La nuova generazione di gruppi armati palestinesi: una tigre di carta?

Apr 20, 2023 | Notizie, Riflessioni

di International Crisis Group,

17 aprile 2023. 

I giovani palestinesi hanno formato nuovi gruppi armati in tutta la Cisgiordania. Piccoli, disuniti e dispersi, non hanno un programma politico chiaro. Ma sia Israele che l’Autorità Palestinese hanno i loro motivi per esagerare la minaccia che rappresentano per lo status quo.

Negli ultimi due anni, una nuova generazione di gruppi armati è sorta tra i palestinesi della Cisgiordania, attirandosi l’ostilità sia di Israele che dell’Autorità Palestinese (AP), oltre che l’attenzione di più lontani osservatori. Il fatto che questi gruppi stiano emergendo è degno di nota, ma non è senza precedenti. In passato, tali gruppi erano affiliati alle principali fazioni politiche, di solito uno degli elementi costitutivi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina o del movimento islamista Hamas. Ricerche condotte a Nablus a marzo mostrano che i nuovi gruppi, questa volta, sembrano non essere allineati e agiscono in modo indipendente. Sono motivati da una nascente ma profonda frustrazione nei confronti dello status quo: dall’inefficacia della leadership palestinese di fronte alla brutalità della sempre più pesante occupazione israeliana e da un’economia in crisi.

Questi gruppi, che sono apparsi per la prima volta a Jenin, nel nord della Cisgiordania, e che da allora si sono replicati in tutto il territorio, hanno spesso combattuto l’esercito israeliano che faceva incursioni nelle loro zone. I militanti hanno anche compiuto sporadici attacchi contro soldati e coloni israeliani. In risposta, Israele ha preso di mira i vari gruppi, uccidendo alcuni dei loro membri e arrestandone altri. Da parte sua, anche l’Autorità Palestinese, l’istituzione creata con gli accordi di Oslo del 1993 per governare i Territori Palestinesi Occupati, ha lavorato per indebolire i gruppi, ricorrendo principalmente ad azioni segrete. I funzionari dell’Autorità Palestinese e di Israele hanno etichettato i gruppi rispettivamente come “banditi” e “terroristi”, riflettendo le diverse motivazioni che li spingono a considerarli una minaccia.

Deviare l’attenzione dalla crisi della governance

Non è un caso che i primi gruppi di questo tipo siano sorti nel maggio 2021, dopo che l’Autorità Palestinese aveva annullato le elezioni legislative e presidenziali annunciate per quell’anno e nel mezzo di un’esplosione di violenza nei Territori Palestinesi Occupati e in Israele. Poiché le elezioni erano (e rimangono) molto attese, annullarle è stato profondamente impopolare. Molti palestinesi sono stati ulteriormente irritati dall’inazione dell’Autorità Palestinese durante lo spargimento di sangue di quella primavera, culminato in una guerra di undici giorni a Gaza tra Israele e Hamas. Prima di allora, ma ancora di più da allora in poi, l’AP ha vissuto una grave crisi di legittimità a causa di tre fattori principali: i suoi modi corrotti e autoritari; la percezione che agisca come un subappaltatore dell’occupazione israeliana e i tagli agli aiuti provenienti in particolare dai suoi due principali donatori, Arabia Saudita e Stati Uniti, tagli che hanno ridotto la sua capacità di fornire servizi di base. Questi fattori combinati hanno anche paralizzato gli sforzi dell’Autorità Palestinese di reclutare, addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza e di cooptare l’opposizione, elementi chiave della sua strategia per rimanere al potere.

Questa crisi potrebbe presto precipitare in una svolta. Non si sa cosa succederà quando il presidente Mahmoud Abbas, che ha 88 anni, uscirà di scena. Abbas ha minato tutte le vie costituzionali per la successione, anche con l’annullamento delle elezioni previste per il 2021. Mentre una serie di funzionari e politici di alto livello dell’Autorità Palestinese manovra per conquistare una posizione nell’era post-Abbas, che prima o poi arriverà, il malcontento popolare sta crescendo. Un mancato rinnovamento potrebbe scatenare violenze o addirittura il collasso dell’AP di fronte ai disordini popolari o alle lotte tra le varie élite.

In questo contesto, l’Autorità Palestinese ha fatto leva sulla percezione locale e internazionale che la Cisgiordania possa precipitare nel caos (ciò che la popolazione locale chiama falatan amni), descrivendo i nuovi gruppi armati come “banditi” che potrebbero cercare di esercitare funzioni simili a quelle di uno stato in Cisgiordania. In questo modo, l’AP cerca di sollecitare il sostegno di Israele e degli attori internazionali, oltre che degli stessi palestinesi, per contrastare i nuovi gruppi. I suoi avvertimenti trovano una eco in molti residenti della Cisgiordania, che ricordano fin troppo bene il caos durante la seconda Intifada nei primi anni 2000, quando uomini armati si dedicavano alla rapina in diverse città. Queste bande improvvisate sfruttavano l’estrema debolezza dell’Autorità Palestinese dopo che Israele, nel tentativo di sedare l’Intifada, aveva demolito quasi tutte le strutture delle forze di sicurezza palestinesi, compresi i centri amministrativi, di addestramento e di detenzione, e aveva arrestato la maggior parte degli ufficiali.

I funzionari dell’AP stanno ora usando diverse tattiche per indebolire i gruppi. In primo luogo, l’Autorità Palestinese sta cercando di evocare i brutti ricordi della seconda Intifada, accusando i membri dei nuovi gruppi di avere precedenti criminali. (Alcuni residenti della Cisgiordania e funzionari dell’Autorità Palestinese affermano anche che le figure di spicco dei gruppi sono note per essere trafficanti d’armi illegali, ma è difficile dimostrare tali accuse). Nella città vecchia di Nablus, dove è attivo un gruppo armato chiamato Tana dei Leoni, l’Autorità Palestinese ha persino inviato suoi sostenitori, spacciatisi per membri della Tana dei Leoni, a rapinare i commercianti, nel tentativo di infangare la reputazione del gruppo. Le forze di sicurezza dell’AP hanno anche violentemente interrotto i funerali di membri uccisi di questi gruppi, e funzionari locali dell’AP hanno parlato in modo sprezzante delle vittime e dei loro parenti. Inoltre, l’Autorità Palestinese ha usato la sua ben nota tattica di cooptare coloro che accettano di deporre le armi, offrendo loro posti di lavoro nelle forze di sicurezza, auto e soldi per pagare l’affitto.

Infine, ma non meno importante, l’Autorità Palestinese ha usato l’esistenza di questi gruppi per fare pressione su Israele –senza successo– affinché smetta di minare ciò che resta della sua credibilità, quando organizza incursioni militari nell’Area A della Cisgiordania, dove si suppone che l’AP abbia il controllo esclusivo. Ha minacciato ripetutamente di sospendere o limitare la cooperazione per la sicurezza con Israele, anche se non ha poi dato seguito a questa minaccia ed è improbabile che lo faccia veramente, dal momento che fa affidamento su questa relazione per la sua stessa esistenza. La fine delle incursioni israeliane, insieme al congelamento dell’espansione degli insediamenti, è stata la principale richiesta dell’AP ai vertici sponsorizzati dagli Stati Uniti ad Aqaba, Giordania, e a Sharm el-Sheikh, Egitto rispettivamente il 26 febbraio e il 19 marzo. Israele ha ignorato le richieste dell’AP. Invece, ha promesso di restituire una somma stimata in 78 milioni di dollari di entrate fiscali che ha trattenuto all’Autorità Palestinese dal gennaio 2023 come ritorsione per la petizione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sostenuta dall’AP, che chiedeva alla Corte Internazionale di Giustizia di emettere un parere consultivo che definisse illegale l’occupazione israeliana. Ha inoltre promesso di ridurre le tasse sulle importazioni di carburante e altri beni destinati alla Cisgiordania per alleggerire la pressione fiscale sull’AP, anche se non ha ancora messo in atto queste misure.

Israele ha le sue ragioni per perseguire i nuovi gruppi armati, che classifica come “terroristici”. I gruppi hanno fornito all’esercito israeliano, ora sotto un governo di estrema destra con obiettivi annessionistici, un altro pretesto per entrare nei centri abitati palestinesi dell’Area A, sostenendo di essere alla ricerca di militanti implicati in attacchi contro Israele o che li starebbero pianificando. Israele incolpa l’Autorità Palestinese di aver fatto poco per reprimere i gruppi armati, tralasciando il fatto che, in base agli accordi di Oslo, le forze di sicurezza palestinesi hanno nominalmente il controllo esclusivo solo dell’Area A, mentre i gruppi possono muoversi in tutta la Cisgiordania, come ovviamente fa l’esercito israeliano.

Un parafulmine per la frustrazione

Allo stato attuale, questa nuova generazione di gruppi armati non sembra ancora rappresentare una minaccia importante per la sicurezza. Interviste con i residenti, i membri di Fatah e i funzionari dell’AP a Nablus suggeriscono che i gruppi sono piccoli, disuniti e sparsi, senza una chiara leadership. Sono apparsi per la prima volta nel campo profughi di Jenin. In seguito, gruppi simili sono emersi nella città vecchia di Nablus e nel vicino campo profughi di Balata, e poi anche nei campi di Tulkarem, Tubas, Gerico e Hebron. I due gruppi più grandi sono le Brigate Jenin –200 militanti al massimo, secondo le stime dei funzionari della sicurezza palestinese, provenienti soprattutto da membri scontenti di Fatah (il partito al potere di Abbas) e della Jihad Islamica palestinese, con cui hanno ancora un forte legame– e la Tana dei Leoni a Nablus, che comprende al massimo 100 membri, principalmente dissidenti di Fatah ma anche alcuni elementi di Hamas (che non sembrano portare con sé l’agenda di quel movimento nel gruppo). La composizione dei gruppi riflette la composizione socio-politica delle generazioni più giovani di ogni località, con la maggior parte dei membri tra i 18 e i 30 anni. Per la maggior parte, non sono apertamente islamisti e la religione non influisce sul carattere dei gruppi in termini di strategia o di agenda, due cose che in ogni caso sono ancora sostanzialmente assenti.

La loro posizione è in gran parte difensiva, poiché i militanti ingaggiano scontri a fuoco quasi quotidiani con i soldati israeliani che si spostano nell’Area A, una vecchia pratica dell’esercito che fa infuriare la popolazione. Le loro operazioni offensive si sono limitate ad attacchi occasionali e su piccola scala contro avamposti militari israeliani, checkpoint e coloni. I gruppi non sembrano compiere attacchi in Israele, oltre la Linea Verde, forse per limiti di capacità e anche per paura di provocare rappresaglie israeliane ancora più forti. Le loro azioni appaiono altamente spettacolari, un tipo di esibizione che enfatizza le vittorie morali piuttosto che quelle militari, abbellite da dichiarazioni eccitate sulla piattaforma di social media Telegram. Molti membri hanno condiviso liberamente i loro nomi online, insieme ai dettagli della loro vita, e le figure più importanti sono ben note nei luoghi in cui vivono.

Questa forma di resistenza è il prodotto delle circostanze singolari in cui è sorta. Stretti tra una leadership palestinese compromessa e inetta e un’occupazione militare violenta e irremovibile, questi nuovi gruppi armati sono diventati veicoli e parafulmini della rabbia pervasiva dei giovani palestinesi nei confronti dello status quo. Non hanno un’apparente agenda politica, né un’organizzazione o una strategia: ad esempio, non hanno indicato di voler rovesciare l’Autorità Palestinese o lanciare una seria sfida all’occupazione.

Finora, separati geograficamente, i gruppi hanno consapevolmente cercato di evitare faziosità e competizioni per distinguersi dalla frammentazione delle élite al potere e dal loro approccio inconcludente alla politica. Professano invece di emulare gli eroi del passato del movimento nazionale palestinese. I residenti della Cisgiordania fanno paragoni, ad esempio, tra la Tana dei Leoni e la Guardia Notturna, un gruppo emerso durante la seconda Intifada, con una struttura altrettanto decentrata e nessun programma al di là della resistenza armata all’occupazione. Ma sembra che non tutti si uniscano ai nuovi gruppi per motivi veramente nazionalistici: ci sono anche quelli che vogliono usare la loro partecipazione solo per ottenere poi favori personali dall’Autorità Palestinese.

Questi gruppi sono anche una risposta al vuoto di leadership a livello nazionale. Molti palestinesi li considerano un’alternativa locale e autentica alla lontana AP, un esempio di resistenza all’occupazione in netto contrasto con quello che loro e molti altri vedono come un governo cinico e pieno di interessi. Per questo stesso motivo, alcuni funzionari di sicurezza dell’Autorità Palestinese hanno stretto legami con gruppi come le Brigate Jenin, fornendo loro persino supporto logistico (sebbene le relazioni siano spesso basate anche su altri fattori, dalla condivisione di legami sociali all’opportunità politica).

L’apparente popolarità dei gruppi contrasta con la rabbia che molti palestinesi provano nei confronti dell’AP stessa. Quando, il 19 settembre 2022, l’AP ha arrestato Musab Shattayeh, leader della Tana dei Leoni e membro di Hamas, sono scoppiate proteste a Nablus, Jenin e in diversi campi profughi, che hanno portato a violenti scontri con le forze di sicurezza dell’AP. Gli ultimi sondaggi mostrano che l’opinione pubblica sostiene questi gruppi. Questi sondaggi indicano anche che alla maggior parte dei palestinesi non importerebbe se l’Autorità Palestinese dovesse crollare.

Qui sta il vero pericolo che questi gruppi rappresentano sia per l’Autorità Palestinese che per Israele: sono la punta di un iceberg, avendo attinto alla profonda disaffezione della società palestinese. Ciò che gli sforzi di controinsurrezione dell’Autorità Palestinese e di Israele hanno inavvertitamente fatto è stato creare un continuo ricambio nella loro leadership e nei loro ranghi. Sebbene, per ora, i gruppi non sembrino rappresentare una grande minaccia, le cose potrebbero cambiare, soprattutto se le politiche attuali dovessero continuare. Secondo le autorità locali e i funzionari della sicurezza dell’Autorità Palestinese, essendo in costante mutamento, i gruppi potrebbero diventare qualcosa di molto diverso: da bande criminali che predano i loro vicini, come nei primi anni 2000, a insorti che lanciano una seria sfida all’Autorità Palestinese e a Israele nei Territori.

L’AP tra l’incudine e il martello

L’Autorità Palestinese sta cercando di sfruttare la sua debolezza a proprio vantaggio, ingigantendo la presunta minaccia rappresentata da questi nuovi gruppi armati, per riaffermare così la propria importanza di fronte ai suoi sostenitori: Israele e le potenze esterne. Vuole ottenere concessioni dai primi e finanziamenti dai secondi. È però accusata di indulgenza nei confronti dei gruppi, il che significa che deve bilanciare la sua limitata capacità di usare la coercizione e la cooptazione con il bisogno pressante di un maggiore sostegno politico e finanziario.

Tuttavia, i sostenitori dell’AP vedono il suo problema in termini tecnocratici, come una mancanza di capacità operativa, piuttosto che un enigma politico dovuto alla posizione dell’AP che le lega le mani. L’Autorità Palestinese è da tempo spogliata delle sue credenziali nazionaliste. Una leadership palestinese che non riesce né a fare progressi verso la fine dell’occupazione militare israeliana né a fornire servizi di base che renderebbero la vita della gente un po’ più sopportabile non può governare in modo efficace. I palestinesi vogliono disperatamente un governo più competente e meno corrotto. Tuttavia, il più grande vantaggio dell’Autorità Palestinese è che nessuno – né l’opposizione palestinese, né le organizzazioni della società civile, né la nuova generazione di gruppi armati – può offrire un’alternativa forte e praticabile allo status quo. Nonostante la furia dei palestinesi nei confronti dell’AP, il vero potere dell’AP potrebbe risiedere nell’incapacità dei palestinesi stessi di immaginare un futuro al di fuori di essa.

https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/east-mediterranean-mena/israelpalestine/new-generation-palestinian-armed

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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