di Nimer Sultany,
The Guardian, 28 febbraio 2023.
Non è un caso che l’esercito israeliano non abbia fermato la violenza a Huwara: questa intimidazione è la chiave del modo in cui lo stato governa il mio popolo.
Centinaia di coloni israeliani sono scesi domenica sera nella città palestinese di Huwara, vicino a Nablus, in Cisgiordania. Hanno aggredito i civili palestinesi, ne hanno ucciso uno e hanno dato fuoco a decine di edifici e automobili. Questa furia si è verificata in uno dei territori più militarizzati del mondo. Eppure, visto che la cosa riguardava noi, l’esercito israeliano, il più forte del Medio Oriente, non si è fatto vivo.
Assistendo a una furia così violenta, molti osservatori tornano a invocare il “ritorno alla calma” in Palestina. Ma questi flebili appelli non sono più adeguati – se mai lo sono stati. Non si può ignorare la natura ricorrente della violenza dei coloni e il fatto che essa rappresenta un pilastro del dominio di Israele sui palestinesi. L’uso di violenza che resta impunita, l’esercito che permette questa violenza, la negazione dei diritti fondamentali: questa è l’essenza dell’ordine esistente. La furia di domenica è quindi una manifestazione dello status quo in Palestina, non un evento eccezionale o un disordine momentaneo.
Anche prima della formazione del recente gabinetto di Benjamin Netanyahu, osservatori informati avevano fatto notare che la violenza dei coloni in Cisgiordania era approvata dallo Stato. Ma questa volta i principali incendiari sono al governo. La violenza dei coloni è ora effettivamente incoraggiata da un governo in cui i coloni di estrema destra e ultra-nazionalisti sono i detentori del potere. Il governo è intenzionato ad aumentare le demolizioni di case palestinesi e ad espandere le attività di insediamento. Sta anche conducendo con mano pesante una politica vendicativa contro tutti i palestinesi.
Un esempio recente di tutto questo è la promulgazione da parte del Parlamento israeliano, con una maggioranza schiacciante, di una legge che autorizza il Ministro degli Interni a revocare la cittadinanza israeliana o lo status di residenza ai prigionieri politici condannati per reati di terrorismo che ricevono aiuti finanziari dall’Autorità Palestinese. Il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliana, che sta guidando questa campagna, è stato condannato nel 2007 da un tribunale israeliano per “incitamento al razzismo e sostegno a un’organizzazione terroristica”.
Ma l’esempio più chiaro è arrivato questa settimana. In un accordo raggiunto nella coalizione di governo, il Ministro delle Finanze, egli stesso un colono, ha ricevuto ampie responsabilità sulle questioni civili relative agli insediamenti in Cisgiordania. Il motivo per cui questo è importante è che la Cisgiordania dovrebbe essere sotto un’amministrazione militare. Il nuovo accordo normalizza invece lo status dei coloni secondo quanto previsto dalle autorità statali israeliane. I coloni saranno trattati come se fossero normali cittadini, anche se la loro stessa presenza in un territorio occupato è un crimine di guerra.
Il quotidiano israeliano Haaretz ha definito questo accordo un passo avanti verso un “apartheid a pieno titolo”. Altri l’hanno definito un atto di “annessione de jure“, contrario quindi alle regole (recentemente riaffermate nel caso dell’Ucraina) che vietano l’acquisizione di territorio con la forza.
Sebbene questa riorganizzazione burocratica del dominio israeliano sulla Cisgiordania non equivalga a un’annessione per legge – cosa che il Parlamento israeliano ha fatto nel caso di Gerusalemme Est e delle Alture del Golan – l’impatto sulla vita dei palestinesi è lo stesso. I coloni della Cisgiordania che siedono nella Corte Suprema, nel Parlamento e nel Governo stanno cercando di consolidare la supremazia ebraica su tutti i palestinesi. E questo accordo di gabinetto non fa altro che accelerare il processo di colonizzazione della Palestina. Lentamente ma inesorabilmente, si dissolverà la cortina fumogena legale dell’occupazione militare temporanea che finora ha mascherato l’espansionismo sionista.
Anche prima dell’accordo, era evidente da tempo che l’occupazione militare più lunga dalla seconda guerra mondiale non può essere considerata un’occupazione temporanea. Israele comanda su tutti i palestinesi tra il fiume e il mare, non concede loro pari diritti e nega a milioni di loro il diritto di voto. I cittadini ebrei sono sistematicamente privilegiati e tenuti a distanza dai palestinesi. La dottrina del “muro di ferro” cerca di rendere la vita dei Palestinesi sempre più miserabile, in modo che se ne vadano o accettino il loro status di inferiorità. Personaggi pubblici che hanno minacciato di fare pulizia etnica dei Palestinesi, promettendo loro una “seconda Nakba“, sono espressione del pensiero dominante in Israele.
È sufficiente invocare un ritorno alla calma dopo decenni di occupazione e annessione coloniale? In Europa orientale, una mobilitazione internazionale rapida e incondizionata ha sostenuto gli ucraini nella loro lotta contro l’occupazione e l’annessione russa. Anche i Palestinesi hanno bisogno di sostegno per resistere e ottenere i loro diritti. Invece di chiedere un ritorno allo status quo, dobbiamo ripensare radicalmente il modo in cui stanno le cose per garantire libertà e uguaglianza per tutti.
Nimer Sultany è lettore di diritto pubblico presso la Soas University di Londra. È un cittadino palestinese di Israele,
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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