La (il)legalità dell’occupazione prolungata dei Territori Palestinesi da parte di Israele: Prospettive che emergono dai rapporti della Relatrice Speciale e della Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite del settembre 2022

di Vito Todeschini,  

OpinioJuris, 7 marzo 2023.   

Introduzione

Nel settembre 2022, la Commissione d’Inchiesta Internazionale Indipendente (COI) delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est e Israele, e la Relatrice Speciale (SR) delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi occupati dal 1967 Francesca Albanese, hanno pubblicato i loro rapporti (qui e qui) prima della 77a sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove sono stati successivamente presentati.

Entrambi i rapporti si sono concentrati su una questione spesso trascurata che riguarda l’occupazione prolungata del territorio palestinese da parte di Israele: la sua legalità. Nella sua valutazione, la COI si è basata principalmente sul diritto internazionale umanitario (DIU) e sul divieto di acquisizione territoriale con la forza, mentre la RS ha basato la sua analisi sul diritto di autodeterminazione, soprattutto sullo sfondo del colonialismo e delle lotte anticoloniali. Nonostante i diversi approcci, entrambi sono giunti alla stessa conclusione: l’occupazione prolungata di Israele del territorio palestinese, in particolare della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e della Striscia di Gaza, è illegittima e deve cessare immediatamente.

In seguito a una delle raccomandazioni della COI, il 30 dicembre 2022 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la richiesta del Comitato Speciale Politico e di Decolonizzazione di un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) sulle seguenti questioni (par. 18):

(a) Quali sono le conseguenze legali derivanti dalla continua violazione da parte di Israele del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, dalla sua prolungata occupazione, insediamento e annessione del territorio palestinese occupato dal 1967, comprese le misure volte ad alterare la composizione demografica, il carattere e lo status della Città Santa di Gerusalemme, e dall’adozione di leggi e misure discriminatorie correlate?

(b) In che modo le politiche e le pratiche di Israele di cui al paragrafo 18 (a) di cui sopra influiscono sullo status giuridico dell’occupazione e quali sono le conseguenze giuridiche che ne derivano per tutti gli Stati e le Nazioni Unite?

La CIG è stata così investita della questione della legalità dell’occupazione israeliana del Territorio Palestinese (per un’analisi della portata e dei possibili effetti giuridici del parere consultivo, si vedano Diakonia e Susan Power).

Questo post analizzerà più in dettaglio le argomentazioni della COI e della SR, in quanto elementi indispensabili per la futura analisi della CIG. Aggiungerà inoltre alcune osservazioni sull’utilità di utilizzare lo jus ad bellum (la legge sull’uso della forza) come ulteriore regime giuridico per valutare la legalità dell’occupazione prolungata del territorio palestinese da parte di Israele.

Un’occupazione perpetua

È ormai assodato che il Territorio Palestinese, che comprende la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza, è sotto l’occupazione belligerante di Israele, alla quale si applicano sia il Diritto Internazionale Umanitario (IHL) con particolare riferimento al diritto di occupazione, sia il diritto internazionale dei diritti umani. Secondo il diritto internazionale umanitario, l’occupazione belligerante è intesa come temporanea; tuttavia, tale regime giuridico non stabilisce una data di fine per le occupazioni, ma si preoccupa piuttosto di porre dei limiti all’uso del territorio occupato da parte della potenza occupante e di proteggere la popolazione civile. Sebbene il diritto internazionale umanitario non vieti formalmente il prolungamento di un’occupazione belligerante, un principio essenziale è che una Potenza Occupante non può attuare misure – de jure o de facto – che rendano l’occupazione permanente.

In un rapporto del 2017, l’ex Relatore Speciale Michael Lynk, ha descritto tali misure come una “linea rossa” che, una volta superata, renderebbe illegale l’occupazione. A suo avviso, perpetuando l’occupazione e attuando modifiche al territorio occupato, tra cui la costruzione di insediamenti, l’esproprio di terre e lo sfruttamento di risorse naturali, nonché la presunta annessione de jure di Gerusalemme Est, Israele ha superato tale linea (par. 65). Nel suo rapporto del settembre 2022, la COI è giunta a una conclusione simile:

La Commissione ritiene che vi siano ragionevoli motivi per concludere che l’occupazione israeliana del territorio palestinese sia ora illegale ai sensi del diritto internazionale a causa della sua permanenza e delle azioni intraprese da Israele per annettere parti del territorio de facto e de jure. … Israele tratta l’occupazione come un’entità permanente e ha – a tutti gli effetti – annesso parti della Cisgiordania, cercando di nascondersi dietro una presunta temporaneità (par. 75-76).

Come l’ex Relatore Speciale, la COI ha basato la sua conclusione su:

(i) le misure legali con cui Israele ha preteso di annettere formalmente Gerusalemme Est (par. 14-16);

(ii) la creazione di insediamenti e avamposti in Cisgiordania e il relativo sfruttamento delle risorse naturali, la costruzione di strade e infrastrutture riservate ai coloni, le misure di ingegneria demografica e l’applicazione extraterritoriale del diritto nazionale israeliano agli insediamenti e ai coloni (par. 24-47); e

(iii) le dichiarazioni inequivocabili dei funzionari israeliani sull’intenzione di appropriarsi permanentemente di porzioni della Cisgiordania (par. 48-53).

L’importanza del rapporto della COI sta nel fatto che ha considerato la violazione da parte di Israele di norme vincolanti del diritto internazionale non in modo isolato, ma nel contesto del sistema che le genera, ossia un’occupazione che si autoperpetua. Così facendo, la COI ha valutato tale sistema e ha raggiunto l’inevitabile conclusione che, a causa del suo carattere perpetuo e annessionistico, l’occupazione prolungata di Israele del territorio palestinese è di per sé illegale e, pertanto, deve cessare immediatamente.

In particolare, dall’esame del rapporto risulta che la COI ha considerato l’illegalità come una conseguenza del comportamento illecito di Israele nel contesto di un’occupazione altrimenti legittima. In altre parole, se Israele avesse rispettato la legge sull’occupazione, la legge internazionale sui diritti umani e il divieto di acquisizione territoriale con la forza, l’occupazione non sarebbe stata illegale. Tuttavia, ricorrendo a un ulteriore regime giuridico per analizzare la situazione – lo jus ad bellum – sarebbe possibile valutare la legalità dell’occupazione fin dal suo inizio. Infatti, lo jus ad bellum permette di valutare se l’uso effettivo della forza che è culminato nell’occupazione del territorio palestinese durante la guerra del 1967, e nel suo mantenimento da allora, sia stato esso stesso legittimo.

Sebbene un esame completo della questione esuli dagli scopi di questo contributo (per un’analisi più approfondita, si veda l’articolo di Ralph Wilde e il mio contributo in un libro di prossima pubblicazione), è sufficiente osservare che, in base allo jus ad bellum, Israele pretende di giustificare l’occupazione del territorio palestinese sulla base della legittima difesa. Come è noto, secondo la legge dell’autodifesa uno Stato può usare la forza armata per respingere un attacco armato, a condizione che tale uso della forza rispetti i principi di necessità e proporzionalità. Ciò comprende i casi in cui un attacco armato è imminente, cioè sta per verificarsi (si veda l’ulteriore discussione sul concetto di “imminenza”). Dal punto di vista dello jus ad bellum, la valutazione della Corte Internazionale di Giustizia sulla legalità dell’occupazione israeliana del territorio palestinese richiederebbe di esaminare se le condizioni di un legittimo esercizio dell’autodifesa esistevano (i) nel momento in cui l’occupazione è stata stabilita durante la guerra del 1967 e (ii) per tutta la sua successiva continuazione fino ad oggi.

In primo luogo, la CIG dovrebbe valutare se, nel contesto della guerra del 1967, l’occupazione iniziale del Territorio Palestinese da parte di Israele fosse una misura necessaria e proporzionata per respingere un attacco armato in corso o imminente da parte di Egitto, Giordania e Siria (le altre parti in conflitto). Sebbene sia proprio questa la tesi di Israele, alcuni studiosi hanno contestato questa tesi.

In secondo luogo, se l’occupazione iniziale fosse ritenuta legittima in base alla legge dell’autodifesa, la CIG dovrebbe verificare se, dopo la vittoria militare di Israele nella guerra del 1967, il mantenimento dell’occupazione soddisfi le condizioni richieste dallo stesso regime giuridico. Come ampiamente discusso da Wilde, non si può dire che la continua occupazione del territorio palestinese da parte di Israele soddisfi il test di legalità secondo la legge dell’autodifesa, in particolare perché non si può sostenere che tale occupazione sia necessaria per respingere un attacco armato reale o imminente. Christine Gray ha anche osservato che, secondo la prassi statale, le occupazioni prolungate sono considerate non necessarie e sproporzionate in termini di autodifesa.

L’impiego dello jus ad bellum per indagare sull’uso della forza alla base dell’istituzione e del mantenimento dell’occupazione prolungata del territorio palestinese da parte di Israele è quindi utile per valutarne la legalità. Ciò fornirebbe infatti alla CIG l’opportunità di considerare (i) se l’occupazione sia stata legittimamente istituita in base alla legge dell’autodifesa e sia poi divenuta illegale una volta terminata la guerra del 1967, oppure (ii) se sia sempre stata illegale sin dal suo inizio.

L’occupazione israeliana come impresa coloniale d’insediamento

Analogamente alla COI, la Relatrice Speciale (SR) ha ritenuto illegittima l’occupazione israeliana del territorio palestinese, ma sulla base di un regime giuridico diverso, ossia il diritto all’autodeterminazione. Il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione è stato a lungo riconosciuto, tra l’altro, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ad esempio, Risoluzione 3236 (XXIX) (1974)), dalla Corte Internazionale di Giustizia (parere consultivo sul Muro, paragrafi 118 e 149) e dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (ad esempio, Risoluzione 49/28). Sebbene l’autodeterminazione sia legata alla creazione di uno Stato indipendente sul territorio palestinese, questo diritto spetta al popolo palestinese nel suo complesso, che comprende non solo i palestinesi che vivono in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e nella Striscia di Gaza, ma anche i cittadini palestinesi di Israele e i rifugiati palestinesi che vivono in Paesi terzi. È inoltre generalmente riconosciuto che l’occupazione prolungata del territorio palestinese da parte di Israele è incompatibile con la realizzazione di tale diritto, poiché impedisce il godimento dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali dei palestinesi.

La particolare rilevanza dell’analisi della SR sta nel fatto che, invece di limitarsi a ribadire questo diritto e ad analizzare le conseguenze legali che derivano dalla sua violazione, ha ricollocato la questione dell’autodeterminazione palestinese al suo posto – la lotta contro il colonialismo – guardando così alle cause profonde della negazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. In questo modo, la SR ha riconosciuto un punto che i palestinesi hanno sostenuto per decenni (ad esempio, Sayegh), ovvero che l’occupazione israeliana del territorio palestinese è di natura coloniale e costituisce, nello specifico, un’espressione del cosiddetto colonialismo d’insediamento (cfr. Muhareb & Clancy; Al Haq):

Il colonialismo si caratterizza come “d’insediamento” quando è guidato anche dalla logica dell’eliminazione del carattere indigeno della terra colonizzata. Ciò si manifesta con la creazione e la promozione di colonie, cioè di insediamenti di persone straniere impiantate tra la popolazione indigena con l’obiettivo di soggiogare ed espropriare gli indigeni e di “assicurarsi permanentemente” il controllo di specifiche aree. La violazione del diritto dei popoli all’autodeterminazione è insita nel colonialismo d’insediamento. Rapporto SR, par. 13.

In questo senso, l’impresa di insediamento in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, deve essere intesa non solo come una violazione degli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani, o come una grave violazione dell’articolo 49(6) della Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta alla Potenza occupante di trasferire la propria popolazione nel territorio occupato, e che costituisce un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma. Invece, l’impresa di insediamento, che Israele ha dichiarato essere un “valore nazionale” ai sensi della Legge fondamentale dello Stato-Nazione ebraico del 2018, dovrebbe essere interpretata come un’impresa d’insediamento coloniale, che “impedisce la realizzazione del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione” e persegue intenzionalmente “la ‘de-palestinizzazione’ del territorio occupato” (ibid., paragrafi 35-36). Alla luce di ciò, la SR ha chiesto un “cambiamento di paradigma” nella valutazione dell’occupazione israeliana del territorio palestinese, riconoscendo la sua essenza di “regime intenzionalmente acquisitivo, segregazionista e repressivo”. La sua conclusione è che l’occupazione israeliana, in quanto tale, “comporta un uso illegale della forza e quindi può essere vista come un atto di aggressione”, che richiede la sua immediata cessazione e l’erogazione di riparazioni (ibid., par. 72).

I risultati e le conclusioni della SR sono notevoli sotto diversi aspetti. In primo luogo, l’analisi della SR considera l’occupazione del territorio palestinese come un sistema di oppressione, rispetto al quale le molteplici violazioni del diritto internazionale da parte di Israele costituiscono il modo in cui l’impresa di insediamento coloniale prende forma e influisce negativamente sulla vita dei palestinesi. Negli ultimi anni, sforzi analitici simili sono stati intrapresi utilizzando l’apartheid come quadro di riferimento. A questo proposito, la SR ha osservato che l’apartheid può essere utile per affrontare l’occupazione israeliana del territorio palestinese solo se si affronta anche la questione dell’illegalità dell’occupazione stessa e dell’insediamento coloniale che produce le pratiche di apartheid (par. 9-11). Infatti, come molti studiosi palestinesi e attivisti della società civile hanno sottolineato, l’apartheid non è che una manifestazione del colonialismo d’insediamento (ad es., Tatour; Erakat; Asaad & Muhareb; Al Haq).

In secondo luogo, e in relazione al punto precedente, il rapporto della SR è cruciale in quanto inquadra l’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, e di conseguenza la valutazione della legalità della prolungata occupazione del territorio palestinese da parte di Israele, nel contesto del colonialismo e delle lotte anticoloniali: “[n]essuna soluzione può essere giusta ed equa, né efficace, se non è incentrata sulla decolonizzazione” (Rapporto SR, par. 74). In questo modo, l’autodeterminazione palestinese viene correttamente storicizzata e contestualizzata all’interno della lotta contro il colonialismo. Non solo: la SR ricollega anche la prolungata occupazione e l’impresa di insediamento di Israele alla storia della Palestina moderna, affermando che “l’intento di colonizzare il territorio palestinese occupato” dal 1967 è una continuazione di “ciò che il movimento sionista aveva previsto per l’odierno Israele più di un secolo fa” (ibid., par. 35-36).

In terzo luogo, l’utilizzo del diritto all’autodeterminazione come quadro di riferimento per analizzare la prolungata occupazione del territorio palestinese da parte di Israele è un modo per mettere in primo piano il popolo palestinese e riconoscere la sua capacità di agire nel processo di liberazione. Invece di alimentare il discorso che vede Israele come agente (colui che viola i diritti) e i palestinesi come oggetto (le vittime delle violazioni), il rapporto della SR riporta al centro della scena il detentore dei diritti. Questo tentativo è ulteriormente rafforzato dall’uso da parte della SR del quadro del colonialismo d’insediamento per interpretare l’occupazione prolungata del territorio palestinese da parte di Israele, un approccio che gli studiosi e la società civile palestinese hanno da tempo elaborato e sostenuto. Ciò contribuisce a far emergere la narrazione palestinese all’interno del discorso principale sulla questione della Palestina, anche all’ONU, dove tale narrazione è spesso messa in disparte o messa a tacere.

Conclusione

L’importanza dei risultati della COI e della SR non può essere sopravvalutata e sarà certamente preziosa per la deliberazione della CIG sulla questione della legalità della prolungata occupazione israeliana del territorio palestinese. L’ulteriore merito del rapporto della SR è quello di spingersi oltre, determinando l’illegalità della stessa forza motrice che sta alla base dell’istituzione e del mantenimento dell’occupazione, ovvero il colonialismo d’insediamento e il suo tentativo di cancellare il popolo palestinese. Si tratta di un punto giuridico che dovrebbe assolutamente essere preso in considerazione dalla CIG nel suo parere consultivo. Infatti, analogamente a un’analisi che tenga conto dello jus ad bellum, considerare la legge dell’autodeterminazione e il divieto di colonialismo permette di valutare la legalità dell’occupazione prolungata di Israele del territorio palestinese fin dal suo inizio, e non solo in base al passare del tempo o all’adozione di misure illegali successive alla sua istituzione.

Infine, dato che il mandato della SR è circoscritto ai territori palestinesi occupati, il suo esame non può formalmente riguardare Israele propriamente detto o il periodo precedente al 1967. Il mandato della COI, invece, non ha questi limiti. Si spera che la COI accolga la raccomandazione della SR di “indagare sullo status del diritto all’autodeterminazione e sulle iniziative coloniali israeliane in modo più approfondito di quanto non consentano le limitazioni territoriali e geografiche del suo mandato”.

Vito Todeschini  è un esperto legale che si occupa di diritti umani e responsabilità nel contesto di Palestina/Israele e della regione MENA.

http://opiniojuris.org/2023/03/07/the-illegality-of-israels-prolonged-occupation-of-the-palestinian-territory-perspectives-from-the-un-special-rapporteur-and-commission-of-inquirys-september-2022-reports/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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