Perché Biden non condannerà Israele per l’insediamento di Homesh

Giu 3, 2023 | Notizie, Riflessioni

di Philip Weiss,  

Mondoweiss, 1 giugno 2023.   

Joe Biden non farà nulla per punire Israele per esser venuto meno di nuovo alle sue promesse sugli insediamenti, perché ha bisogno della lobby israeliana per rimanere con i Democratici nel 2024. E i sionisti liberali sembrano assecondarlo.

Limor Son Har-Melech, membro del parlamento israeliano per il partito razzista Otzma Yehudit, visita l’insediamento illegale di Homesh. Dal suo profilo Twitter, maggio 2023.

La storia di Joe Biden con il progetto di insediamento illegale di Israele è molto più lunga di quella di chiunque altro nella politica statunitense. Più di 40 anni fa, quando era un giovane senatore, dette un pugno sul tavolo e disse al Primo Ministro israeliano Menachem Begin: “Se non smettete di costruire insediamenti illegali oltre la Linea Verde, taglieremo gli aiuti”.

Ma naturalmente Begin vinse su questo punto, e Israele continuò a costruire insediamenti. E in uno dei momenti tipici della ‘relazione speciale’ tra Stati Uniti e Israele, nel 2010, proprio quando il vicepresidente Joe Biden atterrava a Tel Aviv, Israele ha annunciato 1600 nuove unità di insediamento, facendo marameo alla Casa Bianca. Biden l’ha presa con filosofia. Aveva imparato!

Ora la domanda è: cosa farà Biden per la ricostituzione di Homesh da parte di Israele? Homesh è un avamposto di insediamento ebraico in Cisgiordania che nel 2005 Israele aveva promesso alla Casa Bianca di smantellare. Ma i ministri del nuovo governo estremista di destra di Israele lo hanno richiesto come progetto ‘irrinunciabile’, e Netanyahu ha dato il via libera.

La risposta è che Biden si prostrerà ancora una volta a favore di Israele. Il Dipartimento di Stato dirà (come ha fatto il 22 maggio) che è “profondamente turbato” dalla riapertura di Homesh. Ma poi non farà assolutamente nulla per punire Israele. Proprio come hanno deplorato l’uccisione di Shireen Abu Akleh, ma non hanno fatto nulla per farla pagare a Israele. Biden non vuole alienarsi la lobby di Israele – i donatori e gli influencer che sostengono Israele – prima delle elezioni del 2024. Se Biden verrà rieletto, forse affronterà un po’ Israele, come ha fatto Obama nel suo secondo mandato – troppo poco, troppo tardi. Ma per ora Biden non ha fatto nulla per invertire le mosse di Trump riguardo a Israele. Non ha fatto nulla per rilanciare l’accordo con l’Iran. Non ha fatto nulla per riaprire il consolato di Gerusalemme ai palestinesi, nonostante le ripetute promesse.

E, a proposito, la prossima settimana il Segretario di Stato andrà a rendere omaggio al gruppo di destra AIPAC della lobby israeliana, un segnale per Netanyahu a fare tutto ciò che vuole.

Biden non farà nulla per alienarsi la lobby israeliana perché, come ha affermato una volta il New York Times, l’elefante nella stanza è che i donatori ebrei sono quelli che determinano la politica dei Democratici:

C’è poca disponibilità tra i Democratici a sostenere pubblicamente un cambiamento sostanziale nella politica tradizionale verso Israele. In parte, secondo alcuni membri del Congresso ed ex funzionari della Casa Bianca, ciò è dovuto all’influenza dei mega-donatori: delle decine di assegni personali superiori a 500.000 dollari versati nel 2018 alla più grande lobby per i Democratici, il Senate Majority PAC, circa tre quarti sono stati emessi da donatori ebrei.

E gli ebrei sono ancora percepiti come per lo più favorevoli a Israele, soprattutto nella classe dei donatori (persone con più di 60 anni). Alla lobby pro Israele piace far intravedere il portafoglio. Come ha scritto Bret Stephens l’altro giorno sul New York Times, “Nel maggio 1991, i donatori ebrei americani versarono una tangente di 35 milioni di dollari al regime [etiope] di Mengistu, affinché lasciasse partire gli ebrei”. Si tratta di un sacco di soldi, usati per corrompere un governo. Non c’è da stupirsi che i dittatori facciano la fila per aderire agli Accordi di Abramo.

Ripetiamo ancora una volta che la base dei Democratici è solidale con i palestinesi: sostiene il boicottaggio e il disinvestimento (BDS) contro Israele per le sue violazioni dei diritti umani, ritiene che Israele pratichi l'”apartheid”. Ma se si ricordasse questo a Joe Biden, lui direbbe: “È ancora una piccola frangia della nostra politica; al massimo dieci membri del Congresso sostengono questa posizione”.

Biden non vuole correre alcun rischio con la lobby, perché teme la concorrenza. I repubblicani Ron DeSantis e Nikki Haley hanno entrambi aperto le loro campagne presidenziali recandosi in Israele e criticando Biden per la sua politica; stanno cercando di accaparrarsi quel bottino ebraico di cui tutti evitano di parlare; sanno che alcuni ebrei abbandoneranno il Partito Democratico per sostenere Israele. È per questo che il principale assistente di Obama in politica estera nel 2011 dovette chiamare “una lista di importanti donatori ebrei… per rassicurarli sulla fedeltà a Israele di Obama” – mentre Obama era in corsa per la rielezione – perché Obama aveva fatto arrabbiare Netanyahu commettendo il terribile errore di difendere la politica degli Stati Uniti, dicendo che una soluzione a due Stati doveva essere basata sulle linee del 1967.

Non parlatemi dei sionisti cristiani. Non sosterranno Biden, ma nessuno nel Partito Democratico si preoccupa di ciò che dicono. È la lobby sionista ebraica che ha influenza sul Partito Democratico – e anche su Trump. Il suo più grande donatore è stato il defunto Sheldon Adelson, i cui contributi di oltre 100 milioni di dollari hanno ottenuto grandi risultati: spostamento dell’Ambasciata a Gerusalemme, bocciatura dell’accordo con l’Iran, riconoscimento degli insediamenti illegali. Ron DeSantis ha recentemente incontrato Miriam Adelson, la vedova di Sheldon.

L’unica cosa che mi sconvolge dell’atteggiamento verso Biden è che i sionisti liberali sembrano tacere di fronte alla sua ipocrisia. I sionisti liberali presumibilmente odiano l’occupazione. Continuano a parlare di una soluzione a due Stati per preservare Israele come Stato ebraico, e di Israele che si ritira dagli insediamenti per arrivare a questo risultato (un trucco magico, se mai ce n’è stato uno).  Ma sono rimasti in silenzio su Homesh. Americans for Peace Now e J Street non hanno rilasciato dichiarazioni di condanna per l’insediamento israeliano.

I sionisti liberali sanno che Biden si troverebbe in difficoltà se facesse davvero qualcosa contro Israele, quindi non agitano le acque.

Ecco, ad esempio, l’analista Dahlia Scheindlin (che parla spesso ai gruppi sionisti liberali) che scrive su Foreign Affairs che il governo degli Stati Uniti deve riflettere a lungo e con attenzione prima di imporre una politica statunitense “più dura” su Israele:

Se gli Stati Uniti adottassero una linea più dura per come Israele tratta i Palestinesi, ciò potrebbe migliorare leggermente la credibilità americana nella regione, ma avrebbe un prezzo politico enorme per qualsiasi politico o partito americano che osasse guidare un tale processo. I sicuri costi politici di una politica statunitense più dura nei confronti di Israele – una politica che non riuscirebbe comunque a raggiungere un accordo di pace – potrebbero superare i potenziali benefici per i leader statunitensi.

Questa è l’opinione di un’importante liberale ebrea che sostiene i diritti dei palestinesi: l’amministrazione Biden non può essere troppo dura con Israele, a causa dell’”enorme prezzo politico”.

La Scheindlin si riferisce qui alla lobby pro Israele, anche se non ci dice che è proprio questo ciò che sta guidando la politica.

Purtroppo, questa è stata da molti decenni la realtà della lobby pro Israele. Tutti conoscono il suo enorme potere e i politici contano su di essa, ma la stampa ha difficoltà a nominare la vera forza che opera in questo caso. Credo che tutto ciò continuerà ancora per un po’!

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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