di Ilan Pappé,
The Palestine Chronicle, 13 febbraio 2023.
Recentemente ho ricevuto una cortese e-mail da uno studente israeliano della mia università che mi invitava a partecipare a una conferenza di un certo Yoseph Haddad che, mi hanno informato, avrebbe raccontato al campus la meravigliosa vita di un 48enne arabo in Israele. Questo avveniva in occasione della fondazione di una nuova società studentesca all’Università di Exeter, la “Nuova società per Israele e il sionismo”. Un articolo del Jewish Chronicle si rallegrava per il fatto che nessun gruppo studentesco del campus si era opposto.
Il motivo del cortese invito era il tentativo di rappresentare la propaganda sionista come parte organica di una sana vita accademica con i suoi dibattiti, mentre l’assenza di obiezioni alla nuova società era dovuta al fatto che nessuno era a conoscenza della sua costituzione o della sua registrazione. Ma non è questo il punto.
Ciò che conta è che, sorprendentemente, la comunità anglo-ebraica che sostiene Israele e il sionismo crede davvero, in questo momento e in questa epoca, che un arabo sionista o un nuovo gruppo sionista abbiano un messaggio credibile da presentare a studenti e docenti delle università britanniche.
La sprovveduta rappresentanza studentesca ha accettato la motivazione principale per la creazione di tale società: “Crediamo che ci sia una mancanza di informazione sulle idee e i valori sionisti, di cui spesso molti studenti hanno un’idea sbagliata”.
Gli “studenti disinformati” sono studenti post-laurea in Studi sulla Palestina e sul Medio Oriente, che sanno più cose su Israele e sulla Palestina di quanto probabilmente ne sappiano i giornalisti più anziani del Jewish Chronicle. Quindi, l’aspirazione della nuova società, secondo cui “la nostra università ha ora la possibilità di fornire una piattaforma equa e solida per Israele”, arriva con circa quarant’anni di ritardo [l’istituzione di un centro di studio sulla Palestina all’Università di Exeter risale ai primi anni ’80, NdT].
Sapere quello che Israele ha fatto almeno in questi quarant’anni, quello che sta facendo oggi – e per molti di noi quello che ha fatto dal 1948 – è qualcosa di così importante ed epocale che, se si vuol avere un approccio solido e imparziale, lo si può fare solo usando lo stesso linguaggio usato da Amnesty International per descrivere Israele come uno Stato di apartheid.
A Exeter ci saranno forse tre studenti che si considerano sionisti e il conferenziere Hadad dovrà portarsi dietro il suo pubblico per diffondere la propaganda sionista nel nostro campus. Quindi, il vero scopo non è educare gli studenti o i docenti al sionismo; questi sono in realtà atti di intimidazione volti a minare il successo della solida installazione all’Università di Exeter di un programma di studi sulla Palestina raffinato e professionale e minare il successo del grande lavoro svolto dai vivaci attivisti pro-palestinesi tra i nostri studenti.
Gli studi sulla Palestina sono un’area di ricerca relativamente nuova, costruita sul successo degli studiosi palestinesi a partire dagli anni Sessanta. Si tratta di uno sforzo scientifico congiunto che dimostra come una ricerca approfondita e meticolosa può convalidare le rivendicazioni più importanti avanzate dai palestinesi nel corso degli anni, ossia che il sionismo è un movimento di insediamento coloniale, basato sull’eliminazione dei nativi e che impiega, tra gli altri mezzi, l’apartheid, per cercare di completare il progetto di rimozione e sostituzione degli abitanti iniziato alla fine del XIX secolo.
Da un punto di vista scientifico e professionale non si può sottovalutare il grande lavoro che stiamo facendo, non solo a Exeter ma in otto centri di studi sulla Palestina in tutto il mondo. È per questo che la controparte cerca di sopraffare un’impostazione morale usando la forza, il che porta a questi tentativi piuttosto patetici di intimidire, attraverso la presenza fisica, l’inevitabile produzione di conoscenza sulla Palestina.
La nostra battaglia non è ancora vinta, ma questi centri e programmi di studio continuano a espandersi e a influenzare anche altri su come ricercare, studiare e insegnare la Palestina. Tuttavia, tutto ciò ha un prezzo perché è contrastato dai tentativi di sopprimere e mettere a tacere questi risultati – e alcuni dei nostri colleghi più vulnerabili sono ancora presi di mira dalla lobby israeliana ovunque si trovino. Alcuni di loro hanno pagato con la perdita del lavoro l’esser rimasti fedeli alle loro convinzioni morali e al loro impegno nella lotta per la Palestina.
Ci sono ancora Paesi come la Germania, l’Italia e la Francia, per non parlare dei membri più recenti dell’Unione Europea, dove gli accademici non osano ancora istituire un centro per la Palestina o cercar di modificare i programmi di studio e che, pur sapendo bene che ciò che viene insegnato nelle loro università è pura propaganda, non sono in grado finora di fermare questa farsa nei loro campus. È necessario visitare e tenere conferenze il più possibile in questi luoghi per aiutare i nostri coraggiosi colleghi a resistere all’assalto verso la loro libertà di espressione e il loro lavoro accademico.
Ma la sfida più grande che abbiamo non consiste in questi tentativi di intimidazione nel nostro ambiente accademico, o nella nostra mancata diffusione a livello globale. È altrove. Mentre la quantità e la qualità della ricerca impegnata sulla Palestina sono in costante aumento, non riescono finora a incidere sulla realtà sul campo. In effetti, queste sembrano essere due traiettorie diametralmente opposte: il peggioramento delle condizioni all’interno della Palestina e una chiara e potente produzione di conoscenza al di fuori della Palestina.
Questa frustrante realtà è stata evidenziata in una recente ed eccellente conferenza sulla Palestina organizzata dall’Arab Research Centre di Doha. Una conferenza che ha portato alla ribalta alcuni brillanti giovani borsisti e accademici palestinesi che lavorano sulla Palestina. Accanto a loro, abbiamo potuto ascoltare studiosi veterani con carriere stellari in molte discipline provenienti da tutto il mondo.
L’essenza della sfida è come rendere più efficace un’impegnata borsa di studio e rendere la penna più potente della spada, almeno a volte. Non c’è nessuno che possa capire da solo come meglio farlo: è necessario uno sforzo congiunto.
L’unico vantaggio della comunità scientifica globale sulla Palestina è il suo approccio consensuale alla questione palestinese in generale; questa comunità è molto meno divisa ideologicamente o politicamente [di quanto lo sia geograficamente].
Rappresenta una visione piuttosto solida e unitaria per il futuro, senza sottovalutare il suo posto particolare e limitato in un movimento di liberazione. In quanto tale, non assume il ruolo di leadership, né gli accademici si considerano rappresentanti dei movimenti. Ma costituiscono un capitale umano che probabilmente può essere impiegato meglio per contribuire allo sforzo di decolonizzazione e liberazione.
Questo capitale umano è pronto e accessibile e quando –speriamo presto– maturerà un processo di democratizzazione, unità e rappresentanza all’interno del movimento di liberazione, si rivelerà un’enorme risorsa per la causa.
Dopo tutto, ha svolto un ruolo cruciale negli anni ’60 nell’istituzionalizzare la lotta di liberazione, che ha dato il via a un periodo molto formativo e rilevante nella lotta di liberazione fino al 1982 e, ancora una volta, è stato presente sullo sfondo della più stimolante rivolta del 1987 (anche se alcuni accademici hanno svolto involontariamente un ruolo piuttosto negativo nell’entusiasmarsi per il disastroso accordo di Oslo). Inoltre, è una parte importante della resilienza dimostrata oggi dai palestinesi dentro e fuori la Linea Verde.
Questi sono tutti spiragli di speranza che vengono dal passato, ma possono diventare molto più trasformativi e rivoluzionari in futuro, come parte della lotta che ci attende.
Ilan Pappé è professore all’Università di Exeter. In precedenza è stato docente senior di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È autore di The Ethnic Cleansing of Palestine, The Modern Middle East, A History of Modern Palestine: Una terra, due popoli e Dieci miti su Israele. Pappé è descritto come uno dei “nuovi storici” israeliani che, dopo la pubblicazione di documenti del governo britannico e israeliano all’inizio degli anni ’80, hanno riscritto la storia della fondazione di Israele nel 1948.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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