Haaretz, 15 gennaio 2023.
Resta da vedere quanti delle decine di migliaia di manifestanti continueranno a presentarsi, settimana dopo settimana, a combattere per la fragile democrazia israeliana, mentre avanza la campagna per indebolire la Corte Suprema ed eliminare il controllo giudiziario sul governo.
Il nascente movimento di protesta contro i piani del nuovo governo israeliano di indebolire la Corte Suprema ha già prodotto una delle più grandi manifestazioni in Israele a memoria d’uomo, ma è ancora troppo presto per prevedere dove si stia dirigendo l’ondata.
Circa 80.000 persone si sono riunite nel centro di Tel Aviv e altre migliaia a Gerusalemme e Haifa. Ma non si tratta ancora di un movimento con una direzione o un messaggio chiari. I numeri sono ovviamente un segnale incoraggiante, ma probabilmente non sono ancora sufficienti a sconcertare i leader della coalizione di estrema destra.
È stata una manifestazione per farsi conoscere, un mostrare i muscoli della protesta, sottoutilizzati e un po’ indeboliti nell’ultimo anno e mezzo. Anche i cartelli fatti in casa portati da alcuni manifestanti mancavano di quel tocco di creatività in più.
L’atmosfera nell’ambito della manifestazione era più calma di quanto le recenti previsioni di violenza avessero fatto pensare. I manifestanti erano soddisfatti di essersi presentati nonostante la pioggia. Erano orgogliosi di aver resistito a mezz’ora di diluvio. Affrontare l’acquazzone era una prova sufficiente della loro dimostrazione, e non c’era bisogno di una resa dei conti con la polizia, che se ne stava sconsolata in disparte.
Alcune donne hanno tentato di intonare la canzone “Chi ha bisogno di cannoni ad acqua?”, ma le loro voci non ce l’hanno fatta sotto la pioggia. Era difficile sentire i discorsi a una certa distanza dal palco, ma non avevano importanza. Era sufficiente presentarsi e bagnarsi. Questo era l’obiettivo della serata: dimostrare che ci sono decine di migliaia di israeliani disposi a scendere in piazza.
Ma è stato difficile percepire una vera rabbia o paura. L’atmosfera amara delle proteste a Balfour Street [la residenza del primo ministro, NdT], dell’ultima volta che Benjamin Netanyahu era in carica, non ha ancora permeato il nuovo movimento. C’era un accenno di quella determinazione nei veterani di Balfour che sono arrivati presto, sventolando le loro bandiere nere e circondando il palco. Ma più lontano, nella piazza e nelle strade adiacenti, si respirava un’aria molto più rilassata – nonostante il pienone – come se i manifestanti percepissero il pericolo che ci sovrasta, ma solo da lontano. Un altro contrasto rispetto a Balfour è stato il basso numero di cartelli che attaccavano personalmente Netanyahu. Questa protesta manca ancora di un obiettivo chiaro.
Eppure, gli organizzatori e la più ampia opposizione israeliana non avrebbero potuto prevedere una serata di maggior successo. Hanno portato molte decine di migliaia di persone nelle tre principali città israeliane in una notte d’inverno. Si è trattato di una prova, la prima di una serie di test.
Ma questa protesta non ha ancora un leader. Il leader ufficiale dell’opposizione, Yair Lapid, non era nemmeno presente e gli esponenti minori dell’opposizione sono stati accolti al massimo con cortesia, ma senza grande entusiasmo. Ci sono state persino delle grida di rabbia nei confronti della leader laburista Merav Michaeli. La sua decisione di quattro mesi fa di non unire le liste dei candidati di Labor e Meretz non sarà dimenticata o perdonata. Alcuni dei membri anziani di Meretz, non rappresentati alla Knesset perché non hanno raggiunto la soglia elettorale, sono arrivati alla manifestazione direttamente da una festa di addio per la veterana segretaria parlamentare del partito. O, come alcuni l’hanno chiamata, “la veglia del Meretz”.
Il raduno di massa in piazza Habima non ha messo fine al regolamento di conti nell’opposizione. Una donna si è piazzata su uno spartitraffico di fronte alla piazza e ha gridato: “Dove eravate il giorno delle elezioni?”.
La rabbia contro il nuovo governo deve ancora crescere, ma in piazza si sentiva molto rancore da parte dei leader e degli attivisti dei gruppi di sinistra che avevano passato gli ultimi giorni a litigare su chi sarebbe stato ammesso sul palco, sull’identità degli oratori e sul fatto se ai manifestanti sarebbe stato permesso o no di sventolare le bandiere palestinesi (alcuni lo hanno fatto, ovviamente).
È stata comunque una serata di successo. L’ampio campo che si batte per la sopravvivenza della fragile democrazia israeliana ha superato il suo primo importante test. Resta da vedere quanti di queste decine di migliaia di manifestanti continueranno a presentarsi, settimana dopo settimana, mentre prosegue la campagna della destra per indebolire la Corte Suprema ed eliminare il controllo giudiziario sul governo.
Quanti di loro saranno disposti ad andare a Gerusalemme e bloccare le strade mentre la polizia di Itamar Ben-Gvir usa cannoni ad acqua e gendarmi a cavallo contro di loro? O quando si presenteranno i sostenitori del governo, minacciando e usando la violenza, come l’autista che ha cercato di investire i manifestanti a Be’er Sheva la scorsa settimana? Quanti di loro saranno disposti a partecipare a uno sciopero generale e a sacrificare il proprio reddito per paralizzare l’economia?
I muscoli a Tel Aviv sono stati riattivati. Ma il movimento di protesta avrà successo solo se saprà espandersi e perseverare. I numeri di ieri sera e l’ampia gamma di fasce d’età dei presenti sono stati impressionanti, ma in piazza c’era ancora un solo tipo di israeliano laico e di classe media. Se i sondaggi sono accurati e se la maggioranza degli israeliani si oppone ai piani del ministro della Giustizia Yariv Levin, c’è il potenziale per un movimento di protesta molto più ampio, che coinvolga un numero maggiore di comunità diverse in Israele. Finché questi gruppi non si uniranno, la coalizione di estrema destra potrà continuare a sostenere che, anche se Tel Aviv è contro di loro, “la nazione è con noi”.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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