Israele: l’amaro bilancio del militante Hagai El-Ad, paria nel suo paese

Giu 29, 2023 | Notizie

di Louis Imbert,

Le Monde, 28 giugno 2023. 


Dopo nove anni alla guida dell’organizzazione israeliana B’Tselem, l’attivista, noto per la sua intransigenza, lascia l’incarico, consapevole dei limiti della sua azione in difesa dei palestinesi.

Hagai El-Ad, vicino al muro di separazione nel quartiere palestinese di Beit Hanina, a Gerusalemme Est, 7 giugno 2023. TANYA HABJOUQA / NOOR PER “IL MONDO”

Salvia, gelsomino, cactus contorti: Hagai El-Ad cura un giardino frequentato da api e mantidi religiose sul suo balcone nel quartiere Abu Tor di Gerusalemme, appena sopra la “linea verde” che separava Israele dai territori palestinesi prima della loro conquista nel 1967. Proprio su questo antico confine, l’uomo che una volta era il nemico pubblico numero uno in Israele si dedica ora alle sue piante.

Ha appena lasciato, dopo nove anni, la direzione di B’Tselem, la più influente, forse la più intransigente, delle organizzazioni israeliane per la difesa dei diritti umani. Il 26 giugno, B’Tselem ha annunciato la sua partenza e l’arrivo di una nuova direttrice, Yuli Novak.

Dal 2014, Hagai El-Ad, un uomo delicato e malinconico, ha suscitato più critiche di qualsiasi altro attivista israeliano contro la guerra coloniale che il suo paese combatte nei territori palestinesi. Nel 2016 ha portato la sua requisitoria al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel 2021 ha varcato il Rubicone, sostenendo che Israele ha messo in piedi un regime di apartheid, favorendo il dominio dei cittadini ebrei sui palestinesi, sia nei territori occupati che entro i suoi stessi confini.

I palestinesi avevano già fatto da decenni questa constatazione. Ma è bastato che B’Tselem si unisse a loro perché le grandi organizzazioni internazionali Human Rights Watch e Amnesty International denunciassero a loro volta l’apartheid israeliano. Questa definizione diventa poi un concetto accettato dappertutto, come dice El-Ad, “nei media, nelle società civili, nelle chiese e nelle ONG”. Ma nel suo paese, la voce di B’Tselem conta sempre meno. “Siamo finiti in un angolo, con le spalle al muro”, conclude El-Ad.

Il governo di Benjamin Netanyahu tratta B’Tselem e il suo direttore come dei paria. Gran parte dell’opinione pubblica li giudica troppo critici. Suscitano larvati rimproveri persino all’interno di quel che resta della sinistra anti-occupazione, una parte della quale rifiuta di essere paragonata agli Afrikaners (bianchi) al tempo della loro supremazia in Sudafrica. “Hagai è l’archetipo del profeta ebraico”, dice il suo compagno di lotta Yehuda Shaul, cofondatore dell’organizzazione Breaking the Silence. “Lui è quello che si affaccia sulla soglia e punta il suo dito accusatore. Vuole dire la verità, a qualunque costo.”

Hagai El-Ad è nato ad Haifa (nel Nord) nel 1969 da genitori giornalisti e universitari. Quel ragazzo dotato, con una passione per le scienze, asmatico, omosessuale ancora “nel sottofondo”, imparò l’arabo al liceo. “Era il modo migliore per fare il mio servizio militare nel reparto informazioni: non volevo essere il soldato di un’unità combattente”, ricorda Hagai. Ha fatto servizio nell’Unità 504 che si occupa delle fonti arabe in Palestina o in Libano.

“Non ha funzionato”

Tornato alla vita civile, ottiene una borsa per un dottorato in astrofisica ad Harvard, in USA. Poi torna nel suo paese e si orienta verso la Jerusalem Open House che difende i diritti degli omosessuali. Dirigerà poi l’Associazione per i diritti civili in Israele. Quando B’Tselem lo arruola, l’organizzazione documentava già da 25 anni le violazioni dei diritti umani nei Territori e temeva ormai di far parte “del sistema”.

“L’idea originale era che l’informazione avrebbe fatto breccia nel cuore e nella testa della gente, purché fosse credibile. In base a considerazioni morali, i cittadini ebrei avrebbero visto il male che stiamo causando ai palestinesi sotto la nostra dominazione e le cose sarebbero cambiate. Ma questo non ha funzionato”. Nel 2016, l’ONG smette di patrocinare le denunce dei palestinesi davanti alla giustizia militare, accusata di “sbiancare” sistematicamente le colpe dei soldati.

Nello stesso anno, Hagai El-Ad denuncia all’ONU la continuazione dell’occupazione. Fa appello ad un aumento della pressione internazionale su Israele. Era l’unico modo -spiega- perché la maggioranza ebrea israeliana accettasse di rinunciare ai “privilegi di cui gode a spese dei palestinesi”. Un deputato del Likud al potere chiede allora che Hagai venga privato della nazionalità. Organizzazioni di estrema destra moltiplicano i loro attacchi contro la “quinta colonna” rappresentata secondo loro da Hagai, mentre il governo di Benjamin Netanyahu fa votare una legge che mette sotto sorveglianza i finanziamenti stranieri a B’Tselem.

Questi attacchi distruggono il morale di alcuni suoi confratelli. Yuli Novak, allora a capo di Breaking the Silence, dice di essersi sentita allora “esausta”. Hagai El-Ad sembrava blindato dentro le sue certezze. “Lui è una mente scientifica. Vede le cose in bianco e nero. Non gli importa cosa tu pensi della legge di gravità: la legge esiste e questo basta per lui”, spiega il suo amico Shaul. Hagai ammette di aver provato in parte anche “rabbia, frustrazione, dolore”. Ma è anche fatalista: “La mia identità, i sentieri che amo percorrere, la lingua che amo parlare, tutto si trova qui: non c’è per me un’altra casa”.

Gli anni passati a B’Tselem l’hanno cambiato. Ha poca simpatia per quei suoi amici che cercano di “salvare” un Israele idealizzato come un’impresa di coloni messianici. Sottolinea al contrario la continuità tra i primi governi laburisti del paese e la coalizione di Netanyahu al potere dal dicembre 2022, che incoraggia la violenza dei coloni, mentre alcuni dei suoi deputati evocano in prima serata alla TV la possibilità di una pulizia etnica dei Territori. “L’obiettivo di un controllo ebraico israeliano permanente sulla terra tra il Giordano e il mare, senza concedere ai palestinesi né libertà né uguaglianza non è affatto nuovo. È il grande progetto nazionale iniziato nel 1948, alla creazione della Stato”, taglia corto Hagai.

Dal gennaio di quest’anno, segue solo alla televisione le manifestazioni contro la riforma della giustizia voluta dal governo, una riforma che minaccia di sfasciare la Corte Suprema e l’equilibrio dei poteri. Ma non è mai andato alle manifestazioni. Gli resta difficile difendere questa Corte “che ha approvato tutti i crimini di guerra commessi contro i palestinesi”.

Hagai El-Ad non parla di pace, ma di giustizia. Si guarda bene dal fantasticare di una “soluzione” negoziata al conflitto, e preferisce lottare contro “l’impunità” di cui gode Israele. “A volte sogno di scuotere un diplomatico”, racconta, “e di dirgli: Svegliati, svegliati! È inutile che tu continui a cantare la canzoncina della soluzione a due Stati. Tu non ci credi più”. E si stupisce che l’inchiesta aperta presso la Corte Penale Internazionale sui crimini commessi nei Territori si trascini da anni, nonostante che quel conflitto sia quello meglio documentato del mondo.

Un eccesso di rigore

A sinistra, alcuni vedono nella sua posizione un eccesso di rigore – la maledizione del loro campo. Temono che B’Tselem si chiuda in un vicolo cieco se gioca tutto su un’ipotetica pressione internazionale, proprio quando Israele normalizza le sue relazioni con i paesi arabi (Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco) e quando l’azienda francese Carrefour progetta di aprire i suoi supermercati nelle colonie della Cisgiordania. Yuli Novak, che gli succede, riconosce che B’Tselem si è “isolata, ma questo è il risultato, forse inevitabile, delle sue azioni, non la sua intenzione”.

Dopo ave toccato il fondo nel 2017 sotto gli attacchi dell’estrema destra, Yuli ha viaggiato specialmente in Sudafrica, dove ha stretto legami con degli Afrikaners moderni, nei quali si riconosce. Cerca ora di condividere questo cammino intellettuale in Israele: “Le persone sono quello che sono. Non dobbiamo abbandonare la nostra capacità di comunicazione, senza ingenuità.”

https://www.lemonde.fr/international/article/2023/06/28/le-bilan-amer-du-militant-hagai-el-ad-l-israelien-qui-a-denonce-le-regime-d-apartheid_6179600_3210.html

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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