di Avi Garfinkel,
Haaretz, 24 marzo 2023.
L’elogio funebre pronunciato dal rabbino Eliezer Melamed al funerale di due vittime del terrorismo dovrebbe essere una lettura obbligatoria per chiunque voglia farsi un’idea dell’israelismo contemporaneo, che si sta amalgamando con la visione del mondo dei coloni.
“Da incorniciare e appendere”, ha scritto il giornalista televisivo Amit Segal in seguito all’insolita decisione dei redattori del settimanale in lingua ebraica Makor Rishon di dedicare la copertina della loro rivista del 3 marzo non a una fotografia, ma a un testo: l’elogio funebre pronunciato dal Rabbino Eliezer Melamed in occasione del funerale di Hallel e Yagel Yaniv, i due fratelli uccisi il 26 febbraio in un attacco terroristico nella città di Hawara in Cisgiordania. L’amministratore delegato di Makor Rishon, Doron Bainhorn, ha osservato che “l’elogio funebre del rabbino dovrebbe essere studiato nelle scuole” – e ha ragione.
Si tratta di un testo esemplare, non solo nel senso che è ben scritto e commovente, ma anche perché è un esempio straordinario del modo di pensare dei coloni, che sta diventando anche il modo di pensare generale in Israele, e certamente all’interno del governo. Chiunque voglia capire l’israelismo – da dove viene e dove è diretto – dovrebbe leggere questo testo.
Il rabbino Melamed ha dichiarato: “Ogni ebreo che viene ucciso semplicemente per il fatto di essere ebreo è santo”. In altre parole, l’unica ragione degli attacchi terroristici è l’odio abissale verso gli ebrei, che non è legato alle azioni degli ebrei o al loro comportamento, o alla sensazione degli attentatori di aver subito un torto dagli ebrei. Nel mondo di Melamed, non c’è espropriazione di terre palestinesi, non c’è espulsione, non ci sono atti di violenza contro palestinesi innocenti, non ci sono danni alle proprietà, non ci sono atti di umiliazione. Secondo gli ebrei che hanno vendicato a Hawara l’omicidio dei fratelli Yaniv, gli attacchi palestinesi non possono essere visti come una vendetta per le azioni degli ebrei.
Secondo il rabbino Melamed, tali atti sono guidati da puro antisemitismo: gli ebrei vengono uccisi solo a causa del loro essere ebrei. Questo ovviamente non spiega perché i palestinesi non uccidano abitualmente gli ebrei in altri luoghi del mondo. La divisione è semplice e netta: gli ebrei sono vittime, i palestinesi sono colpevoli.
Val la pena notare che agli occhi di Melamed, ogni ebreo che viene ucciso per il suo essere ebreo viene definito santo, con l’accento su “ogni”. In altre parole, anche gli assassini, gli stupratori, i ladri e altri peccatori salgono al livello di santità semplicemente in conseguenza delle circostanze della loro morte, e non fa alcuna differenza se nella loro vita sono stati dei malfattori. Melamed estende la proclamazione di santità all’intera popolazione dei coloni: “Se questo è ciò che si deve dire di ogni ebreo, a maggior ragione dovrebbe essere detto dei coloni che vivono in prima linea negli insediamenti di Giudea e Samaria”.
E qual è il significato della santità, secondo Melamed? “Sono saliti in alto e si sono santificati nella santità di tutto Israele, al punto che nessun essere vivente può stare alla loro altezza”. Vale a dire che la santità è la supremazia del santo su coloro che non sono santi, dei coloni su coloro che non sono coloni.
Questo è un punto critico in un momento in cui la supremazia ebraica in Israele si sta trasformando in una supremazia degli ebrei religiosi e dei coloni ebrei sugli ebrei secolari, certamente su quelli di sinistra. Spiega perché gli Hardalim (nazionalisti ultraortodossi) non si sentono in colpa né si vergognano quando chiedono risorse aggiuntive allo Stato (come uno stanziamento più alto per i loro studenti), mentre insistono nel contribuire meno – attraverso riduzioni dell’imposta sulla proprietà, agevolazioni fiscali, servizio militare ridotto per gli studenti delle hesder-yeshiva [scuole talmudiche con addestramento militare], o esenzione totale dal servizio militare e dal lavoro per gli uomini Haredi.
Dal punto di vista degli Hardalim, qui non c’è alcuna violazione dell’uguaglianza in senso lato. L’uguaglianza richiede un trattamento uguale per gli uguali, ma secondo loro gli studenti di Torah e i coloni sono semplicemente più uguali e quindi meritano di più. Questa è la ragione di fondo di ciò che molti individui laici vedono come una porcheria, un segno di avidità, mancanza di solidarietà, saccheggio e depredazione delle casse pubbliche nelle decisioni di bilancio, o nelle discussioni sull’obbligo di servire nell’esercito di Israele e di partecipare al mercato del lavoro. Secondo questi ebrei religiosi, chi contribuisce di più merita di più – un’argomentazione che, tra l’altro, è in contraddizione con le critiche che rivolgono al personale high-tech che si oppone al golpe del regime, sostenendo che “solo perché paghi più tasse, non significa che la tua voce valga di più”.
Per quanto infondato possa essere, è necessario capire che il senso di supremazia di questi ebrei religiosi è autentico, anche e soprattutto laddove raggiunge l’assurdità assoluta. “Non siamo tornati nel nostro Paese per espropriare gli arabi delle loro case”, spiega il rabbino Melamed, “ma piuttosto per aggiungere bontà e benedizione al mondo. Anche gli arabi potrebbero trarne beneficio”.
In questo mondo disgregato, gli arabi che vivono nei territori, che non hanno nemmeno lo status di cittadini con pari diritti, dovrebbero considerare la presenza dei coloni tra loro come una benedizione. Il rabbino Melamed, che dirige la Yeshiva Har Bracha, non specifica esattamente quali benedizioni i coloni hanno portato ai loro vicini. Il diritto degli arabi, come il diritto di ogni persona, di rifiutare una benedizione che viene loro offerta non ha posto nel mondo di Melamed. Secondo questa logica, anche la società laica deve accettare come una benedizione il lavoro della comunità che studia la Torah e che protegge loro e la loro identità, e magari deve finanziarla, anche se l’opinione pubblica laica pensa, ‘erroneamente’, di non averne bisogno.
Le persone di sinistra devono promuovere, e con gratitudine, gli insediamenti a cui si oppongono, perché i coloni “continuano a colonizzare la nostra terra santa, e a proteggere le persone e la terra con i loro stessi corpi”. Anche in questo caso, Melamed non si preoccupa di spiegare come i bambini, gli anziani e le donne che non portano armi e si insediano in mezzo a una popolazione araba ostile stiano difendendo la terra. Né spiega come un progetto che sta distruggendo la gente la stia in realtà proteggendo. È un dato di fatto, un assunto di base che non verrà discusso proprio perché è palesemente sbagliato.
Verso la conclusione dell’elogio funebre, il rabbino Melamed ha ribadito l’anacronistico cliché secondo cui i coloni “continueranno a costruire sulla terra e a far fiorire la natura selvaggia”, come se quasi tutte le costruzioni che hanno luogo nella terra non fossero realizzate da lavoratori arabi e da altri gentili. Come se la terra fosse un deserto vuoto. Come se la maggior parte delle costruzioni e delle lavorazioni del terreno fatte dagli ebrei – quasi tutte, in realtà – non fossero state fatte molto tempo fa, per mano di pionieri laici e socialisti che si ribellavano alla legge ebraica.
Il titolo dato all’elogio di Melamed, “Morire e conquistare la montagna”, è una parafrasi dell’inno del movimento Betar di Ze’ev Jabotinsky, “Morire o conquistare la montagna”. Il laico Jabotinsky riconosceva almeno la possibilità di perdite e fallimenti, che a loro volta possono finire in un disastro, come accadde durante il periodo della rivolta contro i Romani: “Morire o conquistare la montagna – Yodfat, Masada, Betar “. Ma nel testo di Rabbi Melamed, la parola “o” è sostituita da “e”. Secondo Melamed, “se dobbiamo vivere, vivremo; e se dobbiamo morire, moriremo, e dopo di noi, i nostri amici continueranno a conquistare la montagna”.
Anche se moriremo, come gli ebrei a Masada nell’anno 73 o 74 d.C., la montagna sarà conquistata. Sarà un successo. E perché tutto questo? Perché il vero successo non si misura in questo mondo, ma nell’altro: “Tutti i santi ebrei sembrano morti, ma nel mondo della verità sono molto vivi… Morendo per la santificazione di Hashem [Dio], si sono collegati alla fonte della vita”. Ciò che è importante è il mondo della verità, non il mondo della menzogna, ossia la realtà in cui viviamo e dalla quale molti coloni sono scollegati in modo preoccupante.
Ciò di cui abbiamo bisogno non è conquistare la montagna, ma scendere da essa, e in fretta.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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