Ripensare Israele sotto una nuova luce

Mag 28, 2023 | Notizie

di Kenneth Roth,

Deutsche Welle, 22 maggio 2023. 

Mentre i governi parlano di una soluzione a due Stati, quello che abbiamo oggi è una “realtà a uno Stato”, scrive l’ex direttore esecutivo di Human Rights Watch Kenneth Roth.

Il Muro di separazione a Betlemme, in Cisgiordania

La crescente repressione esercitata dal governo israeliano di estrema destra del Primo Ministro Benjamin Netanyahu sta fornendo molti motivi di preoccupazione. Il governo ha intrapreso un’azione per minare ulteriormente il sistema giudiziario, minacciando di lasciare le decisioni del governo completamente immuni da un controllo giudiziario significativo. Ha eseguito incursioni anti-palestinesi sempre più letali e continua ad espandere gli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est.

Eppure, la risposta occidentale a questi sviluppi drammatici e pericolosi è stata quella di riciclare punti di vista obsoleti da tempo. Reagendo all’ultimo annuncio di nuovi insediamenti, il governo tedesco, insieme a Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, ha avvertito a marzo che la mossa avrebbe potuto “minare gli sforzi per raggiungere una soluzione negoziata a due Stati”.

La condotta del governo israeliano è certamente degna di condanna. Ma l’invocazione rituale della ‘soluzione a due Stati’ non può nascondere il fatto che per decenni il governo israeliano ha ampliato gli insediamenti con l’obiettivo di rendere impossibile uno Stato palestinese. In gran parte ci è riuscito. Gli insediamenti sono crimini di guerra, palesi violazioni del divieto di cui all’Articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta all’occupante di trasferire membri della sua popolazione nel territorio occupato.

Ad un certo punto, la Corte Penale Internazionale, che ha aperto un’indagine, potrebbe perseguire alcuni dei funzionari israeliani responsabili. Ma gli insediamenti sono comunque una realtà che non può essere dimenticata. Nel 2019, un ex soldato israeliano del gruppo Breaking the Silence mi ha fatto fare un tour delle colline della Cisgiordania per capire meglio la disposizione degli insediamenti israeliani, degli avamposti, delle strade tangenziali e degli altri ostacoli che impediscono ai palestinesi di muoversi liberamente all’interno del loro territorio. Quello che rimane è ormai un groviera di enclavi palestinesi, con poche speranze di diventare uno Stato vitale e contiguo.

Kenneth Roth è stato a lungo direttore esecutivo di Human Rights Watch.

Dopo oltre cinque decenni di occupazione e 30 anni di “processo di pace”, non è più sostenibile considerare la repressione esercitata dall’occupazione israeliana come un mero fenomeno temporaneo da curare con un “processo di pace” senza fine. Il “processo di pace” è moribondo. Mentre i governi parlano di una soluzione a due Stati, quello che esiste oggi è una “realtà a uno Stato”. In effetti, le persone che ancora invocano la soluzione dei due Stati sembrano essere i funzionari occidentali che cercano disperatamente di evitare di fare i conti con il carattere persistente dell’oppressione israeliana.

Certo, l’Autorità Palestinese (AP) non parla ancora di un unico Stato. I suoi funzionari si aggrappano all’illusione di un processo di pace come unico modo per mantenere la loro posizione di potere. Ma l’Autorità Palestinese è diventata di fatto un subappaltatore del governo israeliano, con il compito di tenere sotto controllo il malcontento nei confronti dell’occupazione repressiva di Israele. La credibilità del governo del Presidente palestinese Mahmoud Abbas è limitata anche dal fatto che non ha tenuto elezioni presidenziali o parlamentari dal 2006. Insieme al governo israeliano, teme che Hamas possa vincere una nuova competizione elettorale, come ha fatto l’ultima volta che si sono tenute le elezioni parlamentari.

Se Israele e la Palestina sono ora legati in una realtà a uno Stato, qual è questa realtà? Il principale gruppo israeliano per i diritti umani, B’Tselem, e più di due dozzine di altri gruppi israeliani; il principale gruppo palestinese per i diritti umani, al-Haq, e decine di altri gruppi per i diritti palestinesi; così come Human Rights Watch, Amnesty International, esperti delle Nazioni Unite, tra gli altri, hanno concluso che si tratta di apartheid.

Questo non è inteso come un’analogia storica con il Sudafrica, ma come un’attenta analisi dei fatti in base alla definizione legale di apartheid contenuta nella Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine di apartheid e nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Tale definizione presuppone l’intento di mantenere un sistema di dominazione di un gruppo razziale su un altro, unito a un’oppressione sistematica e a specifici atti disumani, compiuti in modo diffuso o sistematico.

Sebbene vi siano differenze nella portata delle varie analisi, tutte concordano sul fatto che le autorità israeliane stanno commettendo il crimine di apartheid nei confronti di milioni di palestinesi. Questo è diventato il punto di vista principale di ogni seria organizzazione per i diritti umani che ha esaminato la questione. Per esempio, i palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, vivono con molti meno diritti e molte più restrizioni rispetto ai loro vicini israeliani che si trovano negli insediamenti.

I sostenitori del governo israeliano non possono evitare di riconoscere questa discriminazione, ma tendono a ignorarne l’importanza sostenendo che è una situazione temporanea, che il “processo di pace” risolverà. Dato che il “processo di pace” appare senza fine, senza colloqui seri da anni, questa risposta ha smesso da tempo di essere credibile.

I partigiani del governo israeliano citano anche la violenza palestinese, ma la necessità di rispondere a tale violenza non spiega la costruzione di insediamenti che dividono la Cisgiordania, rendendo gli israeliani più vulnerabili, non meno, rubando l’acqua e la terra ai palestinesi o impedendo ai palestinesi nelle zone della Cisgiordania controllate da Israele di aggiungere una camera da letto alla loro casa.

L’apartheid non è un’etichetta facile da applicare, ma è l’unica giusta per descrivere il regime oppressivo e discriminatorio che il governo israeliano impone – la politica di privilegiare gli ebrei israeliani a scapito dei palestinesi.

Capisco che si tratta di verità difficili da accettare, soprattutto per il governo tedesco che ha comprensibilmente sentito una responsabilità speciale nei confronti del popolo ebraico dopo l’Olocausto. Come dice il Ministero degli Esteri Federale, “la Germania ha un rapporto unico con Israele. Ciò deriva dalla responsabilità della Germania nella Shoah, il genocidio sistematico di sei milioni di ebrei europei sotto il nazionalsocialismo”.

Usando termini più duri, il Ministro israeliano di estrema destra della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir, ha detto a marzo, in risposta alle blande critiche del Ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock: “Gli ultimi che dovrebbero farci la predica sono i tedeschi”.

Il Ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock e il suo omologo israeliano Eli Cohen.

Come figlio ebreo di un padre cresciuto a Francoforte e fuggito dodicenne a New York nel luglio del 1938, capisco in modo personale il male che il regime nazista ha fatto. La reticenza tedesca a parlare di diritti umani a Israele è comprensibile, ma oggi è sbagliata.

È un errore equiparare l’attuale governo israeliano al popolo ebraico. Gli ebrei hanno tratto due lezioni molto diverse dall’Olocausto, una sola delle quali è rappresentata dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dal suo gruppo di ministri estremisti.

Essi credono che i nazisti abbiano perseguitato gli ebrei perché gli ebrei erano deboli. Netanyahu e i suoi hanno costruito uno Stato forte, il che è comprensibile, ma anche brutale, il che è sbagliato. Il messaggio sembra essere che, se qualcuno si mette contro Israele, sarà non solo fermato, ma anche schiacciato. I palestinesi sotto occupazione sono le principali vittime di questa logica di repressione.

L’altra lezione, che condivido, è che il potere non è mai sufficiente per la protezione, soprattutto in un mondo in cui una singola arma nucleare nelle mani di uno Stato ostile potrebbe causare danni terribili. Dobbiamo invece costruire un mondo in cui le norme di comportamento siano abbastanza forti da far sì che i governi non ricorrano mai alla persecuzione di massa, per non parlare dell’omicidio di massa, delle persone che non amano. Abbiamo bisogno di un mondo in cui la pressione globale contro qualsiasi tentazione di persecuzione o massacro sia applicata in modo coerente e assiduo.

Ecco perché molti ebrei hanno tratto dall’Olocausto la lezione che è importante sostenere i diritti umani, soprattutto per le minoranze svantaggiate. È per questo che la maggioranza degli ebrei americani disapprova le politiche repressive del governo Netanyahu.

Queste lezioni alternative tratte dall’Olocausto non sono del tutto contraddittorie. Ognuna ha un elemento di verità. Sì, il governo israeliano ha bisogno di un esercito forte per proteggersi. Ma ha anche bisogno di standard forti in materia di diritti umani. L’approccio unidimensionale del governo Netanyahu alla sicurezza israeliana – la potenza senza considerare i diritti umani – sta minando questi standard.

Il governo tedesco dovrebbe rivalutare le lezioni che trae dalla sua storia nazista. Sentirsi in debito con gli ebrei del mondo non dovrebbe significare firmare un assegno in bianco al governo israeliano, che dimentica le importanti lezioni sui diritti che dovrebbero essere tratte dall’Olocausto.

Perseguitare i palestinesi non solo viola i principi fondamentali dei diritti umani che il governo tedesco e i suoi partner occidentali invocano regolarmente in Ucraina, Siria e altrove, ma non è nemmeno un bene per gli ebrei del mondo, la maggior parte dei quali vive fuori da Israele e dipende da questi principi. E non fa bene a Israele, la cui sicurezza non può essere rafforzata dalla soppressione permanente dei Palestinesi con cui condivide una piccola fetta di terra.

L’apartheid non è una soluzione a lungo termine. I governi occidentali dovrebbero dirlo. Le lezioni dell’Olocausto, lungi dall’impedire questa franchezza, la impongono.

https://corporate.dw.com/en/opinion-reassessing-the-approach-to-israel/a-65648479

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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