Un anno dopo l’assassinio di Shireen Abu Akleh

di Shatha Hanaysha,  

Mondoweiss, 11 maggio 2023. 

Se mi chiedeste come mi sento un anno dopo l’assassinio di Shireen Abu Akleh, vi direi che mi sento arrabbiata perché quel giorno sia io che Shireen siamo morte sotto quell’albero. Shireen attende giustizia dal cielo, mentre io la attendo qui sulla terra.

Shireen Abu Akleh (a sin.) E Shatha Hanaysha (a des.) (Shatha Hanaysha/Social Media)

Questo è un post scritto dalla giornalista palestinese Shatha Hanaysha, che si trovava accanto alla giornalista palestinese martire Shireen Abu Akleh mentre entrambe raccontavano l’invasione israeliana del campo profughi di Jenin l’11 maggio 2022. Entrambe indossavano chiaramente il giubbotto con la scritta STAMPA e l’equipaggiamento protettivo, quando Abu Akleh è stata uccisa dalle forze israeliane, che hanno continuato ad aprire il fuoco contro Hanaysha. Mondoweiss ha tradotto e ripubblicato le parole di Hanaysha con il permesso dell’autrice.

Ho scritto questa dichiarazione per i media un anno dopo l’assassinio di Shireen Abu Akleh.

Se mi chiedeste come mi sento un anno dopo, vi direi che sono arrabbiata. Mi sento arrabbiata perché quel giorno sia io che Shireen siamo morte sotto quell’albero. Shireen aspetta giustizia dal cielo, mentre io l’aspetto qui sulla terra. Provo rabbia e tradimento, che crescono dopo ogni crimine commesso contro i palestinesi. Non ho nulla da aggiungere a ciò che ho detto un anno fa. Non è cambiato nulla. Da allora sono successe molte cose nel mio Paese, eppure nessun soldato è stato chiamato a rispondere dei suoi crimini contro il popolo palestinese, come il soldato che ha ucciso Shireen e ferito il mio collega, Ali Samoudi, e che ha continuato ad aprire il fuoco contro di me e Sharif al-Azb; (per quanto io possa ringraziare quest’ultimo, non sarò in grado di rendergli giustizia, e gli dovrò la vita finché avrò vita).

Dov’è ora quel soldato che ha sparato? È qui, a Jenin, a Nablus, a Tulkarem, a Gerico? Quante volte ha aperto il fuoco sui palestinesi? Quanti di noi ha ucciso? Si trova a un posto di blocco tra le città della Cisgiordania per ostacolare la circolazione delle persone?

Per quanto mi riguarda, a distanza di un anno posso dirvi che non ho più alcuna fiducia nella comunità internazionale nel definire “Israele” responsabile dei suoi crimini contro il popolo palestinese, contro ogni palestinese sulla faccia della terra. Nulla dissuaderà l’occupazione o la punirà, e non c’è nulla che possa porvi fine. Anzi, essa trova sempre nuovi modi creativi per uccidere i palestinesi.

Il crimine dell’omicidio di Shireen e i proiettili sparati contro di me – tutto questo è stato ripreso da un video, contenente tutte le prove necessarie per individuare il criminale. Ma tutto quello che è successo è stato un’udienza qui, una condanna là, e poi?

Il mio messaggio al mondo e alle istituzioni della comunità internazionale è questo: smettete di condannare e di esprimere “simpatia” nei nostri confronti. Non vogliamo la vostra compassione. Potete iniziare a chiedere conto ai criminali, oppure potete guardare in silenzio mentre ci uccidono, perché questa Occupazione non cesserà di uccidere per paura delle vostre condanne e delle vostre simpatie!

Gli attacchi e le violazioni contro i miei colleghi giornalisti continuano ancora oggi, insieme alle ripetute repressioni, ai pestaggi e alle espulsioni. Non è cambiato nulla. Andate da qualsiasi giornalista sul campo e chiedetegli: vi fa rabbia che non sia stata fatta giustizia per Shireen, nonostante tutte le prove contro l’assassino? Vi turba il pensiero che potreste essere uccisi sul lavoro e che nessuno consegnerà il vostro assassino alla giustizia?

Cara Shireen,

dopo un anno di tua assenza, sento di essermi avvicinata a te. Ho seguito tutto ciò che ti riguarda e ho imparato ad amare tutti coloro che ti vogliono bene e che amano parlare di te. Nella mia stanza, qui a Beirut, ho una foto di te che sorridi, così che ovunque mi trovi posso vederti mentre mi guardi con il tuo caldo sorriso, e ora ogni volta che penso a te, penso a te con quel sorriso. Quel giorno ci ha portati a stare sempre insieme, da soli. E da quel giorno sento la tua presenza intorno a me, sempre, in ogni momento.

Il mio unico rimpianto è che la vita non mi abbia dato l’opportunità di condividere con te la storia di una bambina di nome Shatha, che si ergeva orgogliosa e ripeteva le parole che tu hai così spesso firmate: “Shireen Abu Akleh, Aljazeera, Palestina”.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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