Una società giusta e democratica che vada a beneficio di tutti: ecco per cosa lottano i palestinesi

di Mustafa Barghouti,

The Guardian, 15 maggio 2023.   

Non possiamo cambiare il passato. Nel 75° anniversario della Nakba, lottiamo per uno stato unico in cui tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti.

Rifugiati palestinesi fuggono attraverso il fiume Giordano durante la guerra arabo-israeliana del 1967. UNRWA/AP

Per noi palestinesi, il 15 maggio ricorre il 75° anniversario della Nakba (la “catastrofe” del 1948), durante la quale circa il 70% della popolazione palestinese fu sfollata con la forza e più di 500 comunità furono completamente spazzate via, oltre ai massacri commessi dalle milizie sioniste.

La Nakba del 1948 ha segnato la distruzione dello stile di vita della popolazione palestinese autoctona e la creazione dello Stato di Israele. Nella guerra del 1967, un altro importante punto di svolta, Israele ha occupato il restante 22% della Palestina storica.

Tuttavia, riuscendo a ottenere il controllo della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, Israele ha inavvertitamente unificato i palestinesi che si sono ritrovati in una lotta comune per la libertà, l’autodeterminazione e il diritto al ritorno nelle terre da cui tanti di loro sono stati costretti a fuggire con la violenza. Alcuni leader israeliani hanno persino messo in guardia sulle conseguenze del mantenimento dell’occupazione militare della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

L’occupazione illegale israeliana si è gradualmente trasformata in un sistema di apartheid. Secondo Ronnie Kasrils, uno dei leader ebrei della lotta anti-apartheid e membro del governo di Nelson Mandela, l’apartheid israeliano in Palestina è persino peggiore di quello che esisteva in Sudafrica.

Questo consiste, tra l’altro, in insediamenti coloniali illegali sostenuti da fanatici religiosi-nazionalisti come il ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir, e il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich; quest’ultimo si è apertamente definito un “omofobo fascista“. L’occupazione ha portato all’apartheid e l’apartheid ha prodotto fascisti.

Nel 1993, la leadership dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ha accettato la creazione di uno Stato solo sul 22% della Palestina storica. Ma, come abbiamo imparato amaramente con l’esperienza degli accordi di Oslo, il compromesso accettato dai palestinesi non ha migliorato la situazione del nostro popolo.

Trent’anni dopo la firma dell’accordo di Oslo tra l’OLP e Israele, la “soluzione dei due stati” è morta a causa della continua colonizzazione e annessione de facto della terra palestinese da parte di Israele.

Questo include decine di insediamenti illegali, la costruzione di un muro di segregazione (la maggior parte del quale è stato costruito su terra palestinese) e un discorso politico israeliano che sottolinea che ci sarà solo uno Stato – uno “Stato ebraico” – tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.

È chiaro che gli accordi di Oslo non sono più validi e che l’Autorità Palestinese (AP), indebolita e delegittimata da Israele, è isolata e fortemente impopolare tra la popolazione palestinese.

Nonostante tutte queste difficoltà, le giovani generazioni palestinesi sono determinate a continuare la lotta per la libertà. Un numero crescente di palestinesi ritiene che l’unica soluzione rimasta sia un unico stato democratico su tutta la Palestina storica, senza occupazione, apartheid o discriminazione.

Per decenni, alcuni leader e attivisti palestinesi hanno chiesto la creazione di un unico stato democratico in Palestina, dove ebrei e palestinesi possano vivere insieme con pari diritti.

Negli ultimi anni, anche se il consolidamento dell’apartheid da parte di Israele è diventato sempre più evidente, l’Europa e gli Stati Uniti hanno continuato a fare pressione sui palestinesi affinché accettassero una soluzione a due stati che perpetua la disuguaglianza e la sofferenza, senza alcun riguardo per il nostro diritto all’autodeterminazione e senza alcuno sforzo serio per fermare la costruzione di insediamenti.

Nulla può giustificare il colonialismo d’insediamento, dannoso sia per il popolo palestinese che per quello ebraico. Di fronte a un progetto che mira all’eliminazione dei palestinesi come nazione, noi siamo rimasti resistenti, determinati a non rinunciare alla nostra patria.

Rimaniamo impegnati nella lotta per la libertà e nella lotta per la creazione di una società giusta e democratica a beneficio di tutte le persone, senza discriminazioni.

Oggi, 75 anni dopo la Nakba, più di 6 milioni di rifugiati palestinesi non possono tornare nella loro patria. Nel frattempo, il numero di palestinesi nella terra della Palestina storica è almeno pari al numero di ebrei israeliani.

Questo doloroso anniversario e l’orrenda realtà attuale devono costringere i politici occidentali e i leader della società civile a pensare senza paradigmi obsoleti. Non possiamo cambiare il passato, ma l’unica soluzione per un futuro post-apartheid è un unico stato democratico in cui tutti i cittadini abbiano uguali diritti e uguali doveri.

Mustafa Barghouti è leader dell’Iniziativa Nazionale Palestinese

https://www.theguardian.com/commentisfree/2023/may/15/nakba-democratic-society-palestinians-mustafa-barghouti

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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