Ghassan Kanafani: l’autore palestinese le cui parole non possono essere assassinate

di Hagai El-Ad,

Periferias, aprile 2023. 

La prima biografia in ebraico di Kanafani riecheggia la resistenza palestinese in un momento di crescente oppressione.

Recensione del recente libro di Danny Rubinstein: “Perché non avete battuto sulle pareti del serbatoio?” (Why didn’t you bang on the sides of the tank?), Yedioth Books – Libri in soffitta, 2022).

Questa l’introduzione dello stesso Rubinstein:

Sono passati più di 50 anni dall’assassinio dello scrittore palestinese Ghassan Kanafani a Beirut – un assassinio che è stato un anello nella catena di azioni condotte da Israele contro il movimento nazionale palestinese. Nei decenni successivi, Israele ha instaurato un regime di apartheid in tutto il territorio sotto il suo controllo, dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano. Si tratta di un regime che sancisce la supremazia di circa sette milioni di ebrei rispetto a circa lo stesso numero di palestinesi che vivono in Israele/Palestina.

I palestinesi che vivono in questo territorio sono frammentati in aree geografiche disgiunte, ognuna con il livello di oppressione ed espropriazione che Israele sceglie di impiegare. Circa due milioni di palestinesi vivono a Gaza sotto un blocco che dura da anni; quasi tre milioni vivono come sudditi in Cisgiordania o con lo status inferiore di “residenti permanenti” a Gerusalemme Est; e circa altri due milioni sono cittadini diseguali all’interno della Linea Verde.

Kanafani non è diventato per caso l’autore più amato e conosciuto dal pubblico palestinese. La storia della sua vita non è solo la storia di un dodicenne di San Giovanni d’Acri diventato rifugiato. È anche il simbolo di una lotta senza fine. Anche oggi, quando il nazionalismo arabo è in declino e i paesi arabi hanno quasi abbandonato la causa palestinese, Kanafani rimane fondamentale. La sua opera letteraria ricorda ai tanti suoi lettori ed entusiasti che devono continuare a resistere al dominio israeliano e che non devono arrendersi. La resistenza palestinese assume molte forme, alcune delle quali violente, ma l’immagine di Kanafani è sempre presente.

Dopo la Nakba, i palestinesi stavano per uscire dal palcoscenico della storia. Kanafani, che era della generazione della Nakba, è stato fondamentale per liberare il popolo palestinese dai lacci di questo destino. La sua vita, i suoi scritti, la sua eredità simboleggiano la lotta per la liberazione – la liberazione dal destino di trasferimento e di espropriazione, la liberazione dall’oppressione israeliana, la liberazione della coscienza e la liberazione politica nella battaglia per la libertà, il ritorno e la giustizia.

Israele destina i palestinesi a una vita di prigionia permanente, che sia la prigione dell’esilio o quella di vivere sotto un regime di apartheid. La visione di Kanafani sfida questa aspirazione israeliana. In ogni caso, qualunque cosa Israele possa fare, le parole di Kanafani non potranno mai essere imprigionate.

Justin McIntosh, CC BY 2.0

Il ritorno di Kanafani

Entrando in questi giorni in una libreria in Israele, troverete probabilmente un nuovo libro su uno dei più grandi scrittori che questa terra abbia conosciuto, un autore la cui scrittura continua a influenzare milioni di persone: Ghassan Kanafani. È il primo libro in ebraico su Kanafani, un palestinese che Israele considera ancora un terrorista. Nato a San Giovanni d’Acri nel 1936, Kanafani fu esiliato all’età di 12 anni durante la Nakba: “Quando, nel pomeriggio, arrivammo a Sidone diventammo rifugiati”, ha scritto nell’autobiografia La terra degli aranci tristi (The Land of Sad Oranges, trad. Nejmeh Khalil-Habib).

Kanafani fu assassinato a Beirut 50 anni fa insieme alla nipote diciassettenne Lamees. Aveva 36 anni e non era mai tornato alla sua casa. Eppure i suoi scritti, così come il suo ritratto sulla copertina di questo coinvolgente libro, restano struggenti. La lettura di Kanafani offre una chiave per cominciare a raccogliere i fili che la maggior parte degli ebrei preferisce lasciare sciolti: “Tu, io e tutti i ragazzi della nostra età non capivamo cosa stesse succedendo. Ma quella notte cominciammo a raccogliere i fili della storia” (Il paese degli aranci tristi).

Nel libro, il giornalista israeliano Danny Rubinstein presenta ai lettori ebrei un’idea davvero sovversiva nell’attuale clima politico israeliano: la resistenza palestinese all’impresa sionista non è “innatamente antisemita”, ma è piuttosto radicata in motivazioni politiche e fattuali molto reali. L’idea che la storia degli ultimi 100 anni – e in particolare quella del progetto politico ebraico in Palestina – possa essere oggettivamente collegata alla resistenza palestinese a quel progetto può sembrare banale. Eppure Israele è talmente immerso nella sua propaganda, nel suo moralismo e nella sua auto-vittimizzazione che continua a rigurgitare la menzogna che tutto questo non è altro che una forma palestinese di antisemitismo, che rifiuta completamente l’ebraismo e agisce contro gli ebrei “solo perché sono ebrei”. E fa questo al fine di minare la resistenza che i palestinesi oppongono a uno specifico progetto politico di (molti) ebrei: il sionismo.

I padri fondatori del sionismo non si preoccuparono di questo tipo di sciocchezze propagandistiche: erano molto più dignitosi nel comprendere la resistenza palestinese. In Il muro di ferro (1923), Jabotinsky scrisse: “… guarda se c’è un solo caso di colonizzazione portata avanti con il consenso della popolazione nativa. Non c’è nessun precedente del genere”. Poiché la popolazione nativa non può dare il proprio consenso, è probabile che “interferisca con la forza” contro la realizzazione del sionismo, nonostante la natura “morale e giusta” del movimento. “Giustizia deve essere fatta”, scriveva Jabotinsky, “indipendentemente dal fatto che Joseph o Simon o Ivan o Achmet siano d’accordo o meno”.

Ben-Gurion era d’accordo, certamente su questo punto: “Noi vogliamo la stessa cosa che vogliono loro: entrambi vogliamo la Terra d’Israele. Questa è una contraddizione fondamentale. Non c’è mai stato nella storia, né credo ci sarà mai nella storia, il caso di un popolo che rinuncia volontariamente alla propria terra – che pensa sia la sua terra – per far entrare un’altra nazione” (1936).

“Da lontano abbiamo sentito il rumore degli spari”, scrive Kanafani. Quegli spari risuonano ancora 74 anni dopo, e continueranno a riecheggiare. Rubinstein riporta il lettore agli eventi della Nakba del 1948, il cui esito ha plasmato l’identità, la scrittura, la vita e la morte di Kanafani. Leggiamo con lui di ciò che abbiamo fatto ai palestinesi a Lydda, e della deportazione di decine di migliaia di persone – e sentiamo direttamente gli israeliani e i palestinesi che erano lì.

Ecco un israeliano che descrive ciò che accadde il 12 luglio 1948: “La popolazione di Lod (Lydda) non se ne andò volontariamente. Non c’era modo di evitare l’uso della forza e sparare dei colpi di avvertimento per far marciare i residenti per i 15-20 chilometri fino al punto in cui incontrarono le forze della Legione (araba)”. Ecco un palestinese: “Era mezzogiorno, un caldo terribile. Non c’era acqua. Vecchi e bambini cadevano ai margini della strada. Molti morirono disidratati… I giorni dell’orrore a Lydda mi sono rimasti dentro per tutta la vita… Trentamila persone che marciavano, piangevano… urlavano di paura… donne con neonati e bambini al seguito”.

L’israeliano citato era il comandante della Brigata Harel dell’epoca, Yitzhak Rabin – l’uomo che dava gli ordini. Il palestinese era lo studente di medicina George Habash, che in seguito fondò il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) e la cui vita si intrecciò con quella di Kanafani fino alla fine: Kanafani fondò il settimanale dell’organizzazione, Al-Hadaf, nel 1969 e lo diresse fino alla sua morte, avvenuta quasi tre anni dopo.

Rubinstein sottolinea che la maggior parte degli israeliani riconosce il nome di Kanafani in un contesto politico, principalmente come il più importante portavoce del PFLP. Tuttavia, i palestinesi ricordano Kanafani soprattutto per la sua letteratura. La sua scrittura ha certamente attinto alla politica e ha plasmato le opinioni di molti palestinesi.

Rubinstein offre una storiografia di Kanafani che ripercorre la sua vita di rifugiato a Damasco, di insegnante in Kuwait, di giornalista a Beirut e soprattutto di autore, intrecciando nel suo racconto gli scritti di Kanafani stesso. Particolare attenzione è dedicata a due opere di Kanafani: Ritorno a Haifa e Uomini al sole. La famosa citazione da quest’ultima, “Perché non avete battuto sulle parteti del serbatoio?”, è il titolo del libro di Rubinstein. In questo ritratto intimo ogni capitolo della vita di Kanafani, e ogni capitolo del libro di Rubinstein, “riflettono tutti gli alberi di arancio che aveva lasciato agli ebrei” (La terra degli aranci tristi).

Passando continuamente dalla letteratura alla realtà, dalle ombre agli specchi, gli echi rimbalzano l’uno sull’altro, da una pagina all’altra. Rubinstein ricorda che la prima volta che un agente di Fatah fu ucciso fu il 1° gennaio 1965, mentre si infiltrava in Israele dalla Giordania per sabotare la National Carrier, la principale conduttura idrica del Paese. Ahmed Musa riuscì ad entrare in Israele, ma mentre tentava il secondo passaggio – per rientrare in Giordania – fu colpito a morte dalle guardie giordane. Kanafani aveva pubblicato Uomini al sole due anni prima, nel 1963. I protagonisti Abu Kais, Assad e Marwan sopravvivono al primo attraversamento del confine, ma trovano una morte orribile nel secondo.

Il libro è anche pieno di corpi in frantumi. Uno è un personaggio kanafaniano di un’antologia del 1960, un certo Abu ‘Othman, che vuole essere sepolto nella sua nativa Ramla e sceglie quindi di rimanere sotto il dominio israeliano. Tuttavia, dopo che i soldati israeliani uccidono sua moglie e sua figlia davanti ai suoi occhi, si fa esplodere nella sede del comando. Così, Abu ‘Othman è rimasto nella sua patria, ma il suo sogno si è infranto. Oppure prendiamo il corpo molto reale di Maher Habeyshi di Nablus, smembrato mentre si faceva esplodere su un autobus nel quartiere di Halisa ad Haifa nel 2001 – vicino a dove vivevano i protagonisti di Ritorno a Haifa. E naturalmente c’è l’onnipresente corpo in frantumi dello stesso Kanafani, ucciso nel luglio 1972 a Beirut. I giornali dell’epoca riportano che al funerale – tenutosi nell’esilio da cui non tornò mai – parteciparono trentamila persone.

Hagai El-Ad, Direttore esecutivo di B’Tselem. @HagaiElAd

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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