di Patrick Kingsley,
The New York Times, 10 marzo 2023.
Israele sperava da tempo di isolare l’Iran e sigillare i legami con l’Arabia Saudita. Il disgelo tra Riyadh e Teheran ha complicato questo obiettivo – ed è stato percepito come politicamente dannoso per il primo ministro.
GERUSALEMME – Per anni i leader israeliani hanno considerato l’Iran una minaccia esistenziale, hanno visto l’Arabia Saudita come un potenziale partner e hanno sperato che i timori condivisi nei confronti di Teheran potessero aiutare a stringere per la prima volta relazioni formali con Riyadh.
La notizia, giunta venerdì, di un riavvicinamento tra l’Iran e l’Arabia Saudita è stata quindi accolta in Israele con sorpresa, ansia e autoanalisi. Ha aggravato, inoltre, una preesistente sensazione di pericolo nazionale, provocata dalle profonde divisioni interne sulle politiche del governo guidato dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu. E sembra che abbia colto di sorpresa Netanyahu – che da tempo si presenta come il leader israeliano più qualificato per combattere l’Iran e più capace di affascinare l’Arabia Saudita.
L’annuncio ha minato le speranze israeliane di formare un’alleanza di sicurezza regionale contro l’Iran. Ha suggerito che, sebbene altri Paesi del Medio Oriente possano vedere l’Iran come una minaccia, non vedono grandi vantaggi nell’isolare e contrastare Teheran nella misura in cui lo fa Israele. Israele vede l’Iran e il suo programma di armi nucleari come un pericolo per la sua stessa sopravvivenza. Ma la decisione saudita ha ricordato che i vicini dell’Iran nel Golfo Persico vedono Teheran come un vicino fastidioso, ma con cui bisogna dialogare.
Queste riflessioni hanno anche innescato un esame di coscienza sulla crisi interna di Israele. Gli israeliani sono attualmente dilaniati e divisi da una controversa proposta del governo di aumentare il suo controllo sul sistema giudiziario. Per i politici del governo e dell’opposizione, la notizia della mossa sudita sottolinea come l’agitazione interna rischi di distrarre il Paese da preoccupazioni più urgenti, come la minaccia dell’Iran.
Per Netanyahu, la notizia è stata percepita come particolarmente dannosa. Per anni, i suoi due principali obiettivi di politica estera sono stati l’isolamento dell’Iran e la normalizzazione dei legami con l’Arabia Saudita, che non ha mai riconosciuto Israele. Sebbene gli analisti concordino sul fatto che la tempistica della decisione saudita abbia poco a che fare con Netanyahu, che è rientrato in carica a dicembre, la notizia ha comunque fornito ai suoi avversari la possibilità di presentarlo come debole in politica estera.
“L’accordo tra l’Arabia Saudita e l’Iran è un fallimento completo e pericoloso della politica estera del governo israeliano”, ha dichiarato Yair Lapid, leader dell’opposizione, in un post sui social media. “Questo è ciò che accade quando si ha a che fare con impazzimenti legali tutto il giorno, invece di fare il proprio lavoro”.
Netanyahu, che attualmente si trova in Italia, non ha rilasciato immediatamente una dichiarazione formale e il suo ufficio ha ignorato le richieste di commento. Ma un anonimo funzionario israeliano di alto livello, citato nei notiziari israeliani e che si presume sia Netanyahu stesso, ha informato i giornalisti che viaggiavano con il Primo Ministro che l’amministrazione di Lapid, che ha lasciato l’incarico a dicembre, era quella da biasimare per il disgelo iraniano-saudita.
Al di là della retorica politica, tuttavia, alcuni esperti israeliani di affari iraniani e del Golfo Persico hanno detto che la notizia non è del tutto disastrosa per gli interessi israeliani, o del tutto inaspettata. Da tempo si sapeva che Riyadh stava negoziando con Teheran.
L’Arabia Saudita e Israele non hanno mai avuto legami formali, a causa delle riserve saudite a riconoscere Israele prima di una risoluzione del conflitto israelo-palestinese.
Nel 2020, Israele ha normalizzato le relazioni con altri tre Paesi arabi – Bahrein, Marocco ed Emirati Arabi Uniti – in quanto i leader di questi Stati hanno ritenuto che i benefici economici, tecnologici e militari derivanti da una relazione con Israele fossero più importanti della solidarietà con i Palestinesi.
Mentre l’annuncio di venerdì ha suggerito che Riyadh non si è affrettata a seguire l’esempio degli altri paesi arabi, i funzionari sauditi hanno comunque discusso tranquillamente con le controparti americane sulle loro condizioni per una futura normalizzazione con Israele.
Le relazioni saudite con Iran e Israele non si escludono a vicenda, ha detto Sima Shine, esperta di Iran ed ex funzionario senior del Mossad, l’agenzia di intelligence estera israeliana.
Anche gli Emirati Arabi Uniti hanno riavviato relazioni formali con l’Iran lo scorso anno, anche se hanno approfondito i loro legami militari e commerciali con Israele. E nonostante il ristabilimento di raporti sauditi-iraniani, l’Iran rimane una minaccia per l’Arabia Saudita. Riyadh potrebbe vedere una partnership più stretta con Israele, in particolare sulle questioni militari e di cybersicurezza, come un altro modo per attenuare questa minaccia.
“Non credo che sia una cosa così terribile per Israele”, ha detto Sima Shine. “In un certo senso, migliora anche la possibilità di una sorta di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita”, ha aggiunto.
Ma per altri analisti israeliani, la riformulazione dei legami sauditi-iraniani potrebbe impedire la nascita di un rapporto saudita-israeliano più formale, anche se accelera tali relazioni in privato.
“L’Iran e l’Arabia Saudita continueranno ad essere rivali e l’Arabia Saudita e Israele continueranno a cooperare attivamente contro l’Iran”, ha detto Yoel Guzansky, esperto di Golfo Persico presso l’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale, un gruppo di ricerca israeliano. “Ma il recente annuncio potrebbe influenzare i lati più pubblici della normalizzazione” con Israele, ha detto Guzansky.
E in termini simbolici, la decisione saudita è stata innegabilmente un colpo per Israele, ha detto Guzansky.
“Manda il messaggio che Israele è solo nella regione a combattere l’Iran”, ha detto Guzansky, che si è occupato di questioni iraniane quando era un alto funzionario del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Israele. “E che i Paesi del Golfo si stanno avvicinando all’Iran”.
Il fatto che ciò sia accaduto sotto la guida di Netanyahu ha esposto quest’ultimo alle critiche fin da venerdì e ha minato la sua reputazione di stabilità e di abilità in politica estera. Per anni, si è presentato come il politico più capace di proteggere Israele dalla minaccia dell’Iran e del suo programma nucleare.
Negli ultimi mesi, ha anche ripetutamente suggerito che potrebbe supervisionare una normalizzazione delle relazioni israelo-saudite. Poche ore prima dell’annuncio di venerdì, aveva parlato in Italia della possibilità di costruire una linea ferroviaria tra Israele e l’Arabia Saudita.
I suoi oppositori hanno colto la rara occasione di intaccare le sue credenziali in politica estera.
“Netanyahu aveva promesso: pace con l’Arabia Saudita”, ha scritto su Twitter Gideon Saar, un parlamentare dell’opposizione. “Alla fine l’hanno fatta… con l’Iran. Lui è in un altro girone”.
Separatamente, analisti e politici di ogni estrazione hanno detto che la notizia sottolinea come gli israeliani debbano risolvere rapidamente la crisi interna sul futuro del sistema giudiziario israeliano, per concentrarsi su preoccupazioni più pressanti come l’Iran.
Combattere l’Iran è “complicato”, ha scritto Tamir Hayman, ex direttore dell’intelligence militare israeliana. “Richiede attenzione. Purtroppo, al momento questa attenzione è concentrata verso l’interno”.
Dall’inizio di gennaio, gli israeliani sono bloccati in un’aspra disputa sui piani del governo di limitare l’influenza della Corte Suprema e di espandere il controllo del governo sulla scelta dei giudici.
Il dibattito ha consumato sia il governo che i suoi critici, scatenando proteste di massa settimanali, agitazioni nell’esercito, l’inizio di una fuga di capitali e mettendo a dura prova le relazioni di Israele con Washington e con gli ebrei americani.
Le notizie sull’Arabia Saudita hanno spinto anche i sostenitori di Netanyahu a chiedere una modifica delle priorità.
“Il mondo non si ferma mentre noi siamo impegnati qui in lotte di potere e scontri”, ha detto Yuli Edelstein, un parlamentare di alto livello del partito di Netanyahu.
“È giunto il momento di sedersi, parlare e risolvere le nostre differenze, per unirci e combattere la minaccia alla nostra stessa esistenza”, ha aggiunto Edelstein.
Jonathan Rosen e Hiba Yazbek hanno contribuito alla stesura dell’articolo.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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