Paura nelle colonie. Le proteste di Tel Aviv viste da un palestinese

Apr 9, 2023 | Notizie

di Majd Kayyal,

Orient XXI, 31 marzo 2023. 

Majd Kayyal, scrittore e poeta palestinese di Haifa, ci offre il suo punto di vista, condiviso da molti palestinesi, sul movimento di protesta che da gennaio ha riempito le piazze israeliane. Mentre una minoranza di manifestanti si è opposta anche all’occupazione, per la maggior parte la politica condotta dal governo di estrema destra nei territori occupati non è stata presa in considerazione.

Tel-Aviv, 27 marzo 2023. Manifestazione di protesta contro il progetto di riforma costituzionale. Gil Cohen-Magen/AFP

Le proteste di massa in favore della democrazia israeliana hanno raggiunto l’apice: in difesa della loro libertà e dei loro diritti civili, decine di migliaia di riservisti israeliani hanno minacciato di scioperare e di non commettere più crimini di guerra. Comandanti di artiglieria e ufficiali dell’intelligence, eroi del Mossad e uomini venerati dell’aeronautica si sono mobilitati, facendo sapere di non voler più compiere i “loro doveri militari” – in altre parole, le solite esecuzioni sommarie, le rappresaglie collettive, i bombardamenti dei centri abitati e l’ordinaria amministrazione dell’assedio di Gaza – nel caso in cui il governo Netanyahu non avesse ceduto sulla riforma giudiziaria che concede alla maggioranza di governo ampie prerogative legislative, riducendo l’autonomia della Corte Suprema e l’esercizio delle sue funzioni costituzionali.

CRIMINI DI GUERRA “DEMOCRATICI”

Quattrocentosessanta membri dell’intelligence generale hanno firmato una lettera indirizzata ad Avi Dichter, ex capo dell’agenzia di intelligence Shabak (Shin Bet) e diretto responsabile di tutti i crimini commessi al tempo della seconda Intifada, diventato ministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale nell’attuale governo. La lettera esortava il ministro a non sostenere “iniziative che minaccino le fondamenta democratiche di Israele”. Per tentare di accattivarsi la sua simpatia e toccare le sue corde più profonde, si sono rivolti a lui con il soprannome arabo di “Abu Nabil”, nome che lo ha reso famoso nel corso della sua lunga carriera per le intimidazioni e le torture inflitte ai palestinesi.

Durante una trasmissione televisiva, un ex generale dell’aeronautica si è posto una dolorosa questione: se le divergenze politiche tra i piloti sono così profonde, come potranno collaborare nella stessa cabina di pilotaggio quando si tratterà di bombardare l’Iran? Sul fronte dell’esercito, i veterani della guerra del Kippur (ottobre 1973) hanno cominciato a fare sul serio con la loro protesta, rubando a metà febbraio uno dei simboli della libertà israeliana – un carro armato – con cui hanno sfilato dopo aver scritto sulla fiancata la parola “democrazia”.

Il quotidiano Haaretz ha pubblicato un lungo reportage che raccoglie le testimonianze di “piloti e capi militari” che rifiutano “questo golpe giuridico”. Il reportage si apre con le parole di un medico militare dell’esercito di occupazione:

“Abbiamo lavorato per decenni sotto governi di destra, abbiamo attuato misure su loro richiesta che non erano affatto legali. Abbiamo usato le ambulanze per rinforzare le rotte militari e i posti di blocco. Abbiamo nascosto il logo dell’ambulanza sui nostri veicoli in modo che nessuno lo vedesse, perché sapevamo molto bene cosa stavamo facendo. Non ci siamo opposti, non abbiamo rifiutato gli ordini, perché sapevamo di servire uno Stato democratico.”

Nello stesso articolo, c’è la testimonianza di un pilota:

“Quando ci è stato chiesto di bombardare le zone grigie 1, ai margini delle zone nere, soprattutto durante i nostri attacchi a Gaza, lo abbiamo fatto per conto di un governo che operava secondo le regole di un gioco definito e chiaro. Queste erano le istruzioni del sistema e le abbiamo pienamente rispettate.”

Le interviste di Haaretz proseguono su questo tono, con il conteggio dei crimini di guerra e le giustificazioni in nome del “contratto democratico” in base al quale sono avvenuti, minacciando la risoluzione del “contratto”. Il sottotitolo del reportage dice che queste testimonianze “spezzano il cuore”…

IL BALLETTO DELL’ESERCITO E DELLA CORTE SUPREMA

Oggi in Israele, si fronteggiano due gruppi che hanno posizioni opposte sulla “forma dello Stato”, cioè sul modo di amministrare il sistema coloniale sionista. Quali meccanismi vengono utilizzati per pianificare e attuare l’oppressione e la distruzione dei palestinesi? Qual è la classe sociale e il gruppo ideologico che porta avanti il processo coloniale? E come vengono distribuite le risorse sottratte della vita, della terra, dell’acqua e del denaro palestinesi?

Il primo gruppo è il più radicato. È un gruppo europeo d’origine ashkenazita, e il suo ruolo determinante all’interno del sistema deriva proprio dal suo passato. Sono i primi coloni che hanno teorizzato e messo in atto il progetto sionista. Hanno guidato con le proprie mani il grande processo di pulizia etnica durante la Nakba del 1948. Poi si sono spartiti le terre, le proprietà e le risorse espropriate. I loro discendenti sono i piloti che bombardano Gaza, i padri sono giudici o professori universitari, e i nonni, oggi in pensione, se ne stanno seduti nelle loro spaziose case costruite sulle terre che hanno rubato ai palestinesi a parlare comodamente (davanti alla telecamera di un regista… anche lui d’origine ashkenazita) di massacri commessi a sangue freddo a Tantura o Kafr Qasim.

Tutto questo è stato fatto con la solita coscienza coloniale e laica europea, e con la convinzione della superiorità etnica, intellettuale e culturale sulla popolazione indigena. Era in gioco la creazione di un sistema “moderno”, indipendente e laico, e persino socialista agli inizi, con un quadro democratico e una separazione dei poteri. Ma soprattutto, tutto questo doveva essere fondato su una struttura giuridica e un linguaggio politico ufficiale “adeguato”, in grado di padroneggiare il lessico del diritto internazionale, di camuffare i crimini, e quindi di coprire il sostegno dei paesi occidentali al progetto coloniale in Palestina, sia a livello internazionale che militare.

Questo primo gruppo ha messo le mani su tutti gli ingranaggi del sistema. Ha fondato il partito di governo Mapai 2, preso il controllo del Fondo Nazionale Ebraico e dell’Amministrazione delle terre di Israele, e si è accaparrato la maggior parte delle risorse. Ha messo le mani sui luoghi chiave della formazione, dalle università ai media, e ha sviluppato inoltre una grande forza economica e tecnologica. Tutto ciò è avvenuto ovviamente a spese delle risorse espropriate e delle vite spezzate dei palestinesi, ma non sarebbe stato possibile senza lo sfruttamento degli ebrei orientali e di coloro che sono stati strappati alla loro terra d’origine e alle loro società arabe per essere portati in Palestina come coloni, per far pendere il peso della bilancia demografica a favore degli ebrei e per costituire forza lavoro ebraica a basso costo al posto della forza lavoro araba. Ebrei yemeniti, marocchini, iracheni e curdi, tra gli altri, hanno vissuto sotto il giogo della prepotenza e della povertà. Vittime di crimini, la loro identità araba è stata violentemente disgregata per essere assimilata nel progetto sionista europeo.

Questo gruppo ha preso il controllo di due istituzioni essenziali all’interno dello “Stato ebraico democratico”: l’esercito e la Corte suprema. Insieme menano le danze del crimine e di come occultarlo. Uno pianifica e attua la violenza cruenta contro gli arabi per preservare la sovranità e la maggioranza “ebraica”, l’altro la controlla per garantire l’efficacia dell’impresa e le fornisce una protezione giuridica, in modo che la violenza sia “democratica”. Per dirla con le parole dei 460 uomini dell’intelligence che hanno firmato la suddetta lettera: “Sappiamo molto bene, voi e noi, che la Corte Suprema non ha mai fermato nessuna delle nostre operazioni preventive, ma le ha dirette e ottimizzate”.

La natura delle guerre di Israele ha accentuato il predominio di questa frangia all’interno dell’esercito. Nei primi decenni dopo la fondazione dello Stato di Israele, di fronte agli eserciti arabi regolari, poi alla guerra contro i fedayn in Giordania, in Libano e in tutto il mondo, alcune unità – l’aviazione, il Mossad, le quattro unità commando – sono state venerate nell’immaginario sionista. Unità che sono riservate esclusivamente ai maschi di questa frangia ashkenazita della popolazione israeliana.

Lo stesso accade con la Corte Suprema. Ne hanno fatto parte 72 giudici dal 1948. Solo 11 di loro erano ebrei orientali. In assenza di una Costituzione israeliana, tuttavia, la Corte suprema ha svolto un ruolo costituzionale, assumendo uno status legislativo. Col tempo, ha assunto anche il potere di abrogare leggi e costringere il Parlamento a modificarle.

UN NUOVO BLOCCO DI EBREI ORIENTALI E ORTODOSSI

Di fronte all’egemonia ashkenazita, nel 1970 si è formata una nuova corrente, che ha messo insieme partiti che avevano come unico comune denominatore il risentimento verso la vecchia corrente.

Nel 1967, l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ha portato a cambiamenti radicali. Un grande blocco sociale di ebrei orientali e ortodossi viveva grandi difficoltà economiche a causa dell’inflazione senza precedenti che aveva investito il paese nei primi anni ‘70. Il partito Mapai, l’espressione più importante dell’egemonia ashkenazita dell’epoca, impose allora politiche economiche che proteggevano dall’inflazione (imprese statali, fabbriche, il sindacato generale a cui era associato, ecc.) i ceti sociali vicini al potere, accentuando la precarietà degli altri. L’esasperazione di queste classi permise al partito Likud di vincere le elezioni del 1977, rovesciando il partito di governo per la prima volta dalla fondazione di Israele. Fu possibile grazie ai voti degli ebrei orientali e al sostegno dei partiti sionisti religiosi – gli stessi che ancora oggi costituiscono lo zoccolo duro di Netanyahu e del Likud.

Le elezioni del 1977 hanno alimentato conflitti etnici e di classe. Portando avanti una politica di privatizzazione e apertura al mercato, il Likud ha posto fine al monopolio ashkenazita sulle risorse. Una situazione che ha incoraggiato l’attività politica identitaria e religiosa, con la creazione di nuovi partiti che sono ormai parte integrante della scena politica, come il partito Shas 3.

Questo è stato anche il periodo dell’istituzione del governo militare e l’inizio degli insediamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Si è formata una nuova “avanguardia” del sionismo religioso, che opera per espandere le colonie ebraiche nella “Grande Terra di Israele”. Un movimento che rappresenta l’estensione di un’istituzione storico-politico-religiosa, che ha lottato contro la corrente laica centrale fin dagli anni ‘20. Una delle sue organizzazioni più importanti è stato il movimento Gush Emunim 4 che si era rifiutato di lasciare il controllo del processo di colonizzazione alle istituzioni statali, nonostante avesse iniziato a pianificare e costruire insediamenti nei territori occupati alla velocità della luce. Quello tra movimento religioso e Stato è un rapporto complesso, fatto di collaborazione e scontri. Appunto per questo, lo Stato non ha riconosciuto la legalità degli avamposti coloniali, ma ha fornito loro protezione militare, poi, gradualmente, anche elettricità, acqua e servizi. Ha instaurato una dinamica di razionamento e regolarizzazione di quegli avamposti, a volte riconoscendoli o integrandoli con altri insediamenti costruiti dallo Stato stesso. Una delle espressioni più note di questo conflitto tra lo Stato e il movimento religioso è stato il piano di “disimpegno” unilaterale israeliano da Gaza nel 2005.

Ma l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza non riguarda solo il sionismo religioso. Anche gli ebrei orientali si sono lanciati per essere l’avanguardia di quest’impresa. All’inizio, sono stati incoraggiati a vivere in insediamenti costruiti dal governo che offriva alloggi e condizioni di vita molto vantaggiose. La stessa cosa è avvenuta con i coloni russi, con la prima grande migrazione del 1970. Così, la società dei coloni si è trasformata in un’entità in cui i sionisti religiosi si sono mescolati gradualmente con classi e categorie etniche più marginali.

All’epoca della prima Intifada i soldati mobilitati in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non provenivano dalle forze speciali europee. Non erano piloti o membri di commando. L’esercito era impegnato a condurre una guerra contro una società disarmata, che resisteva con pietre, murales, bandiere e bottiglie molotov. Il compito di dare la caccia ai bambini palestinesi, spaccare ossa e assaltare case in cerca di volantini venne affidato ai giovani dei ceti più bassi della società coloniale, gettandoli direttamente nella guerra quotidiana contro una società ostinata, di cui non sono riusciti a piegare lo spirito di resistenza.

L’ULTIMA ROCCAFORTE DEGLI ASKENAZITI

Di fronte a tali trasformazioni, e mentre la nuova corrente consolidava la sua maggioranza parlamentare, la vecchia corrente si è resa conto che il sapiente equilibrio tra criminalità e democrazia non era più garantito. La giustizia di facciata che, in precedenza, aveva coperto la struttura della violenza – con i suoi “meccanismi giudiziari locali”, che difendono i leader militari dalle accuse di fronte ai tribunali internazionali – stava cominciando a sfaldarsi.

La resistenza popolare palestinese è andata intensificandosi alla fine degli anni ‘80 e i coloni, come l’esercito, hanno intensificato violenze e barbarie. L’élite ashkenazita, guidata da Yitzhak Rabin, si è affidata al processo di pace, ormai convinta della necessità di ricostruire in maniera radicale il proprio sistema di controllo, soprattutto in Cisgiordania e Gaza. Il periodo degli Accordi di Oslo è stato un tentativo di ripristinare il vecchio ordine, quello in cui il crimine andava a braccetto con la legge. Un processo che ha costretto l’élite israeliana a istituire un’Autorità Palestinese che ha dimostrato, sul lungo termine, di essere complice dell’occupazione. Nel 1995, la Corte Suprema ha preso una decisione storica che sancisce la superiorità normativa delle leggi fondamentali sulla legislazione ordinaria. Le leggi emanate dal Parlamento potrebbero quindi essere abrogate dalla Corte, se in conflitto con le leggi fondamentali. La Corte Suprema ha così rafforzato il suo potere a scapito del Parlamento. Quella che all’epoca fu definita una “rivoluzione giudiziaria” ha aperto la strada a interventi più generali da parte della Corte nell’amministrazione della repressione. In altre parole, il potere dei giudici ashkenaziti sull’apparato statale si è ampliato, nonostante la nuova corrente abbia rafforzato la sua maggioranza in Parlamento, soprattutto dopo l’assassinio di Rabin. Ed è proprio questo assetto che gli uomini di Netanyahu, i rappresentanti di questo nuovo gruppo, sperano di rovesciare oggi.

I due gruppi fanno a gara per essere la fonte legittima del crimine. Una gara tra quelli che uccidono 11 martiri durante un’incursione a Nablus nell’ambito del “contratto democratico”, e quelli che bruciano case nel villaggio di Huwara il giorno dopo. Uno scontro che avviene regolarmente all’interno di un quadro normativo, come dimostra l’esecuzione di Abdel Fattah Cherif per mano del soldato Elior Azaria 5, e la polemica che ne seguì in Israele durante il processo del soldato, sul fatto che il sistema giudiziario “avesse legato le mani ai militari”. Lo stesso esempio vale, tra gli altri, per la decisione della Corte di abrogare la cosiddetta legge che “regolarizza” le colonie 6.

Le manifestazioni a cui abbiamo assistito da gennaio in Israele non rappresentano il primo movimento di protesta contro un governo israeliano. La nuova corrente ha manifestato più di una volta contro i governi della vecchia corrente, dalla rivolta degli ebrei orientali a quella di Haifa nel 1959 7 fino alle violente manifestazioni contro il ritiro da Gaza, passando per l’assassinio dell’ex premier Yitzhak Rabin. La differenza oggi è che per la prima volta sono i discendenti del vecchio gruppo a ribellarsi contro il nuovo.

Dal canto nostro, chiedere a noi palestinesi di prendere una posizione in questo conflitto equivale alla domanda: preferisci vedere i proiettili delle forze speciali che uccidono 11 persone a Nablus, oppure i figli dei coloni religiosi che bruciano le case in Cisgiordania?

Una domanda che in sé rappresenta una negazione della nostra umanità.

Note:

1. Zone demilitarizzate

2. Mapai, Partito dei Lavoratori, è stato un partito politico di sinistra in Israele e una delle principali forze politiche nella politica israeliana fino alla sua confluenza nell’attuale Partito Laburista Israeliano nel 1968. [NdT].

3. Shas è un partito politico israeliano, fondato nel 1984, che rappresenta principalmente gli ebrei ultra ortodossi sefarditi e mizrahì, in gran parte immigrati dai paesi arabi nei primi dieci anni dopo l’indipendenza d’Israele. [NdT].

4. Il Gush Emunim (Blocco dei fedeli) è un movimento politico messianico sionista israeliano sorto per agevolare la formazione di insediamenti ebraici in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e nelle Alture del Golan siriano, ossia nei territori palestinesi occupati da Israele con la guerra dei Sei Giorni del 1967. [NdT].

5. Abdel Fattah Cherif, che aveva aggredito con un coltello dei soldati israeliani, è stato ucciso da Elior Azaria il 24 marzo 2016 a Hebron, mentre era ferito a terra e senza armi. La scena è stata filmata e ha portato in giudizio Azaria. Il processo è durato diversi mesi e ha diviso la società israeliana. Condannato a 18 mesi di prigione, Azaria è stato alla fine rilasciato dopo 9 mesi.

6. Nel febbraio 2017, il Parlamento ha approvato la cosiddetta legge di “regolarizzazione”, che prevedeva di legalizzare 4000 abitazioni israeliane costruite su terreni privati palestinesi.

7. L’8 luglio 1959, un poliziotto israeliano spara a un ebreo marocchino nel quartiere di Wadi Salib a Haifa. L’incidente scatena un’ondata di rivolte che evidenziano le discriminazioni etniche e sociali di cui sono vittime gli ebrei provenienti da paesi arabi.

Traduzione dal francese di Cecilia Dalla Negra e Luigi Toni
Tutte le note sono a cura della redazione.

MAJD KAYYAL, Ricercatore e scrittore di Haifa, Palestina. Dal 2012 pubblica articoli su Palestina e sionismo per Assafir Al-Arabi. Nel 2016, il suo romanzo The Tragedy of Sayyed Matar ha vinto il Premio AM Qattan. Ha pubblicato Dying in Haifa in (2019), e un album musicale per bambini, More beautiful than Berlin (2020).

https://orientxxi.info/magazine/paura-nelle-colonie-le-proteste-di-tel-aviv-viste-da-un-palestinese,6340

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