Le foto che contribuirono a salvare Masafer Yatta dalla prima espulsione

Mar 22, 2023 | Notizie

di Basil Adra,

+ 972 Magazine, 21 marzo 2023. 

Nel 1999, le immagini delle esistenze palestinesi sconvolte produssero una pressione tale da permettere alle famiglie di tornare a casa. Ora vivono nella paura della prossima espulsione.

I residenti di Masafer Yatta caricano le loro cose sui camion durante l’espulsione del 1999. (Nasrin Elian/B’Tselem)

Era l’inverno del 1999 e Nasrin Elian aveva appena terminato gli studi in legge. Lavorava presso l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem a Gerusalemme, quando ricevette la notizia che i soldati israeliani stavano espellendo i residenti palestinesi di Masafer Yatta, un gruppo di villaggi nella regione delle Colline a Sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata.

“Mi sono recata immediatamente sul posto”, ricorda oggi, “e ho visto jeep cariche di attrezzature e soldati che gettavano a terra nei campi le cose dei residenti”. Usando la macchina fotografica che aveva portato con sé, Nasrin documentò l’espulsione militare di 700 contadini e pastori quel giorno di novembre, lasciandoli senza casa.

A seguito della loro petizione alla Corte Suprema, le famiglie furono autorizzate a tornare nei loro villaggi pochi mesi dopo, in attesa di una decisione finale sullo status dei residenti palestinesi di quella che Israele chiama “Zona di tiro 918” – un’area di addestramento militare dichiarata nel 1980 dal ministro dell’Agricoltura Ariel Sharon allo scopo di prendere il controllo delle terre palestinesi nelle colline a Sud di Hebron. Nel maggio 2022 è arrivata la decisione finale: la Corte Suprema ha respinto la petizione delle famiglie, dando così il via libera all’esercito per effettuare l’espulsione per la seconda volta. Ora, di fronte alla nuova minaccia di sfollamento forzato, B’Tselem ha ritrovato le fotografie originali del 1999.

Wadha al-Jabareen, del villaggio di Jinba che si trova sulle mappe del XIX secolo, è oggi una bisnonna di 80 anni. Nelle foto, scattate mentre parla con un giornalista poche ore dopo l’espulsione, i suoi occhi sono rossi e gonfi per il pianto. Suo nipote, Qusay, che allora aveva 4 anni, oggi ha due figli suoi.

Wadha al-Jabareen tiene in grembo un agnello durante l’espulsione della sua famiglia da Masafer Yatta nel 1999. (Nasrin Elian/B’Tselem)

“Arrivarono al tramonto e parcheggiarono il loro camion all’ingresso della grotta dove vivevamo”, ricorda Wadha guardando le vecchie fotografie di quel giorno. “All’epoca nel villaggio vivevano 14 famiglie. I soldati misero tutti i nostri averi nel camion: vestiti, pentole e padelle, cibo. Uno dei soldati sollevò un letto di ferro mentre mio nipote, Zakaria, era sopra. Un bambino. Ho preso il letto dalla mano del soldato e gli ho detto: “Cosa stai facendo?”. Lui mi ha risposto che lo stava facendo “così ve ne andrete”. Quando uno degli ufficiali ha visto che c’era un bambino, ha detto al soldato di mettere giù il letto”.

Nelle foto si vedono i soldati scaricare i beni delle famiglie nell’area desolata in cui erano state destinate, lungo la strada che porta all’insediamento israeliano di Carmel. I soldati hanno creato una catena umana, passando i beni delle famiglie dall’uno all’altro per svuotare i camion. Sui camion si possono vedere anche tappeti, pane pita, pentole, lampade a gas e cappotti.

“Circa 100 soldati hanno partecipato all’espulsione”, continua Wadha. “Alcune donne sono scappate dal villaggio, ma io e alcune anziane ci siamo rifiutate di lasciare la nostra terra. I soldati non ci hanno lasciato nulla. Niente materassi, niente coperte. Hanno preso la farina, il pane, il cibo, per costringerci ad andarcene”.

Qusay al-Jabareen è ritratto mentre guarda la macchina fotografica durante l’espulsione dei residenti palestinesi di Masafer Yatta nel 1999. (Nasrin Elian/B’Tselem)

Nelle foto si vedono anche molti bambini. Alcuni di loro guardano la macchina fotografica con stupore, altri piangono e altri ancora rovistano tra i cumuli a terra. Una foto mostra un orsacchiotto di peluche gettato tra i sassi. Se ci fosse un’altra espulsione ora, il numero di bambini costretti a lasciare le loro case sarebbe il doppio rispetto al 1999. L’esercito ha iniziato a preparare la nuova espulsione a gennaio di quest’anno, prima ancora di ricevere l’approvazione del governo.

Nidal Abu Younis, oggi capo del Consiglio del villaggio di Masafer Yatta, nelle foto è un uomo di 23 anni, ancora single. È in piedi con un gruppo di uomini che ammucchiano lampade, gabbie per uccelli e materassi sui trattori. Abu Younis spiega che avevano smistato i mucchi per poterli portare al deposito in una città vicina. Quella notte, le famiglie hanno dovuto decidere dove dormire: alcune si sono accalcate nelle case dei vicini, altre hanno dormito a cielo aperto. I soldati hanno pattugliato i villaggi sfollati per assicurarsi che nessuna famiglia fosse tornata alle proprie case.

“Queste foto hanno contribuito a catturare l’attenzione del mondo”, ricorda Abu Younis. “Il giorno dopo sono arrivati i media, i gruppi per i diritti umani e i membri arabi della Knesset. Il loro interesse per noi, la loro solidarietà, hanno contribuito all’ordine temporaneo emesso dalla Corte Suprema che ci ha permesso di tornare nelle nostre case fino alla loro decisione dello scorso anno, la peggiore che potessimo aspettarci”.

Nidal Abu Younis ripreso durante l’espulsione del suo villaggio di Masafer Yatta nel 1999. (Nasrin Elian/B’Tselem)

Mahmoud Hamamdeh, residente del villaggio di Mufagara, che appare nelle vecchie fotografie, fu espulso con la sua famiglia. Nel 1999 divenne il volto della lotta: fu intervistato dai media in lingua ebraica, invitò la gente a visitare la zona ed ebbe un permesso per partecipare a una conferenza di solidarietà con le famiglie sfollate presso la Cineteca di Tel Aviv, dove apparve insieme allo scrittore David Grossman e ad altri israeliani di sinistra come Shulamit Aloni e Mossi Raz.

“Non sapevo dove saremmo andati dopo l’espulsione, ho cercato un posto dove vivere”, racconta Hamamdeh. “Ho chiesto agli abitanti del villaggio vicino, Tuwani, se potevo vivere con loro. Hanno accettato, hanno pulito una grotta vuota e l’hanno preparata per me e la mia famiglia”. Spiega che i soldati li hanno costretti a sgomberare da soli le loro case e chi si fosse rifiutato di andarsene sarebbe stato arrestato. “Per questo hanno arrestato mio fratello”, aggiunge.

Hamamdeh vive ancora a Mufagara, il villaggio dove è nato. “Nei due decenni trascorsi da quando sono state scattate queste foto, hanno distrutto la mia casa due volte”, racconta. “La casa dei vicini l’hanno distrutta più di due volte. Ho visto come i soldati hanno distrutto la moschea del villaggio e le infrastrutture elettriche, e ho visto come i coloni hanno stabilito due avamposti vicino al mio villaggio – Avigail e Havat Ma’on – che hanno ricevuto tutte le infrastrutture necessarie”.

“Non è cambiato nulla, se non che ora, nella mia vecchiaia, ho i capelli bianchi. La minaccia di espulsione, il ritorno di quegli stessi eventi, è solo questione di tempo”.

In collaborazione con Local Call

Basil Adraa è un attivista, giornalista e fotografo del villaggio di a-Tuwani, nelle colline meridionali di Hebron.

https://www.972mag.com/photos-masafer-yatta-expulsion/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

.

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Archivi

Fai una donazione

Fai una donazione tramite Paypal alla nostra associazione:

Fai una donazione ad Asso Pace Palestina

Oppure versate il vostro contributo ad
AssoPace Palestina
Banca BPER Banca S.p.A
IBAN: IT 93M0538774610000035162686

il 5X1000 ad Assopace Palestina

Il prossimo viaggio