phenomenologylab.eu, 10 Gennaio 2023.
Con i vostri occhi” è l’insegna dei viaggi di conoscenza che Assopace Palestina (https://www.assopacepalestina.org/) da molti anni organizza, anche due o più volte all’anno, in quella terra tragica che ospita, insieme allo Stato di Israele, dentro e fuori dai suoi incerti e militarizzati confini, i lacerti di ciò che resta di un paese che dal 1948 vive in stato di occupazione e di apartheid, nonostante tutte le risoluzioni dell’ONU sull’illegalità di questo regime e degli insediamenti coloniali in continua espansione, e che il governo israeliano di estrema destra, appena insediato, non ha certo intenzione di limitare. (L’ultimo atto della comunità internazionale è una formale richiesta di un parere sulle conseguenze legali dell’occupazione, che l’Assemblea Generale dell’ONU ha rivolto il 30 dicembre scorso alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia: https://www.aljazeera.com/news/2022/12/31/un-seeks-icj-opinion-on-israels-illegal-occupation-of-palestine ). Il testo che segue è la presentazione di una breve serie di meditazioni che vorrei condividere sul nostro Lab, e dalle tappe di uno di questi viaggi prenderanno spunto, nella speranza che possano – magari anche attraverso commenti o discussioni – fare da scalini a una più profonda comprensione della domanda che più mi sta a cuore. E’ la domanda con cui dovrebbe aprirsi questo nuovo anno di “guerra mondiale a pezzetti”: ma come ha potuto tradire tante delle promesse in vista delle quali era nata, questa nostra civiltà moderna che ha scolpito le tavole della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani? E come ha fatto questa Unione europea, oggi di nuovo sbranata dai sovranismi, a diventare una delle parti in una guerra tutta europea, lei che era nata da parziali rinunce alle sovranità nazionali in vista della pace perpetua, e si era costruita come baluardo del diritto internazionale in questa regione del mondo?
All’inizio c’è un viaggio di conoscenza, in Palestina e Israele. Solo un inizio, certo. Ma chi diceva che all’inizio Dio ha creato il Viaggio? Una di noi, compagne di viaggio, me lo ha suggerito. E ogni inizio, se dobbiamo credere a Leibniz, è una nascita. Tollerate dunque, voi che sapete, l’ingenuità e lo stupore di una appena nata (di una nata ieri, si dice con più sufficienza): perché è così, quasi balbettando, che una ricerca comincia. Anche una ricerca di filosofia. Questa non è la prospettiva di uno storico, di un politologo, di uno studioso di geopolitica, e nemmeno quella di un attivista politico. Scrivo a mani nude, raccogliendo ricordi, immagini, e certamente informazioni a tutti accessibili, perché mai come durante questo viaggio mi sono sentita prossima alle radici del bene e del male – in noi e fuori di noi. A quelle radici così intrecciate che suggerirono a Simone Weil il suo pensiero più profondo: “il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male”. Questo intreccio dà all’etica il suo mestiere. Discernere. Distinguere. Dirimere. Quella ragazza ebrea che detestava il Dio degli eserciti bruciò la sua breve vita ardente e catara in questo mestiere della distinzione: giorno per giorno, fatto per fatto – e non con la spada di un cherubino che taglia il nodo una volta per tutte.
In ogni viaggio di scoperta, si dice, si fa anzitutto conoscenza di se stessi. Ma mai come in questo, quell’io che siamo si fa nulla, puro varco alla vista di ciò che veramente conta, non per noi in particolare ma per gli umani, la cui vita, diceva Kant, non vale più la pena d’esser vissuta dove la giustizia manchi del tutto. Ora, il mondo è pieno di posti dove di giustizia ce n’è troppo poca, ed è anche pieno di guerra. Ma questo minuscolo pezzo di terra mediterranea incastrato fra Europa, Asia e Africa mai così intensamente l’avevo sentito come un nodo: della storia mondiale ma anche del pensiero umano, e soprattutto del pensiero di questo nostro presente cieco a se stesso, come sempre è il presente quando le civiltà paiono precipitare nel sonnambulismo che precede lo schianto. La Palestina è una tragedia più che un pezzo di terra, come l’Europa era un’idea più che un continente: e quindi è un paradigma, anche, di tutto l’aspetto tragico della storia. Ma questa è una tragedia le cui proporzioni sembrano crescere di pari passo con l’indifferenza del mondo e con la nostra. Ecco: il viaggio di cui in queste pagine vorrei raccogliere i ricordi e sviluppare i pensieri è una sciabolata nel velo di questa indifferenza, che lo fende e ti lascia vedere con gli occhi e toccare con mano cosa occulta la rimozione che tutti noi abbiamo compiuto. Dell’arbitrio, della violenza, dell’ingiustizia – dell’illegalità conclamata e impunita, certo. Ma anche del filo fragile e prezioso che lega quattro generazioni di Palestinesi alla speranza, sorprendente e tenace, “che esista pure un giudice a Berlino”, cioè una giurisdizione di verità.
E vedi allora che grazia possa essere ancora, al mondo, credere nella ragione e nel diritto e impegnare tutta la propria vita – nel modo della resistenza nonviolenta – “al servizio della verità”, perché emerga dalla coltre di menzogna, pregiudizio, rimozione e indifferenza in cui l’abbiamo sepolta. E invece dovremmo inondarla di luce su tutte le ribalte del cosiddetto Occidente…dovremmo suscitare nuovi Lessing, nuove Weil, nuovi Mahmoud Darwish e nuovi Edward Said, a dire cosa sia la fiducia tradita di quelli fra gli oppressi che l’umiliazione non rende o vili o corrotti o violenti. È la bellezza umana allo stato puro, che in questa terra tragica fiorisce, e di cui avevo dimenticato l’esistenza.
Perché questa è la cosa più preziosa e commovente che impari: quando sei davvero vittima di ingiustizia, capisci che la sola cosa irreparabile dell’ingiustizia è che la verità dei fatti sia ignorata nella sua integrità. E lo è sempre, in una certa misura: io credo che sia questa la tragedia della storia, quella che oggi i filosofi dovrebbero ricominciare a studiare oggi, quando sta a zero la credibilità di tutti gli storicismi che ci hanno annebbiato la vista nel Novecento, da quelli millenaristici del Sol dell’Avvenire splendente sulle macerie del capitalismo a quelli cupi e tromboneschi del Tramonto dell’Occidente, per non parlare di quelli alla Fukuyama sulla fine della storia o quelli protervamente irrazionalisti sul necessario conflitto di civiltà, alla Huntington. Se ci pensate, tutte queste filosofie della storia hanno in comune la rimozione della dimensione etica, che è proprio quella del bene e del male. Eppure il tragico della storia non è certamente che non vi abbiano luogo beni e mali, cioè fatti carichi di valore o di disvalore morale, ma solo “narrazioni” di parte. E’ che la forza di chi vince, giusta o ingiusta che sia la sua causa, prevale nelle narrazioni, mentre la verità tutta intera scompare dalla memoria umana. “La verità fugge via spaventata dal campo dei vincitori”, scriveva quella ragazza ebrea che detestava il Dio degli eserciti.
E’ questa la tragedia per cui ogni umana religione ha sognato un aldilà: una redenzione, certo. Ricordo un taxista palestinese a Gerusalemme, che alla domanda se ci fosse oggi speranza di miglioramento della condizione palestinese mi rispose: “in cielo tutte le cose sono rovesciate”: proprio così, al presente. In cielo. Ma forse ogni religione ha sognato soprattutto un’apocalisse. Cioè una “rivelazione”: che tutti sappiano tutta la verità delle cose avvenute. Lo disse un tempo una donna semplice e limpidissima, che era stata vittima di un singolo fatto della nostra storia, la vedova dell’anarchico milanese Pino Pinelli: “Giustizia è che tutti sappiano la verità”. Ogni mente umana onesta l’ha sentito: l’esatta conoscenza e il pieno riconoscimento dei torti e delle ragioni, di tutti i torti e tutte le ragioni, è già giustizia (e il resto è secondario, punizione e risarcimento non entrano neppure nel senso della parola “rivelazione”, e negli affreschi del Giudizio Universale Inferno e Paradiso non sono che la scenografia della visione del vero, “che tutti possano vedere”). E’ ancora Simone Weil che lo dice: “la giustizia è nel suo nucleo è: verità”. Ma io l’ho ritrovato scritto, questo pensiero, sul muro della piccola corte interna di un edificio fra i più antichi di Beit Sahour, un borgo vicinissimo a Betlemme, che ospita ora un locale molto accogliente, The Citadel, nel 2019 divenuto sede di un centro culturale che ha il nome laico della rivelazione cognitiva: Esserci (https://www.ffippeu.com/newsfeed1039281fhsrh/2021/3/17/the-citadel-a-cultural-and-educational-space-in-beit-sahour ). Essere lì, con i propri occhi. Era scritto in arabo e in inglese:
Vedere per credere – con i propri occhi. E allora non mi resta che presentarvi la persona al cui felice incontro debbo questo piccolo inizio di ricerca, in cui il principio fenomenologico di evidenza, cioè il metodo della cognizione diretta, “con i propri occhi”, si apre a un patrimonio inestimabile di esperienza e di vita. Luisa Morgantini, fondatrice di Assopace Palestina e delle Donne in Nero italiane, è stata per dieci anni parlamentare europea, anche Vice-Presidente del Parlamento, e impegnata per l’Europa in tutte le battaglie in difesa dei diritti umani calpestati, nel mondo e non solo in Palestina. Dove ha finito per lasciare il cuore, dopo aver a lungo presieduto la Delegazione del Parlamento europeo per i rapporti con il Consiglio legislativo palestinese. Ma per me Luisa è il ricordo vivente dell’Idea di Europa, la fiammella che me la tiene viva. E chi proprio non la potrà incontrare, più ne scoprirà leggendo un suo piccolo libro, Oltre la danza macabra – no alla guerra, no al terrorismo (Roma, 2004). Cito dalla Prefazione di Dacia Maraini: “un libro scritto coi sensi”. Un libro straripante di senso.
E se ripenso alle discussioni, magari anche appassionate, più spesso ossessionate di slogan, che ci contrappongono gli uni agli altri anche dentro una stessa famiglia o una cerchia di amici, in questi tempi di grandi sconvolgimenti storici, di pesti e guerra nel cuore dell’Europa, e anche di disperato bisogno di rinnovamento del pensiero politico e pratico, sempre più mi convinco che Luisa è una fenomenologa nata, anche se divorata dall’amore del mondo, degli oppressi, e della bellezza. E che il tempo è venuto anche per noi di capire meglio la serietà dei nostri maestri – di quel grande uomo d’azione che fu Leibniz, ad esempio, il quale negli intervalli di riposo rinnovò il pensiero di quasi tutte le scienze. “Spesso si ragiona con le parole senza quasi avere l’oggetto davanti alla mente. Ora una conoscenza siffatta non ha efficacia, a commuovere occorre qualcosa di vivo”. Così scriveva, e chiamava “pensieri sordi e ciechi, privi, cioè, di percezione e pensiero” questo modo di usare le parole (Nuovi saggi sull’intelletto umano, §35).
Forse è solo l’impatto con la forza irrazionale e il male incomprensibile che può bucare la cecità e sordità dei nostri pensieri. Forse dobbiamo affrontare questa sfida con le mani nude della ragione, anche noi “filosofi”. Molti ragazzi e ragazze, nel mondo, ancora ci incoraggiano a farlo, a partire dal Medio Oriente, dall’Iran a Israele:
Mentre la volontà di cancellare l’esistenza stessa della Palestina sta in questo momento toccando il suo vertice simbolico: il nuovo governo di Israele “abolisce” perfino la sua bandiera!
Israele, il ministro di estrema destra Ben Gvir bandisce la bandiera palestinese – la Repubblica