di Anshel Pfeffer,
Haaretz, 29 maggio 2023.
Il ritorno dei coloni a Homesh è un tentativo di riportare indietro l’orologio a prima del Disimpegno del 2005 da Gaza e dalla Samaria settentrionale. I leader del Likud, attuali e futuri, dovranno assecondare tali desideri dei loro partner estremisti se vogliono mantenerli al governo
Da quasi 18 anni, centinaia di migliaia di israeliani portano con sé un trauma non elaborato. È difficile valutare con precisione il loro numero o la loro proporzione nella popolazione – probabilmente meno del 10 percento, quasi tutti appartenenti alla comunità religiosa sionista. Per coloro che portano ancora le cicatrici del ‘Disimpegno’ di Israele dagli insediamenti nella Striscia di Gaza e nella Samaria settentrionale nell’estate del 2005, quelle ferite continuano a bruciare.
La yeshiva costruita illegalmente sulle rovine di Homesh, l’ultimo degli insediamenti ad essere sfrattato nel 2005, è stata segretamente spostata domenica notte con il permesso del Governo in un terreno designato come di proprietà statale – una mossa che l’amministrazione Biden ha criticato come ‘incoerente’ rispetto agli impegni di Israele con Washington.
Ma Homesh non è solo un altro avamposto illegale. La mossa è un tentativo da parte dei coloni e dei loro sostenitori di riportare indietro le lancette dell’orologio a prima del 23 agosto 2005, quando gli ultimi giovani che resistevano a Homesh vennero fatti salire sugli autobus e furono evacuati.
Homesh è un sito conveniente e simbolico per questo. A differenza degli insediamenti di Gaza, le cui rovine si trovano ora all’interno del territorio controllato da Hamas, Homesh è rimasta in una parte della Cisgiordania che è ancora sotto la giurisdizione militare israeliana.
Degli altri tre insediamenti della Cisgiordania che furono evacuati nel 2005, Ganim e Kadim sono più a nord e meno accessibili. Erano anche comunità laiche i cui residenti avevano accettato di andarsene in anticipo. Sa-Nur è più vicina a Homesh, ma era una piccola colonia di artisti ed è stato più facile per l’esercito chiuderla ai coloni.
Homesh era un villaggio più grande. Al momento dello sgombero, comprendeva soprattutto famiglie religiose e giovani che opposero un’ultima animata resistenza, colpendo i membri delle forze di sicurezza con bombe di vernice prima di essere sgomberati.
I tentativi di tornare a Homesh sono in corso dal 2007, guidati dal personale e dagli studenti della Yeshiva Homesh, che si è trasferita solo temporaneamente in un avamposto a sud di Hebron.
Sono l’avanguardia di quegli israeliani che non hanno ancora accettato che il Disimpegno sia stato una separazione definitiva da ciò che considerano parte della Terra d’Israele. Hanno rifiutato di piangere gli insediamenti sgomberati dal governo di Ariel Sharon. Non esiste un memoriale ufficiale (esistono piccoli musei di Gush Katif a Gerusalemme e a Nitzan) o una giornata di commemorazione. Queste cose vanno oltre il desiderio generale dei coloni che è sostanzialmente quello di conquistare più territorio in Cisgiordania.
È un imperativo spirituale non accettare il fatto che un governo israeliano e un esercito ebraico, con il sostegno di una maggioranza schiacciante di israeliani, abbiano sfrattato degli ebrei dalle loro case.
È un’inversione inaccettabile nel “processo di redenzione”, un’inversione che i loro rabbini hanno promesso “non avverrà” e che quindi, una volta avvenuta, deve essere considerata temporanea. Ecco perché la canzone che hanno cantato durante il Disimpegno era “il popolo del per sempre non ha paura di una lunga strada”.
Non possono e non vogliono capire perché la maggior parte degli israeliani – e anche Dio – non si sono mobilitati abbastanza all’epoca e hanno permesso che ciò accadesse. E ancora non si preoccupano di luoghi come Homesh, che pochissimi di loro hanno mai visitato. E se lo hanno fatto, probabilmente era quando erano soldati e non capivano perché dovessero passare il loro tempo a sorvegliare questi piccoli insediamenti isolati.
Ma gli attivisti centrali della lotta fallita contro il Disimpegno, come il Ministro delle Finanze del partito Sionismo Religioso Bezalel Smotrich e il Ministro delle Missioni Nazionali Orit Strock (che ha detto in una recente intervista: “Non so quanti anni ci vorranno… il ritorno a Gaza richiederà molti sacrifici. Gaza fa parte della Terra d’Israele e un giorno vi ritorneremo”) sono ora, 18 anni dopo, un partito centrale nel governo e possono estorcere a Benjamin Netanyahu concessioni che non avrebbe mai immaginato di concedere nel suo precedente governo. Due mesi fa, la coalizione di governo ha approvato la legge che consente agli israeliani di stare nelle aree sfrattate durante il Disimpegno; questa settimana è toccato alla yeshiva.
Netanyahu non ha subito il trauma del Disimpegno, ma è consapevole del potere di questo trauma su alcuni membri della sua coalizione. Ecco perché ha costruito una falsa narrativa sul suo ruolo nel Governo Sharon che lo ha portato avanti, e dal quale si è dimesso solo una settimana prima dell’inizio degli sgomberi e dopo aver votato a favore in quattro votazioni chiave. Il mese scorso, in un’intervista con lo strumento di propaganda amica Channel 14, ha persino affermato: “ero il leader dell’opposizione” durante il Disimpegno. Un’evidente bugia.
Il Ministro della Difesa Yoav Gallant, che era il segretario militare di Sharon durante il Disimpegno e come tale ha svolto un ruolo chiave nella sua attuazione, è anche pienamente consapevole del trauma e, poiché si vede come un futuro leader dell’ala destra (e ha bisogno di riabilitarsi dopo essersi opposto alla revisione giudiziaria), ha dato il via libera alla Yeshiva di Homesh.
Finché coloro che si impegnano a riportare indietro l’orologio del Disimpegno saranno una parte fondamentale della coalizione di destra, i leader del Likud, attuali e futuri, dovranno assecondare le loro fantasie, qualunque cosa dica l’amministrazione statunitense.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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