Perché Huwara

di Oren Ziv,

+972 Magazine Landline, 10 marzo 2023. 

Veduta aerea di un cortile dove sono state incendiate tutte le auto durante la notte, nella città palestinese di Huwara, vicino a Nablus, nella Cisgiordania occupata. [Ronaldo Schemidt/AFP]

Il pogrom di Huwara del 26 febbraio, in cui centinaia di coloni israeliani hanno ucciso un palestinese, ne hanno feriti dozzine e incendiato case e auto, ha ricevuto molta attenzione in tutto il mondo. Benché la violenza dei coloni sia all’ordine del giorno nella Cisgiordania occupata, questo attacco in particolare è diventato un evento determinante.

Stando alle informazioni raccolte da +972 e Local Call, sembra che il pogrom sia stato pianificato in anticipo, da circa 400 coloni che si sono organizzati in gruppi più piccoli (la maggior parte mascherati, molti armati) in modo da scatenarsi in giro per la città e causare quanti più danni possibile. I soldati israeliani, per la maggior parte, fiancheggiavano i coloni, e in molti casi hanno lanciato gas lacrimogeni contro gli abitanti palestinesi che cercavano di proteggere le loro case e famiglie.

Nei giorni successivi all’attacco, i palestinesi le cui proprietà sono state seriamente danneggiate hanno protestato perché le autorità israeliane non sono andate in loco a raccogliere prove o testimonianze. Nel frattempo solo otto coloni sono stati arrestati, due dei quali sono stati messi in detenzione amministrativa.

Huwara è poche miglia a sud di Nablus e si trova nella cosiddetta area B, dove cioè l’esercito israeliano si occupa della sicurezza e l’autorità palestinese dell’amministrazione civile. È uno dei pochissimi posti in Cisgiordania in cui i coloni e i palestinesi si servono della stessa strada – la Route 60 – che passa proprio attraverso la città. Così era per molte strade della Cisgiordania prima degli accordi di Oslo, dopo i quali il governo israeliano ha cominciato a costruire strade riservate ai soli coloni.

Huwara si trova ai piedi delle colline in cui vivono alcuni tra i coloni più estremisti della Cisgiordania: Yitzhar, Har Bracha e Givat Ronen; questo l’ha trasformata in un bersaglio perfetto per la cosiddetta “Hilltop Youth” (la gioventù delle colline). Hassan, 70 anni, un abitante di Huwara, mi ha detto che la città viene attaccata ogni volta che un colono viene ucciso in una zona qualsiasi della Cisgiordania, o che un razzo viene lanciato da Gaza. “Qualsiasi cosa succeda, noi ne paghiamo il prezzo”, ha detto.

I coloni hanno anche cominciato a rimuovere le bandiere palestinesi che erano appese nei negozi, ai pali dell’elettricità e ai cartelli della città, e i soldati hanno continuato l’opera. Questo ha provocato la reazione dei palestinesi: ci sono stati attacchi contro coloni e soldati e lanci di pietre contro veicoli israeliani di passaggio.

In questo clima di tensione, gli scontri sono aumentati nel corso dell’ultimo anno. Lo scorso ottobre ero a Huwara quando un gruppo di circa quindici coloni è arrivato in città – a quanto pare in risposta al lancio di una pietra contro una macchina israeliana – e ha cominciato ad attaccare persone e negozi, davanti agli occhi dei soldati immobili. Lanci di pietre, spray al peperoncino, persino un colono con un’ascia: l’attacco è andato avanti per diversi minuti, finché è arrivata una pattuglia della polizia israeliana. Le forze di sicurezza israeliane hanno inoltre impedito a paramedici e vigili del fuoco palestinesi di intervenire in aiuto delle vittime.

Tornando al pogrom del 26 febbraio: l’entità dei danni, la vista di centinaia di auto e case bruciate, la sostanziale impunità dei responsabili e le massicce proteste contro il governo in Israele lo hanno trasformato in un simbolo. A Tel Aviv e Gerusalemme, i manifestanti che sfilavano contro il colpo di stato giudiziario del governo hanno urlato “Dov’eravate a Huwara?”.

Eppure, malgrado questo, la violenza dei coloni e dell’esercito è ancora la norma nelle città della Cisgiordania. Il sabato prima del pogrom, coloni provenienti dall’insediamento di Givat Ronen hanno bruciato auto palestinesi e lanciato pietre nel vicino villaggio di Burin – di nuovo davanti a soldati inerti. La scorsa settimana, la vigilia della festività di Purim, mentre i soldati ballavano insieme ad alcuni coloni a Huwara, altri rompevano il parabrezza di un’auto palestinese e ferivano una bambina di due anni.

È facile focalizzarsi sulla violenza dei coloni e ignorare quella dell’esercito – a Jenin, a Nablus, e ogni volta che aiutano, attivamente o passivamente, i coloni armati. Dall’inizio di quest’anno solare, soldati e coloni hanno ucciso almeno 75 palestinesi in Cisgiordania, il più alto numero in un così breve lasso di tempo dal 2000. Circa il 78% di questi omicidi sono avvenuti in occasione di raid dell’esercito all’interno di città palestinesi, più che in reazione a proteste o attacchi dei palestinesi. I manifestanti israeliani avranno mai il coraggio di intonare lo slogan “Dove eravate a Jenin?”.

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Traduzione di Marta Bianchin – AssoPacePalestina

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