scomoda, altrimenti nascosta alla vista degli stessi israeliani grazie ai muri dell’Apartheid e le strade segregate.

Soprattutto, però, l’etichetta di “terrorista” serve a mantenere l’autorità dell’esercito, dello Shin Bet (i servizi segreti israeliani) e della polizia. La monopolizzazione della violenza è il ruolo principale di ogni Stato. Occorre quindi fermare l’eccesso di violenza civile, per evitare lo scivolamento del centro della violenza e del potere dalle mani dell’apparato militare e di sicurezza. Per il mondo esterno, il termine “terrorista” indica una condanna della violenza contro i civili palestinesi, mentre all’interno dello Stato israeliano e dell’apparato militare e di sicurezza, l’etichetta segnala una riconquista del potere andato perduto. Con l’attuale governo di estrema destra, Israele potrebbe aver raggiunto il suo apice di potere. Riconoscere eventuali limiti al proprio potere sarebbe una distrazione inaccettabile per le ambizioni politiche lineari del governo. L’idea è quella di contenere la violenza dei coloni per evitare di perdere il controllo.

In altre parole, lo Stato israeliano e l’establishment militare e di sicurezza vogliono essere gli unici arbitri di chi è il bersaglio della violenza, quando e come sarà attaccato. Tollerano la violenza non statale solo in misura limitata, poiché la violenza civile, anche se tollerata, minaccia lo Stato stesso. Persone come Moshe Hagar, capo di un’accademia militare nell’insediamento di Beit Yati, non subiranno alcuna conseguenza per aver chiesto la distruzione di villaggi palestinesi “per dare una lezione ai palestinesi“, ma la condanna post hoc e la presenza dell’esercito a ogni attacco dei coloni dimostrano al mondo e agli ebrei israeliani chi è la vera potenza occupante.

Non tutti all’interno della struttura statale israeliana, tuttavia, hanno fatto proprio questo schema. Bezalel Smotrich, che ricopre la carica di Ministro delle Finanze ed è responsabile degli affari civili nei territori occupati grazie al suo controllo sull’Amministrazione Civile, ha considerato “sbagliato e pericoloso” qualsiasi paragone tra il “terrore arabo” e quelle che ha definito le “contro-operazioni civili” dei coloni. Smotrich segue un copione ormai superato. A lui non interessa tanto un forte monopolio della violenza quanto il progresso del progetto di insediamento.

Nel suo tentativo di centralizzare la violenza, lo Stato israeliano deve affrontare un problema. A differenza del 2002, quando l’Operazione Scudo Difensivo distrusse l’Autorità Palestinese attraverso devastanti invasioni urbane da parte dell’esercito israeliano, oggi non esiste una leadership palestinese o un gruppo paramilitare che valga la pena decimare. La violenza di stato israeliana manca di un bersaglio adeguato per le operazioni militari. I civili colmano il vuoto.

A differenza dei bersagli politici, tuttavia, la comunità internazionale osserva con relativa attenzione il modo in cui Israele tratta la popolazione civile sotto occupazione. Questo mette Israele in difficoltà: da un lato deve centralizzare la violenza, ma dall’altro gli manca un bersaglio – quindi tollera gli attacchi dei coloni.

D’altra parte, Israele è costretto a condannare questi attacchi e a rimediare allo scivolamento del potere. È questa confusione che spinge persone come Itamar Ben-Gvir, il ministro della Sicurezza Nazionale, a creare una propria milizia privata e ad approfondire i poteri dello Shin Bet sulla vita dei palestinesi. Come per Smotrich, l’incentivo di Ben-Gvir sembra essere quello di usare opportunisticamente il potere repressivo dello Stato per il progetto di insediamento. Ecco perché anche quelli come Ben-Gvir sono in difficoltà: sono i coloni che facilitano il progetto di insediamento in corso, ma è lo Stato che vuole essere al potere. Il progetto di insediamento deve essere amministrato dallo Stato per evitare di erodere dall’interno le preziose strutture di potere israeliane.

Naturalmente, qualsiasi sgarbo come l’etichetta di “terrorista” è destinato a frustrare i coloni. La fiducia nell’efficienza statale sta scemando. Come è possibile che Israele, con tutto il suo potere e la sua supremazia, non abbia ancora cancellato il popolo palestinese e la sua identità dalla terra che occupa? È la percezione della mancanza di violenza da parte dello Stato nei confronti dei palestinesi a spingere i coloni a fare i pogrom. 

Allora perché il discorso dei pogrom e del terrorismo ha preso piede solo ora nell’establishment militare e di sicurezza israeliano? Perché lo Stato israeliano sta cercando di far quadrare il cerchio: procedere nel progetto sionista di ebraicizzazione perpetua del territorio occupato senza un obiettivo politico adeguato, lottando allo stesso tempo per riconquistare il monopolio della violenza che ha temporaneamente delegato alle prerogative di coloni frustrati e deliranti. La vittima è, ancora una volta, la popolazione civile palestinese.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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