Perché gli sforzi israeliani per scrivere una costituzione falliscono sempre

Apr 10, 2023 | Notizie, Riflessioni

di Dahlia Scheindlin,

+972 Magazine, 4 aprile 2023. 

Resuscitata dal movimento di protesta, l’idea di una costituzione è stata perseguita nel corso della storia di Israele. Ma l’opposizione all’uguaglianza ne impedisce la realizzazione.

Il primo ministro israeliano David Ben-Gurion legge la Dichiarazione di Indipendenza di Israele a Tel Aviv, il 14 maggio 1948. (Zoltan Kluger/GPO)

“Non ci fermeremo finché non ci sarà una Costituzione!”. Questo slogan, cantato a gran voce nelle ultime settimane durante le proteste israeliane contro il colpo di stato giudiziario del governo, non si sentiva all’inizio, quando le manifestazioni sono cominciate tre mesi fa. In effetti, il discorso sulla costituzione è stato quasi del tutto assente dal discorso pubblico israeliano per anni. Improvvisamente, però, l’idea è risorta.

Poco dopo che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu aveva annunciato una “pausa” nella realizzazione delle riforme giudiziarie, Yair Lapid, leader dell’opposizione alla Knesset, ha affermato che qualsiasi negoziato con la coalizione di governo per trovare un compromesso dovrà includere una discussione sulla stesura di una costituzione; allo stesso tempo ha ribadito il suo appello per una protesta fuori dalla Knesset il giorno stesso.

Tre settimane fa, Shikma Bressler, una dei leader del movimento di protesta, ha chiesto in modo analogo una costituzione dal palco di Kaplan Street – sede delle proteste settimanali a Tel Aviv contro la riforma – e più di 100.000 persone hanno fatto eco al suo appello “Costituzione! Costituzione!”. Numerose personalità di spicco, tra cui l’ex procuratore generale Michael Ben Yair, hanno pubblicato documenti politici e articoli che promuovono la richiesta di una costituzione. Una delle clausole del compromesso proposto dal presidente Isaac Herzog, ma che il governo ha respinto, è quella di includere una “Legge Fondamentale sull’Uguaglianza”.

Gli israeliani hanno iniziato a usare l’hashtag “#Costituzione_Ora” sui social media; un cittadino preoccupato ha riassunto il sentimento popolare scrivendo: “Senza una Costituzione, Israele sarà cancellato”. Il Prof. Yaniv Roznai, uno dei leader di un forum di studiosi di diritto che si oppongono all’assalto giudiziario in atto, ha scritto che l’attuale crisi è “un’occasione per una riflessione costituzionale”. Il Movimento per un Governo di Qualità in Israele, uno dei maggiori gruppi di interesse pubblico del paese, ha lanciato un nuovo progetto dal nome “Una Costituzione per la Patria”.

Anche il Kohelet Policy Forum – un centro studi di destra che è stato considerato una delle forze trainanti dei piani giudiziari del governo – ha inserito la propria proposta di compromesso per risolvere la crisi (che è in parte una sua creazione), affermando: “La nostra speranza è che la riforma consenta l’adozione di una costituzione concordata per lo Stato di Israele, che includa anche una carta dei diritti”.

Nel loro insieme, questi sviluppi segnano un cambiamento importante per il movimento di protesta. La crisi giudiziaria ha portato centinaia di migliaia di persone nelle strade e le ha costrette a scrutare l’abisso; ora, forse, stanno iniziando a capire che solo una Costituzione può impedire loro di cadere dentro l’abisso. Gli israeliani stanno finalmente vedendo che una costituzione è fondamentale per la democrazia e che uno Stato senza di essa sarà perennemente sull’orlo del baratro.

Israeliani che protestano contro la revisione giudiziaria prevista dal governo. Haifa, 27 marzo 2023. (Shir Torem/Flash90)

Anch’io credo nella necessità di una Costituzione. Tuttavia, dobbiamo tenere presente che questa richiesta non è certo la prima nel suo genere. Nel corso della storia di Israele, anche prima dell’indipendenza, ci sono stati numerosi e importanti tentativi di redigere una costituzione, e ogni singolo tentativo è fallito. Le ragioni di questi fallimenti sono molteplici, ma una spicca su tutte: l’opposizione a sancire il principio di uguaglianza come legge fondamentale dello Stato israeliano.

Cittadino o suddito?

L’assenza di uguaglianza è al centro di ogni problema costituzionale in Israele. Ad oggi, non esiste un diritto formale all’uguaglianza per ogni singolo cittadino, né esiste un’uguaglianza collettiva. Una conseguenza di ciò è che gli Haredim (ebrei ultraortodossi), ad esempio, hanno il privilegio di essere esentati da certi oneri della società, come il servizio militare, mentre i cittadini palestinesi sono esclusi dal contratto sociale di Israele e da gran parte della sua vita politica ed economica. L’assenza di uguaglianza riguarda anche la separazione dei poteri, in quanto il ramo eletto, la Knesset, è sempre molto più forte degli altri (il mito che la Corte Suprema regni incontrastata non ha alcun fondamento nella realtà).

Il rifiuto di Israele di sancire l’uguaglianza nella legge è intimamente legato alla mancata stesura di una costituzione, soprattutto nei primi tempi dello Stato. Tra il 1948 e il 1949, ad esempio, il Primo Ministro David Ben-Gurion sostenne che non si doveva adottare una costituzione in quel momento, per evitare che le generazioni di ebrei nella diaspora che presto sarebbero immigrati in Israele fossero escluse dal modellare il paese.

Così facendo, Ben-Gurion garantì uno status superiore a questi teorici cittadini, alcuni dei quali non erano ancora nati, a spese dei cittadini che già vivevano in Israele. Il primo ministro si oppose anche a una costituzione perché avrebbe legato le mani dei legislatori e del governo. A suo avviso, doveva esserci uguaglianza tra tutte le leggi dello Stato, senza che nessuna legge avesse la supremazia su un’altra (come, per definizione, fa una costituzione).

In realtà, Ben-Gurion non era interessato all’uguaglianza, ma cercava piuttosto di mantenere il potere superiore del ramo eletto, che all’epoca lui stesso controllava. In questo senso, si alleò con un gruppo inaspettato: gli Haredim. Fin dalle loro prime versioni apparse sulla scena, i partiti politici ultraortodossi – che allora come oggi costituivano una minoranza nella Knesset – si opposero a una costituzione per il desiderio di mantenere il loro potere sproporzionato nel sistema di coalizione israeliano e di imporre alla popolazione le loro interpretazioni preferite del diritto di famiglia, del kashrut, dell’osservanza dello Shabbat e di altre questioni che costituivano quello che da allora in poi divenne lo “status quo”. Anche questa era una violazione del valore dell’uguaglianza.

Ciononostante, un progetto dettagliato di costituzione che doveva servire come base per la discussione politica fu presentato al Consiglio di Stato provvisorio, l’organo proto-legislativo che svolse un ruolo chiave nella formazione dello stato. Il documento fu creato in preparazione della Dichiarazione di Indipendenza di Israele; il Piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947, che proponeva di dividere la Palestina in uno stato ebraico e uno arabo, prevedeva che entrambi i popoli adottassero una costituzione pienamente democratica come prerequisito per la costituzione dello stato.

Il Primo Ministro israeliano David Ben-Gurion legge una corrispondenza di Stato. 20 settembre 1949. (David Eldan/GPO)

Il progetto di costituzione fu scritto dal dottor Yehudah (Leo) Pinchas Cohen e conteneva tutti i diritti che un cittadino israeliano avrebbe voluto. Ma all’epoca della prima Knesset, Israele non aveva ancora definito chi fosse un cittadino e cosa costituisse la cittadinanza, e lo fece alla fine solo nel 1952, quattro anni dopo la guerra d’indipendenza.

Senza una cittadinanza formale e senza una costituzione che descrivesse nel dettaglio i diritti dei cittadini, era molto più facile per lo stato governare i palestinesi che rimanevano all’interno dei suoi confini sotto un brutale regime marziale, privandoli dei loro diritti civili e umani. Così, con l’eccezione del diritto di voto – fondamentale per mantenere l’immagine internazionale di Israele come democrazia – gli arabi palestinesi in Israele non godevano di diritti democratici in alcun senso, essendo stati relegati allo status di “sudditi” fino a quando Israele non pose fine al suo dominio militare nel 1966.

Una vittoria solo parziale

Dopo la decisione Harari del 1950 – con la quale la Knesset rinunciò a redigere una costituzione completa a favore di un approccio frammentario di “leggi fondamentali” quasi-costituzionali, alcuni politici cercarono di introdurre l’uguaglianza nelle leggi.

Nel suo eccellente libro “La nascita della rivoluzione“, l’ex deputato del Likud Uriel Lynn ha spiegato come, negli anni Sessanta, il professor Yitzhak Hans Klinghoffer, all’epoca deputato del Partito Liberale, ormai defunto, propose una legge dei diritti completa, ma il governo, allora controllato dal partito Mapai di Ben Gurion, la bloccò all’inizio del processo legislativo. Negli anni ’70, il giudice in pensione Benyamin Halevi, allora deputato del Gahal (un precursore del Likud), tentò di proporre una legge dei diritti ridotta, ma anche in questo caso incontrò l’opposizione dei partiti religiosi.

Dopo qualche progresso nei tentativi di sancire i diritti fondamentali alla fine degli anni Ottanta, all’inizio degli anni Novanta le condizioni politiche erano mature per l’approvazione di due delle più note Leggi Fondamentali israeliane: Dignità Umana e Libertà e Libertà di Occupazione (lavoro).

Fare queste leggi non fu facile. Di fronte alla forte opposizione, i legislatori furono costretti a dividere una Legge Fondamentale ampia e incentrata sui diritti umani in quattro parti; due di queste non furono mai approvate. Lynn, all’epoca presidente del Comitato per la Costituzione, il Diritto e la Giustizia della Knesset, lavorò a queste leggi con il professor Amnon Rubinstein, allora deputato del partito centrista Shinui, seguendo gli sforzi del ministro della Giustizia dell’epoca, Dan Meridor.

In seguito, in un articolo del 2012, Rubinstein ha descritto nei dettagli l‘ostinato rifiuto dei partiti religiosi nei confronti del principio di uguaglianza, definendo la loro opposizione come qualcosa superabile solo “sul nostro cadavere”. Rubinstein spiegò che la loro opposizione si basava su varie preoccupazioni: che la Legge del Ritorno, che consente a qualsiasi ebreo del mondo di immigrare e di essere naturalizzato in Israele, fosse cancellata; che l’esenzione degli Haredi dal servizio militare fosse revocata; e, soprattutto, che l’uguaglianza fosse concessa alle confessioni non ortodosse dell’ebraismo. Detto per inciso, sembra invece probabile che la concessione di un giusto riconoscimento e di una giusta uguaglianza alle altre denominazioni ebraiche in Israele avrebbe dissipato, o addirittura impedito, parte del risentimento che molti ebrei laici provano nei confronti della religione, risentimento che deriva in parte dall’imposizione della tradizione ortodossa su tutta la vita ebraica in Israele.

I parlamentari che hanno promosso queste leggi si sono resi conto che potevano ottenere una vittoria parziale, ma solo rinunciando al principio di uguaglianza. Questo doloroso compromesso, insieme a molti altri, ha permesso di adottare solo due dei quattro fondamenti quasi-costituzionali ricordati sopra. Il risultato è stato che la legge israeliana sui diritti umani era incompleta, priva del suo principio più cruciale: l’uguaglianza tra tutti i cittadini.

Un corpo senza cuore

Questa breve storia, naturalmente, non coglie il quadro completo. Nonostante la palese assenza di uguaglianza nelle Leggi Fondamentali, Israele ha comunque promosso il valore dell’uguaglianza in altri modi: punto per punto e clausola per clausola. La Knesset ha adottato, ad esempio, una legge che imponeva l’uguaglianza di genere agli albori dello Stato (1951); una legge che richiedeva la parità di retribuzione tra uomini e donne nel 1964 (sostituita poi nel 1996); e una legge antidiscriminazione nel 2000 – una delle leggi che l’attuale governo vuole colpire.

La presidente della Corte Suprema Esther Hayut e altri giudici della Corte in un’udienza a Gerusalemme, il 5 gennaio 2023. (Yonatan Sindel/Flash90)

Il tema dell’uguaglianza è stato persino inserito nella Legge Fondamentale Dignità Umana e Libertà con un emendamento del 1994 che stabilisce che la legge include lo “spirito dei principi della Dichiarazione di Indipendenza”. Diverse sentenze della Corte Suprema hanno sottolineato il valore dell’uguaglianza, come il caso Ka’adan del 2000, che ha stabilito che, almeno su base individuale, la politica di affittare terreni esclusivamente agli ebrei è una forma di discriminazione vietata.

Queste spinte in avanti, tuttavia, sono state fermate nell’ultimo decennio sotto il governo di Netanyahu con le sue coalizioni populiste di destra. L’apice dei suoi sforzi è stato raggiunto con la promulgazione della Legge Fondamentale sullo Stato-nazione Ebraico nel luglio 2018, una delle leggi più discriminatorie nella storia dello stato. Ironia della sorte, l’approvazione di questa legge ha dato il via a un dibattito sull’importanza dell’uguaglianza: un sondaggio del Peace Index, un braccio dell’Israel Democracy Institute, ha rilevato che il 64% degli israeliani ritiene che la Legge sullo Stato-Nazione avrebbe dovuto affrontare l’impegno di giungere alla piena uguaglianza tra tutti i cittadini.

Ora, con l’improvviso riemergere del dibattito sulla Costituzione e con i manifestanti che chiedono a gran voce l’uguaglianza, questo principio non deve più essere messo sul mercato o usato come merce di scambio nei negoziati politici. Qualsiasi trattamento serio delle questioni costituzionali deve stabilire, una volta per tutte, che una Costituzione senza uguaglianza è come un corpo senza cuore, o come un cuore trafitto da una pallottola. A parte le metafore, una costituzione che non ha supremazia sulle altre leggi non è certo una costituzione, e una democrazia senza l’uguaglianza come valore fondamentale non è affatto una democrazia.

In collaborazione con Local Call

Dahlia Scheindlin è un’importante analista dell’opinione pubblica internazionale e consulente strategica specializzata in cause progressiste, campagne politiche e sociali in oltre una dozzina di paesi, la ricerca sulla pace e sui conflitti in Israele, con esperienza nell’Europa orientale e nei Balcani. Lavora per un’ampia gamma di organizzazioni locali e internazionali che si occupano di conflitto israelo-palestinese, diritti umani, pacificazione, democrazia, identità religiosa e questioni sociali interne. Dahlia ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze politiche presso la Tel Aviv University ed è co-conduttrice del podcast The Tel Aviv Review.

https://www.972mag.com/constitution-equality-basic-laws-israel/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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