di Eitay Mack,
+972 Magazine, 22 maggio 2023.
L’annullamento di un evento con Ben Gvir non compensa una storia di interessi europei che danno a Israele il via libera per portare avanti le sue politiche illegali.
All’inizio del mese, l’ambasciata dell’Unione Europea in Israele ha annunciato la cancellazione del ricevimento per la Giornata dell’Europa, previsto per il 9 maggio, a causa dell’insistenza del ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra Itamar Ben Gvir di voler parlare all’evento. Lungi dal dimostrare la forza dei diritti umani per i paesi europei, come affermato dal portavoce della delegazione UE, la decisione è solo un’altra dimostrazione dell’ipocrisia di questi paesi nel loro impegno riguardo a Israele-Palestina.
L’annuncio è arrivato dopo una settimana di articoli dei media secondo i quali la delegazione UE sperava che il governo Netanyahu avrebbe inviato un altro ministro al ricevimento. Se non avevano problemi a far parlare all’evento un altro ministro del governo di estrema destra più forte della storia di Israele, i diplomatici UE avrebbero potuto accettare Ben Gvir e poi coprirsi la testa con delle coperte mentre parlava.
L’imbarazzo non è finito qui. Un giorno prima della celebrazione della Giornata dell’Europa, Israele ha demolito una scuola costruita con i finanziamenti UE in una comunità beduina vicino a Betlemme, nella Cisgiordania occupata. In risposta, l’UE e il Ministero degli Esteri tedesco hanno condannato la demolizione e hanno sottolineato che tali azioni sono “illegali secondo il diritto internazionale e il diritto dei bambini all’istruzione deve essere rispettato”. La loro dichiarazione aggiungeva: “L’UE invita Israele a fermare tutte le demolizioni e gli sgomberi, che non faranno altro che aumentare le sofferenze della popolazione palestinese e rischiano di infiammare le tensioni sul posto”.
Questa dichiarazione si aggiunge a innumerevoli altre condanne da parte dell’UE e dei governi europei della politica di Israele nei territori palestinesi occupati. Ciò che non si trova in nessuna di esse, tuttavia, è un’indicazione delle conseguenze che Israele avrebbe dovuto affrontare se avesse continuato con queste politiche, e delle sanzioni che i governi UE avrebbero imposto in questo caso.
L’enorme divario tra la forza delle condanne – che a volte sono formulate in maniera molto dura – e la realtà in cui Israele continua ad affrontare zero conseguenze è il risultato di interessi di stato e di realpolitik. La questione dei diritti umani non è mai stata al centro della politica europea. I Paesi europei agiscono invece nel contesto dei loro legami globali con Israele in materia di sicurezza, intelligence, politica ed economia, e sono anche influenzati dagli Stati Uniti e dall’alleanza NATO.
Nonostante le ripetute condanne dell’Unione Europea per le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale da parte di Israele, spesso più marcate di quelle sentite dall’altra parte dell’Atlantico, queste dichiarazioni sono prive di significato finché i governi che le fanno continueranno a dare priorità ai propri interessi rispetto ai diritti umani. Ora, in seguito alla declassificazione negli Archivi di Stato israeliani di migliaia di telegrammi e documenti del periodo 1967-90 contenuti negli archivi del Ministero degli Affari Esteri israeliano, possiamo vedere quali sono state per decenni le priorità degli Stati europei nei confronti di Israele.
Un olocausto per l’economia tedesca
I documenti mostrano, ad esempio, che le discussioni tra i rappresentanti di Israele e della Germania occidentale negli anni ’70-’80 non hanno quasi mai affrontato il conflitto israelo-palestinese dal punto di vista del diritto internazionale e delle violazioni dei diritti umani e civili dei palestinesi.
Anche quando i funzionari della Germania Occidentale hanno condannato pubblicamente o privatamente le politiche di Israele nei territori palestinesi occupati, ciò era dovuto agli interessi della stessa Germania Occidentale e non a un reale impegno per i diritti umani. In decine di telegrammi, il sostegno della Germania Ovest al diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese viene spiegato come derivante solo dall’analogia col diritto all’autodeterminazione del popolo tedesco dopo l’unificazione dello Stato con la Germania Est.
Durante la visita del Ministro federale tedesco degli Affari Esteri Hans-Dietrich Genscher in Israele nel giugno 1978, egli chiarì ai funzionari israeliani che la Germania non sosteneva necessariamente uno Stato palestinese indipendente, ma solo l’esistenza di un’entità autonoma. In un riassunto della visita del Ministro degli Esteri israeliano Yitzhak Shamir in Germania Ovest nel novembre 1980, invece, si legge che Genscher gli disse che l’autodeterminazione palestinese doveva dipendere dal consenso di Israele. E in un documento preparato presso il Ministero degli Affari Esteri israeliano il 19 gennaio 1983, si legge che la Germania Ovest non sosteneva la creazione di uno Stato palestinese pienamente sovrano, ma piuttosto una qualche forma di “autorità politica”.
A partire dalla metà degli anni Settanta, la Germania Ovest iniziò a condannare più apertamente il progetto di insediamento di Israele e la sua acquisizione di territorio con la forza, sostenendo che ciò danneggiava gli sforzi per la pace. Tuttavia, i documenti d’archivio – che comprendono decine di cablogrammi che documentano le discussioni tra funzionari israeliani e tedeschi occidentali, nonché valutazioni della situazione preparate da alti funzionari del Ministero degli Esteri israeliano – rivelano che per la Germania Ovest la pace e la tutela dei diritti dei palestinesi danneggiati dal progetto di insediamento israeliano erano soprattutto un interesse finanziario: il timore era che il conflitto si trasformasse in una guerra regionale che avrebbe danneggiato l’economia della Germania Ovest.
In un riassunto scritto il 16 febbraio 1975 dal vicedirettore del Ministero degli Affari Esteri israeliano per l’Europa Occidentale, Nissim Yaish, in preparazione della visita del Ministro degli Esteri Yigal Allon in Germania Ovest, Yaish spiegava con una strana scelta di parole che negli ambienti politici ed economici della Germania Ovest “c’è unanimità sul fatto che questa volta una guerra del genere avrà un impatto di vasta portata su tutti i suoi affari interni ed esterni e che potrebbe provocare un olocausto sull’economia tedesca. Sulla base di questo atteggiamento, la Germania Ovest è interessata a compiere rapidi progressi verso un accordo [di pace]”.
In un telegramma inviato dall’inviato israeliano a Bonn, Ephraim Elon, al direttore del dipartimento europeo del Ministero degli Esteri israeliano il 21 marzo 1980, egli scrisse che nel suo incontro con il responsabile per il Medio Oriente del Ministero degli Esteri della Germania Ovest aveva “parlato, naturalmente, della questione degli insediamenti, che, come ci è stato detto, rende difficile per i nostri devoti amici proteggere le azioni e le politiche di Israele”. Il direttore del dipartimento europeo aggiunse a mano “non nuovo – il vecchio ritornello”. Già allora Israele considerava questo argomento come un cliché.
Si può ipotizzare che oggi, alla luce degli accordi di pace di Israele con l’Egitto e la Giordania, nonché degli accordi di Abramo firmati negli ultimi anni con altri paesi arabi, la Germania, che guida l’UE, abbia meno paura dello scoppio di una guerra regionale che porterebbe a un “Olocausto” per la sua economia, e quindi non abbia problemi ad accettare lo “status quo” del regime di apartheid di Israele e dei crimini di guerra nei territori palestinesi occupati.
Mancanza di sincerità
I documenti e i cablogrammi recentemente declassificati negli Archivi di Stato israeliani rivelano una storia simile per quanto riguarda le relazioni tra Israele e la Norvegia negli anni Ottanta. In apparenza, la Norvegia è uno dei più feroci critici europei delle politiche di Israele nei confronti dei palestinesi. Ma come la Germania Ovest, i governi norvegesi erano guidati principalmente da interessi economici e di altro tipo piuttosto che da un impegno per i diritti umani.
Una revisione delle relazioni tra i due Paesi, preparata presso la sede del Ministero degli Esteri a Gerusalemme nel febbraio 1984, nota che le critiche della Norvegia all’invasione del Libano da parte di Israele nel 1982 e al suo ruolo nel massacro di Sabra e Shatila “sono andate ben oltre le critiche degli altri Paesi nordici e della maggior parte dei Paesi europei, sia a livello mediatico che politico”. Ciononostante, l’anno successivo, alti funzionari norvegesi visitarono Israele e fecero un importante passo avanti nelle relazioni tra i due stati, accettando per la prima volta di acquistare partite di armi da Israele e di vendergli petrolio.
Il divario tra le dure condanne del governo norvegese nei confronti della politica di Israele in Libano e la realtà di condurre “affari come al solito” non valeva solo nei confronti di Israele; infatti, la Norvegia si comportò in modo simile nei confronti del regime di apartheid in Sudafrica. In un telegramma del 4 novembre 1986, inviato dall’ambasciatrice israeliana a Oslo, Judith Hibner, al direttore del dipartimento europeo del Ministero degli Esteri israeliano, scriveva: “La Norvegia cercherà di essere il leader tra i Paesi nordici in una tendenza anti-sudafricana, per dimostrare di essere il portabandiera in questioni come queste. Ma poiché alcune parti della Norvegia fanno ampio affidamento sul commercio con il Sudafrica, non imporrà alcun costo materiale al regime sudafricano a causa di questi “vitali interessi economici “.
A distanza di circa quarant’anni, il quadro rimane sostanzialmente lo stesso. La mancanza di sincerità nelle condanne dell’UE e dei governi europei nei confronti di Israele e la mancanza di trasparenza riguardo ai loro veri interessi militari, economici e politici nel mantenere lo status quo, danno semplicemente il via libera ai governi israeliani di ignorare le loro dichiarazioni e sentirsi liberi di continuare a violare il diritto internazionale senza conseguenze.
https://www.972mag.com/european-union-ben-gvir-human-rights/
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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