di D. (anonimo obiettore di coscienza),
Refuser Solidarity Network, 28 maggio 2023.
Sono “D”. Sono un obiettore di coscienza israeliano di 25 anni. Non mi sento a mio agio nel rivelare il mio nome, ma voglio condividere la mia storia con voi. Ho già scontato 5 giorni di arresto in una base militare israeliana e altri 14 giorni di prigione militare perché mi rifiuto di servire l’esercito israeliano. Qualcuno potrebbe dire che sono un traditore. Dopotutto, da quando mi sono trasferito in questo paese un paio di anni fa, quando ero bambino, mi è stato dato così tanto. E qualcuno potrebbe dire che ora è il mio momento di dare qualcosa in cambio, e invece li pugnalo alle spalle. Beh, non è così semplice e se hai un minuto di tempo ti spiego perché.
Come molti degli immigrati ebrei che si sono stabiliti tra il fiume e il mare, non ho avuto una vita semplice nella mia patria. Vivevo con una famiglia disfunzionale in un paese disfunzionale e fantasticavo costantemente su una via d’uscita da quella miseria. Così, quando gli incaricati dell’Agenzia Ebraica mi hanno avvicinato con i loro volti sorridenti e le tasche piene, ho deciso di seguirli.
Mi hanno messo nel collegio di un kibbutz (villaggio comune), dove mi sono unito a decine di altri ragazzi come me, che erano stati portati in Israele da tutto il mondo senza le loro famiglie. Nella vita apparentemente perfetta del kibbutz ci veniva insegnato l’ebraico ed eravamo indottrinati con la narrativa e i valori sionisti.
Nella bolla di isolamento in cui ho vissuto in quegli anni non ho mai incontrato un palestinese, e gli insegnanti si astenevano opportunamente dal parlare di certi argomenti, per esempio di ciò che è realmente accaduto nel 1948 o di ciò che sta accadendo intorno a noi oggi. Non sapevo che in realtà venivo “educato” all’ignoranza, all’indifferenza e all’odio.
Ma dopo essermi trasferito a Gerusalemme, questa illusione in cui vivevo non ha retto a lungo, perché nonostante tutti gli sforzi degli israeliani per nascondere la realtà, è impossibile per loro far sparire le centinaia di migliaia di palestinesi che vivono sotto oppressione in questa città, o nascondere il muro di segregazione che vedevo ogni giorno.
Mentre il giorno del mio arruolamento nell’esercito si avvicinava, le voci nella mia testa cominciavano a farsi sentire. Rendermi conto dell’ipocrisia della società israeliana non è stato facile per me, perché ha comportato l’ammissione di essermi sbagliato per tutti quegli anni. Si trattava di rendersi conto che tutti i privilegi di cui godevo erano basati sul saccheggio della terra di persone innocenti.
Liberarsi dalle catene mentali dell’apartheid mentre ero uno degli oppressori è stato un processo doloroso. I sionisti ti fanno il lavaggio del cervello per farti credere che Israele è il perdente, che l’unico modo in cui gli ebrei possono esistere è finché c’è uno Stato ebraico, e ti fanno credere che i palestinesi sono esseri umani di una specie inferiore e barbara, che devono essere tenuti in gabbia, altrimenti usciranno e ti uccideranno.
Ma una volta capito come stavano le cose, non potevo tornare indietro. Avevo finalmente visto la verità e smascherato i cinici impostori che mi avevano portato qui. Non volevano aiutarmi, desideravano solo la mia presenza ebraica.
Ma, ubriachi di tutto il loro potere e dei loro piani, non hanno pensato a un dettaglio molto importante. Trattano le persone come oggetti, uccidendo i Palestinesi e facendo il lavaggio del cervello ai bambini. Pensano di poterci dare degli ordini che noi eseguiremo come dei robot. Ma noi non siamo robot, siamo esseri umani! Tutti i loro carri armati e le loro armi nucleari non significano nulla, perché impallidiscono di fronte alla minaccia più grande per loro: l’essere umano pensante.
Ora il mio futuro appare cupo. Mi trattano come un nemico e un traditore per essermi battuto per i diritti umani e la solidarietà. E sono uno dei fortunati, perché invece di essere incarcerato all’infinito come centinaia di palestinesi in detenzione amministrativa, il mio tempo in carcere finirà. Ma tutta la loro violenza e oppressione è solo un segno della loro paura e della loro debolezza. Perché sanno che la democrazia sarà la loro dolce fine. Ecco perché ci perseguiteranno tutti. Ma in questi tempi bui ricorderemo le parole di Pablo Neruda: “Possono tagliare tutti i fiori, ma non possono impedire alla primavera di arrivare.”
In solidarietà,
D.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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