di Michele Giorgio,
pagineesteri.it, 5 Aprile 2023.
Nel paese che ha fatto del successo delle startup e dell’hi tech il suo biglietto da visita, Rafael Morris rappresenta un altro mondo, antico, opposto alla modernità, quello degli israeliani ebrei che hanno abbracciato le profezie messianiche. Il suo ardente desiderio di accelerare la ricostruzione, dopo oltre 1900 anni, del Tempio ebraico sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme dimostra quanto i miti del passato siano radicati nelle aspettative del futuro ponendo le basi per nuove guerre e violenze. Morris, leader del gruppo Ritorno al Tempio, lunedì è stato fermato dalla polizia e interrogato. Gli succede ogni anno. Dopo qualche ora, lo hanno rimandato a casa tra gli applausi dei suoi compagni dopo aver promesso che oggi si terrà lontano dalla Spianata. La rispetterà? Ormai da alcuni anni, in occasione della Pasqua ebraica (Pessah), Morris annuncia il proposito di compiere sacrifici di agnelli sulla Spianata – l’Haram Sharif (Nobile Santuario), terzo luogo santo dell’Islam – ritenuta dalla tradizione religiosa ebraica l’area del monte dove sorgevano il Tempio di Erode e il Tempio di Salomone. Il sacrificio, simile a quello praticato nell’antichità, secondo Morris accelererà l’avvento del Messia e la ricostruzione del Tempio.
In passato andava a tirar fuori Morris dalle stazioni di polizia il suprematista Itamar Ben Gvir, oggi ministro della Sicurezza nazionale del governo Netanyahu ma che fino a qualche mese fa era l’avvocato di coloni ed estremisti di destra. Ben Gvir ora non ha una piena libertà di movimento. Se in cuor suo vorrebbe dar sfogo ai suoi sentimenti messianici, da ministro non può non tenere conto della posizione della Giordania, custode delle moschee della Roccia e di Al Aqsa, che potrebbe interrompere le relazioni con Israele di fronte a violazioni dello status della Spianata concordato con Tel Aviv. A gennaio la «passeggiata» di Ben Gvir su Haram Sharif provocò reazioni in tutto il mondo islamico e anche in Occidente.
Morris comunque non si arrende. Sostenuto dalle sue schiere sempre più folte, forte dell’appoggio silenzioso di non pochi deputati alla Knesset e incitato a continuare dalla moglie Aviya –, una ultranazionalista che nel 2015 scatenò un putiferio urlando «Maometto è un porco» ai palestinesi musulmani diretti alla moschea di Al Aqsa -, anche quest’anno Morris ha fatto distribuire dal suo movimento volantini nella Città Vecchia invitando gli attivisti a portare un agnello sul Monte del Tempio promettendo 2.500 shekel (700 dollari) per chiunque sarà arrestato dalla polizia e 20.000 shekel (circa 8.300 dollari) per chi riuscirà a compiere il sacrificio. Non solo, ha anche offerto una ricompensa in denaro a chiunque nel quartiere musulmano sarà disposto a prendersi cura di un agnello fino a quando non potrà essere sacrificato. Oggi e i prossimi giorni diranno se Rafael Morris e i suoi seguaci riusciranno a realizzare i loro propositi, magari approfittando della silenziosa compiacenza del ministro Ben Gvir. L’eventuale realizzazione del sacrificio in pieno mese di Ramadan provocherebbe un’ondata di violenze. Nel 1990 l’annuncio dell’«avvio della ricostruzione del Tempio» provocò scontri che si conclusero con l’uccisione di 20 palestinesi da parte della polizia. La tensione in questi giorni è già alta per i «tour» che, con la scorta della polizia, compiono sulla Spianata gruppi di estremisti religiosi descritti ufficialmente come «fedeli ebrei».
Si commette un grave errore considerando i propositi di Morris delle semplici «bizzarrie» di fanatici fuori dal tempo. La ricostruzione del Tempio è un progetto da attuare per una porzione non marginale di israeliani credenti e nazionalisti anche se da un punto di vista teologico era e resta vietata agli ebrei. La svolta è giunta con l’occupazione israeliana di Gerusalemme e del resto dei Territori palestinesi nel 1967. Per quelli inclini a sentirlo, la sopraggiunta sovranità ebraica su tutta Eretz Israele è un disegno divino per la realizzazione della redenzione. La spartizione della Spianata delle moschee è perciò invocata da coloro che pianificano di realizzare a Gerusalemme la «soluzione» di Hebron dove le autorità militari israeliane, dopo la strage di 29 palestinesi nel 1994, divisero in due la Tomba dei Patriarchi assegnandone una metà ai coloni ebrei insediati nella città.
Il fervore messianico coinvolge un numero crescente di fanatici, a partire dai cristiani sionisti di ogni parte del mondo divenuti tra i più accaniti sostenitori della ricostruzione del Tempio. Il regno di Dio è vicino, credono queste persone, spesso ex hippy diventati all’improvviso credenti. E la chiave per la salvezza è il Monte del Tempio di Gerusalemme. Guardano al sito anche i fondamentalisti americani che da un lato forniscono un sostegno incessante a Israele e dall’altro attendono con impazienza un’apocalisse in cui si aspettano che gli ebrei muoiano o si convertano al cristianesimo. Gli esperti di storia delle religioni avevano pronosticato che la febbre da Armageddon dell’anno Duemila si sarebbe smorzata una volta superata la soglia del nuovo millennio. Non è stato così. E tutto si complica quando i politici cercano di incanalare queste insane passioni religiose per i propri scopi.
Anni fa un’ondata di fervore messianico ha investito i religiosi nazionalisti in Israele dopo che avevano appreso che in un’azienda agricola era nata una giovenca rossa, senza peli bianchi o neri nel mantello, quindi perfetta per il sacrificio necessario per ricostruzione del Tempio. Secondo la Bibbia, le ceneri di una giovenca rossa erano utilizzate migliaia di anni fa dai sacerdoti di Gerusalemme per purificare il popolo ebraico. Dopo averne ispezionato il colore del pelo, rosso intenso dal naso umido fin quasi alla punta della coda, due rabbini Menachem Makover e Haim Richman, stabilirono che la giovenca era quella giusta. Il quotidiano Haaretz invece vide giustamente nella giovenca rossa una «bomba a quattro zampe» potenzialmente in grado di infiammare tutta la regione. Poi, crescendo, sul mantello della giovenca spuntarono dei peli bianchi e la «bomba» fu disinnescata.
L’attesa dei religiosi più nazionalisti come Rafael Morris però resta intatta assieme ai programmi di partiti e uomini politici della destra estrema. «Siamo di fronte a gruppi di piccole dimensioni ma che con le loro azioni, specie se compiute in determinati periodi dell’anno, come la Pessah e il Ramadan, posso provocare un disastro gigantesco e gettare il Medio oriente in una nuova guerra», avverte l’analista ed esperto di nazionalismo religioso Michael Warshansky.
Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto