Sfidare la narrazione israeliana attraverso l’arte al Palestine Museum US

Mag 7, 2023 | Notizie

di Justine Mccabe,  

Mondoweiss, 6 maggio 2023.  

Il Palestine Museum US di Woodbridge, CT, sta sfidando la narrazione sionista-israeliana negli Stati Uniti e racconta la storia palestinese attraverso le arti.

I visitatori ammirano la mostra “Dalla Palestina con l’Arte” che si è tenuta dal 2 al 24 febbraio 2023 all’Accademia di Belle Arti di Roma, organizzata dal Palestine Museum USA. (twitter.com/palmuseumus)

Le narrazioni sono storie avvincenti, un mezzo con cui gli esseri umani formano se stessi e le loro società. Sono storie in cui crediamo, come quelle alla base della lotta tra Palestina e Israele.

Ora un’istituzione artistica di Woodbridge, Connecticut, il Palestine Museum US, sta sfidando la narrazione israeliana sionista sulla formazione dello Stato, raccontando una storia palestinese diametralmente diversa, attraverso le arti.

La narrazione israeliana prevalente recita così: la Palestina storica era una terra senza popolo per un popolo senza terra, promessa da Dio agli ebrei, che hanno l’esclusivo diritto di averla tutta.

Anche se i fatti storici sostengono la narrazione palestinese, opporsi alla narrazione israeliana è stato estremamente difficile, soprattutto negli Stati Uniti, il cui governo sostiene inequivocabilmente Israele.

Ma il vento sta cambiando. E il Palestine Museum US sta contribuendo a questo cambiamento. 

È stato fondato nel 2018 dall’uomo d’affari palestinese-americano Faisal Saleh, che ne è anche il direttore. Quando gli è stato chiesto perché ha fondato il museo e cosa spera di realizzare con esso, Saleh ha risposto: “Esisteva un grande vuoto per quanto riguarda la presenza artistica palestinese in Occidente in generale e negli Stati Uniti in particolare”. Continuando, ha detto: “Circa 70 musei negli Stati Uniti sostengono la narrativa israeliana, e non esiste un solo museo palestinese che presenti la prospettiva palestinese, non solo negli Stati Uniti, ma in tutte le Americhe e in gran parte dell’emisfero occidentale”. La visione di Saleh era quella di creare un museo per preservare la storia e la cultura palestinese e raccontare la storia palestinese a tutto il pubblico occidentale attraverso le arti.

Così, con 6.500 metri quadrati di spazio espositivo, è il più grande museo palestinese nelle Americhe.

Oltre alle collezioni permanenti specifiche, la storia palestinese viene raccontata attraverso mostre d’arte internazionali, film settimanali e altri programmi virtuali.

I visitatori della mostra From Palestine With Art all’Accademia di Belle Arti di Roma, esaminano il dipinto di tre metri di Nabil Anani, Utopia #7 (acrilico su tela 140 x 300 cm).

Biennale d’Arte di Venezia

Nel 2022, il Museo ha partecipato ad uno dei più grandi eventi del mondo dell’arte, la Biennale d’Arte 2022 di Venezia, che non aveva mai avuto un padiglione palestinese nei suoi 125 anni di storia (la Palestina non ha diritto ad avere un padiglione ufficiale – solo i Paesi riconosciuti dall’Italia possono avere un padiglione alla Biennale). La mostra Biennale Collateral Event del Museo è la cosa più vicina a un padiglione palestinese per mostrare la propria arte nazionale. “Dalla Palestina con l’Arte” ha presentato 19 artisti palestinesi e 30 opere d’arte, tra cui una mappa della Palestina del 1877 che ricopre il pavimento della galleria, opera del cartografo palestinese Salman Abu-Sitta, che ha spiegato:

“Il significato di questa mappa è che mostra la Palestina prima del sionismo. Non c’è un solo insediamento su di essa. . . . È la Palestina a cui appartengono i Palestinesi, dal fiume al mare. Questa è una dichiarazione molto forte che i Palestinesi non sono disposti a rinunciare alla loro terra”.

L’impatto della mostra è stato enorme. Le statistiche mostrano che più di 100.000 persone hanno visitato il “padiglione” della Palestina e hanno scritto sul libro dei visitatori più di 1.000 pagine di commenti e di auguri, in oltre 30 lingue, per una Palestina libera.

Dopo la fine dei sette mesi della Biennale d’Arte 2022, il Museo si è assicurato uno spazio espositivo di tre settimane presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, una delle istituzioni artistiche più prestigiose d’Italia. L’intera collezione d’arte esposta a Venezia è stata trasferita a Roma per una mostra curata dalla direttrice dell’Accademia Cecilia Casorati.

Il prossimo evento “Dalla Palestina: Il nostro passato, il nostro futuro”, una mostra artistico-architettonica ospitata dalla Biennale di Architettura di Venezia del Centro Culturale Europeo (Time Space Existence), si terrà dal 20 maggio al 26 novembre nella Galleria A dello storico Palazzo Mora di Venezia, in Italia. Questa mostra commemora il 75° anniversario della Nakba palestinese, quando oltre 400 villaggi e città furono spopolati e la maggior parte distrutti inizialmente dalle forze sioniste e successivamente dall’esercito israeliano.  Saleh ha detto:

“Utilizzando mappe, rendering architettonici, realtà virtuale, fotografie, tessuti e opere d’arte, questo progetto espone e denuncia informazioni sulle città e i villaggi palestinesi perduti e reimmagina un futuro in cui i discendenti della popolazione originaria ritornino in un’architettura ridisegnata e in comunità urbane pianificate, dando speranza a probabilità intrattabili e indefinite”.

Eventi e proiezioni

Il Palestine Museum US ospita anche eventi dal vivo, tra cui quelli che rispondono alle domande degli ebrei americani su Israele e sul suo trattamento dei palestinesi. Un esempio recente è stata la presentazione da parte del Museo dell’opera teatrale di Sandra Laub “Picking Up Stones: An American Jew’s Moral Dilemma“, un’opera interpretata interamente dalla sola Sandra Laub.

Il cinema è un altro modo in cui il Museo porta la storia palestinese ad un pubblico globale.

Ogni fine settimana dal marzo 2020, il Palestine Museum US ha proiettato lungometraggi e documentari che raccontano la storia palestinese, tra cui alcuni con filmati reali di città e paesi della Palestina prima della Nakba e altri che mostrano israeliani che hanno partecipato alla distruzione della Palestina.

Un lungometraggio come “3000 Nights” di Mai Masri ritrae un’insegnante palestinese incinta che partorisce e cresce un figlio in una prigione israeliana; e documentari sulla Nakba come “Il Villaggio e il Massacro di Deir Yassin” di Sahira Dirbas e il film d’animazione norvegese “The Tower” che descrive la storia di una ragazza che vive in un campo profughi libanese – tutti presentano diversi aspetti della sofferenza palestinese, storica e attuale.

Ci sono stati anche alcuni film israeliani che hanno contribuito a raccontare la storia palestinese.

Film come “The Law in These Parts” sugli architetti del sistema legale militare nei territori palestinesi occupati, e “Tantura” che racconta la storia dello spopolamento di un villaggio palestinese da parte dei soldati israeliani – compresi alcuni dei partecipanti – e, cosa importante, esamina la questione del perché ‘Nakba’ sia una parola tabù nella società israeliana. 

Blue Box” racconta come il bisnonno del regista, Yosef Weitz – capo del Fondo Nazionale Ebraico – acquistò centinaia di migliaia di acri di terra palestinese prima e dopo la creazione di Israele. Le famose “scatole blu” erano contenitori di raccolta fondi per gli ebrei della diaspora, per aiutare a “rimboschire” i villaggi palestinesi distrutti. Attingendo al diario di Weitz, il film conferma che già nel 1933, erano i Palestinesi a “trasformare le colline rocciose in vigneti” e a far fiorire il deserto, non gli immigrati ebrei come sostiene la narrativa sionista. 

La serie di film è stata mostrata al pubblico di oltre 40 Paesi (con ritrasmissioni per il pubblico nei diversi fusi orari australiani) tramite Zoom, seguita da vivaci discussioni con i registi dei film, esponendo così un vasto pubblico internazionale alla narrazione palestinese, spesso per la prima volta. Blue Box ha avuto 300 spettatori; Tantura ne ha avuti più di 500.

Faisal Saleh dice: “Alcuni dei nostri sostenitori ci hanno detto che dopo aver visto più di 150 film si sentono come se avessero ricevuto l’equivalente di una laurea in studi palestinesi.

“Il potere dell’arte non è quello di dire alle persone cosa fare, come ci ricorda l’artista Olafur Eliasson: “Impegnarsi con una buona opera d’arte può parlare ai sensi, al corpo e alla mente. Può far sentire il mondo.  E questo sentimento può stimolare il pensiero, l’impegno e persino l’azione”.

La maggior parte degli americani ha conosciuto fino ad ora solo il racconto sionista del conflitto palestinese-israeliano. Ora c’è il Palestine Museum US e invita le persone che amano la verità a sintonizzarsi.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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