di Nati Yefet,
Haaretz, 11 gennaio 2023.
Il 23enne Hamoudi Abu Tarboosh si è procurato un taglio alla mano per una porta di vetro che è andata in frantumi nel negozio di alimentari in cui lavora; ma quando è arrivato al pronto soccorso di una clinica della città, gli hanno impedito di entrare dopo aver scoperto che era palestinese
Una clinica nel sud di Israele ha rifiutato di prestare il primo soccorso a un palestinese ferito mentre lavorava in città, costringendolo a lasciare la clinica ancora sanguinante.
Hamoudi Abu Tarboosh, 23 anni, ha dovuto quindi recarsi al Centro Medico Barzilai di Ashkelon, che lo ha infine curato. La clinica di Kiryat Malachi che gli ha negato le cure appartiene a Clalit, una delle principali organizzazioni sanitarie israeliane.
Tarboosh è residente nella città cisgiordana di Idna, situata nelle colline a Sud di Hebron. Mentre lavorava in un negozio di prodotti a Kiryat Malakhi, domenica, la sua mano è stata tranciata quando la porta di vetro del negozio è andata in frantumi. Il negozio si trova a poche decine di metri dalla clinica dove ha chiesto aiuto.
“All’inizio ero da solo; ho tamponato il sangue con dei fazzoletti di carta, ma l’emorragia continuava”, ha detto. “Alle 6.30 del mattino, sono andato alla clinica con una persona che lavorava con me, ma mi hanno detto che non c’era nessuno in grado di curarmi. Nessuno mi ha nemmeno guardato”.
È tornato al negozio e ha aspettato il suo datore di lavoro. A quel punto, aggiunge, “già non mi sentivo bene”.
Alle 7.30 del mattino, Dana Ayash, una residente di Kiryat Malakhi che fa acquisti nel negozio, è passata in auto e l’ha visto fuori, “con la mano tra le gambe, piegato dal dolore, con una pozza di sangue sul pavimento”, ha detto. “Ho immediatamente fermato l’auto, in mezzo alla strada, e l’ho portato al centro Clalit“.
Dana Ayash ha chiamato la clinica per dire che stava portando un paziente con un taglio alla mano, e la clinica le ha consigliato di portarlo direttamente al pronto soccorso. Lei ha chiesto che gli fasciassero almeno la mano, dato che stava ancora sanguinando.
“Quando siamo arrivati, molte persone che lo conoscevano sono accorse e hanno chiesto cosa fosse successo”, ha detto Ayash. “C’era una segretaria gentile che ha detto: ‘portatelo subito in infermeria; prima di tutto, fermiamo l’emorragia’”.
Ma a quel punto, un’altra donna che si è presentata come Ortal, la direttrice, ha chiesto di vedere la carta d’identità del paziente. “Ha detto che non avrebbe autorizzato [il trattamento] prima di vedere la sua carta d’identità”, ha raccontato Ayash. “Ho detto che non avevamo nulla al momento, e lei ha risposto che non era affatto sicura che fosse autorizzato a stare in Israele. Le ho spiegato che lui ha tutti i permessi necessari, che il suo datore di lavoro stava arrivando e che avrebbe dovuto lasciarlo entrare. Questa era l’unica clinica della zona; il centro di assistenza urgente chiude alle 7 del mattino.”
Ayash e Tarboosh hanno detto di aver aspettato in clinica per circa 20 minuti, ma la direttrice si è rifiutata di permettere al suo staff di prestargli il primo soccorso.
“Ero lì in piedi e il sangue gocciolava sul pavimento, ma lei ha detto che non poteva prendermi”, ha detto Tarboosh. “Altre persone nella clinica le hanno chiesto di prestarmi il primo soccorso, ma lei ha detto loro: ‘Non posso, è un arabo, ha una carta d’identità verde’”, vale a dire una carta che indica che è un residente della Cisgiordania e non un israeliano.
Questo ha scatenato una protesta, racconta Ayash. “Le persone si sono alzate e le hanno detto che si doveva vergognare, che era razzista e che questo era disumano. Ero scioccata; le persone si stavano scaldando”.
Un uomo ha cercato di rassicurare Tarboosh, dicendo: “Hamoudi, non preoccuparti, andrà tutto bene”, ha aggiunto Ayash. “Ha stato circondato da molto calore umano, ma la direttrice è rimasta irremovibile. Si è messa all’ingresso della clinica e gli ha impedito di entrare”.
Alla fine, Ayash e Tarboosh se ne sono andati. “Lui era già pallido, imbarazzato e spaventato”, ha detto Ayash. “si sentiva in un posto non familiare e stava per svenire. L’ho coperto con un tessuto che ho trovato in macchina e l’ho portato dal suo datore di lavoro, che l’ha trasportato d’urgenza all’ospedale Barzilai”. L’ospedale ha curato Tarboosh e lo ha dimesso in giornata.
“Quello che è successo mi ha colpito molto”, ha detto Ayash. “Perché questo razzismo? Se avessi portato un ebreo, lo avrebbero curato immediatamente, avrebbero fermato tutto il resto per aiutarlo. Ho chiamato il servizio clienti e la direzione della Clalit e sono stata accolta dall’indifferenza. Questo mi sconvolge. Perché si merita questo, perché è un arabo? Se fosse stato ebreo, si sarebbe scatenata una protesta. Ma è un arabo, quindi non è una cosa così terribile”.
La Clalit ha detto che “a causa di un’insolita mole di lavoro presso la clinica, il paziente è stato indirizzato al pronto soccorso durante la telefonata, ancor prima che arrivasse alla clinica, per evitare un’attesa inutile e per fornirgli un trattamento rapido e adeguato alla sua condizione. Si tratta di una clinica veterana, con uno staff molto stimato e sempre disposto ad aiutare chiunque lo chieda”.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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