Il 2022 in rassegna: Il momento della verità per la Palestina

di Yumna Patel, Mariam Barghouti e Faris Giacaman,

Mondoweiss, 29 dicembre 2022.    

Il 2022 ha dissipato due illusioni: che la collaborazione dei palestinesi con Israele sia sostenibile e che il sionismo sia qualcosa di diverso da un movimento costantemente in guerra con il popolo palestinese.

Palestinesi che partecipano alla “Marcia della Tana dei Leoni”, nell’ambito delle attività per il 35° anniversario della fondazione di Hamas. Gaza City, 10 dicembre 2022. (foto: Mahmoud Nasser/Apa Images)

Il 2022 è stato il momento della verità.

L’anno ha messo a nudo la realtà politica della Palestina dal fiume al mare, dissipando ogni illusione che potevamo avere sulla natura del “conflitto”, come è stato chiamato con disinvoltura dai principali media. Due di queste illusioni possono essere scartate immediatamente: per quanto riguarda i palestinesi, che il collaborazionismo dell’Autorità Palestinese possa essere mantenuto indefinitamente; e per quanto riguarda lo Stato israeliano, che il sionismo sia qualcosa di diverso da un progetto coloniale che deve essere costantemente in guerra con il popolo palestinese.

Due sviluppi principali hanno reso queste verità inequivocabilmente chiare.

In Cisgiordania, per la prima volta dalla Seconda Intifada, si è assistito al ritorno della resistenza armata organizzata, concentrata nelle città di Nablus e Jenin e accompagnata da una serie altrettanto nutrita di attacchi di “lupi solitari” contro obiettivi militari e coloni israeliani, attacchi che hanno rappresentato una seria minaccia per la stabilità dell’apparato di sicurezza israeliano. La risposta dello Stato israeliano è stata quella di lanciare una campagna militare ad ampio raggio in tutta la Cisgiordania, con l’obiettivo di spezzare la schiena alla resistenza palestinese. L’esercito israeliano l’ha chiamata “Operazione Break the Wave” [Rompere l’Onda].

In Israele, è stata l’ascesa della destra fascista e l’emergere di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich come nuovi kingmaker della politica israeliana, a mostrare al mondo il vero volto del sionismo. L’ascesa del partito Potere Ebraico e del Sionismo Religioso ha reso evidente che lo Stato israeliano sarà sempre in guerra con il popolo palestinese finché questo si opporrà alla colonizzazione delle sue terre.

Gli eventi di quest’anno non hanno fatto altro che convalidare queste verità. Come si vede nell’intensificarsi degli attacchi dei coloni contro i palestinesi durante tutto l’anno; nelle misure giudiziarie israeliane che sanciscono la confisca coloniale delle terre palestinesi; nella pulizia etnica di comunità come quelle di Masafer Yatta; nel lancio dell’Operazione Break the Wave e nell’assedio israeliano alle comunità e alle città che ospitano i nuovi gruppi di resistenza; e soprattutto, nell’urlo di sfida di una nuova generazione che alla fine ha osato prendere le armi, in un momento in cui una leadership avvizzita preferiva chinare la testa.

Nel primo mese dell’offensiva militare di Israele, è stato chiaro che l’esercito israeliano non ha preso di mira solo i gruppi armati di stanza a Nablus e Jenin, ma ha lanciato un assalto a tutta la società palestinese. Durante ogni incursione nelle città e nei villaggi palestinesi, l’esercito israeliano ha ripreso la sua politica pluridecennale di eliminazioni e uccisioni extragiudiziali – strumenti necessari per ripristinare la deterrenza israeliana. Combattenti e non combattenti palestinesi sono caduti davanti agli squadroni della morte israeliani durante le loro invasioni notturne, ricordando i bagni di sangue dell’Operazione Scudo difensivo del 2002.

L’obiettivo più ampio di questa offensiva contro le vite dei palestinesi era chiaro: aumentare il costo della resistenza, nella speranza che i palestinesi si arrendessero di fronte al crescente numero di morti.

Invece, tutto ciò sembra aver aumentato la determinazione dei palestinesi a rifiutare il costante degrado delle loro vite. Se il 2022 ci insegna qualcosa, è che i palestinesi non accetteranno mai la mera sopravvivenza sotto il colonialismo.

Altri gruppi per i diritti riconoscono l’apartheid di Israele

Lo storico rapporto delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani sull’apartheid di Israele come strumento del colonialismo di insediamento (foto: social media)

L’anno è iniziato con un ulteriore riconoscimento dell’apartheid israeliano, in un rapporto di Amnesty International che accusa Israele del crimine di apartheid, affermando che “è un crimine contro l’umanità e deve finire”.

Il rapporto, di 280 pagine, è arrivato un anno dopo gli analoghi rapporti di Human Rights Watch e B’Tselem ed è stato accolto da un’ampia contro-reazione da parte di Israele e dei suoi sostenitori, che lo hanno accusato di essere antisemita. D’altra parte, è stato ampiamente accolto dalle organizzazioni e dalle persone che sostengono il movimento per la libertà e la giustizia dei palestinesi, ed è stato lodato come un altro passo nella giusta direzione verso il riconoscimento della vera natura della realtà affrontata dai palestinesi che vivono sotto il controllo di Israele.

Distaccandosi dai precedenti rapporti internazionali e israeliani, il rapporto di Amnesty prende in considerazione i milioni di rifugiati palestinesi che vivono in esilio e ai quali Israele nega il diritto di tornare nelle loro terre d’origine. Tuttavia, per alcuni aspetti il rapporto ha avuto delle deficienze, tra cui il mancato riconoscimento del diritto collettivo del popolo palestinese all’autodeterminazione e il ruolo del colonialismo sionista come motore dell’apartheid israeliano.

Questi quadri mancanti sono stati riportati sul tavolo nel corso dell’anno da una coalizione di gruppi palestinesi per i diritti umani che hanno pubblicato un rapporto storico intitolato “Apartheid israeliano: strumento del colonialismo sionista”.

Secondo gli autori, il rapporto, pubblicato dal gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq, mira a incentrare la narrazione palestinese sul proprio spossessamento e spostamento, riconoscere il diritto collettivo del popolo palestinese all’autodeterminazione e dare priorità alla decolonizzazione rispetto agli approcci di “uguaglianza liberale” per porre fine all’apartheid.

La comunità internazionale non agisce sulla criminalizzazione della società civile palestinese da parte di Israele

La porta dell’ufficio di Defense for Children International-Palestine a Ramallah dopo che le forze israeliane hanno condotto un raid e dichiarato chiusa l’organizzazione il 18 agosto 2022. (credito fotografico: Afp / Abbas Momani via DCIP)

Un altro aspetto meno evidente dell’assalto israeliano alla società palestinese è stato l’attacco concertato alla società civile – in particolare, alle sei organizzazioni palestinesi per i diritti umani che Israele aveva precedentemente tentato di criminalizzare designandole come “organizzazioni terroristiche”.

Le sei organizzazioni, Al-Haq, il Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo, l’Associazione Addameer per il Sostegno ai Prigionieri e i Diritti Umani, Defense for Children International-Palestina, l’Unione dei Comitati per il Lavoro Agricolo e l’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi, sono state bersaglio della campagna diffamatoria di Israele anche negli anni precedenti.

Nonostante gli sforzi israeliani, lo scorso giugno l’Unione Europea ha respinto la designazione delle organizzazioni come “terroristiche”, a causa della mancanza di prove. Ciò è avvenuto dopo che Israele aveva già espulso il direttore di Human Rights Watch dalla regione nel 2019.

Due mesi dopo il rigetto da parte dell’UE della campagna diffamatoria del governo d’Israele, l’esercito israeliano ha fatto irruzione negli uffici delle organizzazioni, oltre a quello di una settima organizzazione – l’Unione dei Comitati di Lavoro per la Salute (UHWC) – e ha saldato le porte dei loro uffici, lasciando un ordine militare che vietava la prosecuzione dell’attività delle ONG.

Il tentativo di chiudere queste organizzazioni è avvenuto nel contesto di una vera e propria offensiva militare in tutta la Cisgiordania, che ha limitato la capacità di dipendenti e lavoratori di svolgere il proprio lavoro, mentre affrontavano accuse infondate.

Un altro sviluppo pericoloso è andato oltre la società civile e ha preso di mira i residenti palestinesi di Gerusalemme, e si è avvalso dell’espansione del potere giudiziario della corte israeliana per allontanare ulteriormente i palestinesi da Gerusalemme. Questa pratica è stata esemplificata quest’anno dalla deportazione di Salah Hammouri, un palestinese nato a Gerusalemme con cittadinanza francese e un documento d’identità di Gerusalemme. Il suo status di residente è stato revocato in base alla legge discriminatoria israeliana sulla “violazione della fedeltà”, una legge che richiede la fedeltà di un popolo colonizzato allo Stato che lo colonizza.

I residenti di Masafer Yatta perdono una battaglia legale durata 20 anni

Dopo una battaglia legale durata più di 20 anni nei tribunali israeliani, i residenti palestinesi di Masafer Yatta, (o colline a Sud di Hebron), hanno ricevuto a maggio la sentenza sul loro destino dall’Alta Corte israeliana. Il tribunale ha stabilito che i palestinesi, che sono circa 1.300, risiedono “illegalmente” su un terreno che era stato dichiarato zona israeliana di tiro militare negli anni ’90, mentre i residenti affermano di aver vissuto lì già decenni prima.

La decisione del tribunale ha spianato la strada all’esercito israeliano per la demolizione di centinaia di case a Masafer Yatta e per l’espulsione forzata dei residenti dalla loro terra, un’azione che equivale a un trasferimento forzato e che è un crimine di guerra secondo il diritto internazionale.

Poco meno di 900 strutture sono a rischio di demolizione nella “zona di tiro”. Queste strutture includono case, recinti per il bestiame, latrine, cisterne d’acqua, moschee e scuole.

Nonostante le proteste internazionali per la decisione, da allora l’esercito israeliano ha demolito decine di strutture, tra cui una scuola a Masafer Yatta, mentre i residenti hanno subito un aumento della violenza dei coloni contro le loro comunità.

L’uccisione di Shireen Abu Akleh e la mancata ricerca di giustizia da parte degli Stati Uniti

Shireen Abu Akleh (Social Media)

Due mesi dopo la dichiarazione ufficiale del lancio dell’Operazione Break the Wave (la campagna militare su larga scala di Israele per sradicare i gruppi armati di resistenza palestinese), l’importante giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh è stata uccisa dall’esercito israeliano anche se indossava il suo giubbotto da giornalista mentre copriva per Al Jazeera un’invasione israeliana nel campo profughi di Jenin.

I portavoce militari israeliani hanno cercato di dare la colpa ai palestinesi armati, che in quel momento stavano affrontando l’invasione israeliana nel campo, e un portavoce ha detto che Abu Akleh e i suoi colleghi giornalisti erano “armati di macchine fotografiche“.

In seguito alla mancata indagine sull’omicidio, le indagini indipendenti condotte da diverse organizzazioni e agenzie di stampa hanno dimostrato che il proiettile che ha ucciso l’amata giornalista proveniva dall’esercito israeliano. A distanza di quasi un anno e mezzo, non c’è stata alcuna assunzione di responsabilità per la morte di Abu Akleh, nonostante l’esercito israeliano abbia ammesso di aver probabilmente ucciso la giornalista “per sbaglio“. Da parte statunitense, l’amministrazione Biden si è opposta al tentativo di Al-Jazeera di ottenere giustizia per Shireen presso la Corte penale internazionale (CPI).

La morte di Abu Akleh ha anche messo in evidenza l’intenzionalità con cui vengono presi di mira i giornalisti palestinesi. Nel 2008, il fotografo della Reuters Fadel Shana, 23 anni, è stato ucciso mentre era al lavoro insieme ad altre otto persone, la maggior parte delle quali aveva meno di 16 anni. Nel 2014, un altro giornalista, Simone Camilli, 35 anni, era al lavoro per l’Associated Press quando è stato ucciso mentre indossava il giubbotto PRESS a Gaza. Solo negli ultimi due decenni, 25 giornalisti sono stati uccisi in Palestina.

La morte di Abu Akleh è stata preceduta anche dalla brutale aggressione subita dalla sua collega Guevara Budeiri l’anno scorso a Sheikh Jarrah, mentre copriva per il suo giornale la violenza dei coloni. Anche il corrispondente della CNN Ben Wedmann e il fotoreporter dell’AP Mahmoud Alian sono stati aggrediti. Nessun membro della polizia israeliana è stato ritenuto responsabile. Invece, Itamar Ben-Gvir, il colono che l’anno scorso aveva installato un “ufficio” a Sheikh Jarrah e che ha esplicitamente approvato l’uccisione di palestinesi, è finito per diventare un potente ministro che controlla le forze armate israeliane.

Biden visita la Cisgiordania occupata, offre banalità e aiuti economici

Joe Biden tiene in mano un cellulare mentre cammina per salire a bordo dell’Air Force One, 11 maggio 2022. (AP foto/illustrazione: Mondoweiss)

A metà luglio, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha intrapreso un tour in Medio Oriente, con un viaggio in Israele e nei Territori Palestinesi occupati. Durante il suo tour di due giorni, ha visitato gli ospedali di Gerusalemme Est occupata e ha tenuto una conferenza stampa con il presidente palestinese Mahmoud Abbas nella città di Betlemme, nella Cisgiordania occupata.

Sebbene l’opinione pubblica palestinese fosse poco ottimista sul fatto che la visita di Biden potesse portare a dei progressi fondamentali per quanto riguarda la situazione politica sul campo, si è trattato di un viaggio che l’élite politica palestinese sperava potesse produrre dei benefici. Dopo il disastro lasciato dall’ex presidente Donald Trump, il cui mandato ha visto il deterioramento quasi totale delle relazioni diplomatiche tra l’Autorità Palestinese e il governo degli Stati Uniti, si sperava che Biden potesse cambiare la tendenza dei quattro anni precedenti.

Sul tavolo c’erano le speranze che Biden potesse riaprire il consolato statunitense dismesso a Gerusalemme Est, dedicato all’assistenza ai palestinesi, o che prendesse una posizione concreta sull’uccisione della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh, il cui assassinio, avvenuto appena due mesi prima, era per molti palestinesi una questione obbligata della visita di Biden.

Ma alla fine Biden ha scelto di perseguire “misure di rafforzamento della fiducia” che, pur essendo state accolte con favore dall’Autorità Palestinese, hanno lasciato frustrati e arrabbiati la maggior parte dei palestinesi, che hanno visto la visita del presidente autodichiarato “sionista” come nient’altro che un’offerta di banalità di fronte a un regime di apartheid sostenuto e finanziato dagli Stati Uniti.

Oltre a reintegrare i fondi statunitensi all’UNRWA, tagliati da Trump durante la sua presidenza, Biden ha promesso anche 100 milioni di dollari per gli ospedali di Gerusalemme Est, fondi per gli aiuti umanitari e programmi che “promuovono la collaborazione e gli scambi israelo-palestinesi”. Ha inoltre promesso che Israele consentirà ai palestinesi di ottenere la connettività 4G entro la fine dell’anno e che le restrizioni di viaggio al valico di frontiera di Allenby con la Giordania saranno alleggerite.

Alla fine dell’anno, i palestinesi utilizzano ancora il 3G.

Gaza conta 15 anni di assedio

Palestinesi che si divertono sulla spiaggia di Deir al-Balah, nel centro della Striscia di Gaza, il 27 maggio 2022, un anno dopo la violenta guerra di 11 giorni tra Israele e Hamas, che ha ucciso più di 260 palestinesi e 14 israeliani. L’enclave palestinese assediata sta ancora lavorando duramente per riprendersi. (foto: Ashraf Amra/Apa Images)

Quest’anno ha confermato che i cinque governatorati palestinesi della Striscia di Gaza assediata sono, in sostanza, un mattatoio. Nell’arco di tre giorni, l’esercito israeliano ha ucciso 49 persone. Altri quattro palestinesi di Gaza sono morti per le ferite riportate in precedenti assalti di Israele.

Ha segnato anche 15 anni dall’inizio del blocco di Israele su Gaza, iniziato ufficialmente nel 2007. Tuttavia, come ha sostenuto Mondoweiss, il blocco non è iniziato realmente nel 2007, ma è stato inserito gradualmente nella vita dei palestinesi di Gaza. Inoltre, il modello di impunità di Gaza è stato esteso alla Cisgiordania, dove i collaudati metodi israeliani di punizione collettiva e di uccisioni di massa sono stati impiegati durante l’assalto israeliano alle città e ai villaggi della Cisgiordania.

Le Nazioni Unite prevedevano che Gaza sarebbe diventata inabitabile entro il 2020. Due anni dopo, la Striscia non solo è inabitabile, ma è stata sottoposta a due assalti militari su larga scala.

L’operazione Breaking Dawn ha ucciso 52 persone a Gaza

Alcuni dei palestinesi di Gaza uccisi durante l’operazione israeliana Breaking Dawn [Sorgere dell’Alba].

Nei primi giorni di agosto, tutti gli occhi si sono rivolti alla Striscia di Gaza, dove per la seconda volta in un anno Israele ha lanciato un’offensiva militare sull’enclave costiera assediata. Inquadrata come un’aggressione “preventiva”, Israele ha lanciato l’Operazione Breaking Dawn il 5 agosto, affermando che l’esercito israeliano stava prendendo di mira funzionari militari di alto livello all’interno del movimento della Jihad Islamica Palestinese (PIJ).

Molti dei combattenti e dei leader noti della PIJ uccisi nei primi attacchi aerei, tuttavia, non erano impegnati in combattimento quando sono stati colpiti e sono stati presi di mira in aree residenziali. Di conseguenza, molte delle persone uccise nel primo giorno di attacchi erano non combattenti, tra cui diversi bambini.

Gli attacchi sono continuati per altri due giorni, colpendo aree in tutta la Striscia di Gaza, e la PIJ ha risposto con il lancio di razzi verso il territorio israeliano. Mentre Israele chiudeva tutti i valichi di frontiera in entrata e in uscita dalla Striscia, l‘unica centrale elettrica di Gaza si è spenta per mancanza di carburante, facendo piombare gli abitanti di Gaza nell’oscurità mentre gli attacchi aerei continuavano intorno a loro.

Alle 23:30 dell’8 agosto, tre giorni dopo i primi attacchi aerei, è entrato in vigore un cessate il fuoco mediato dall’Egitto e l’operazione Breaking Dawn è terminata. In totale, durante i tre giorni di attacchi aerei sono stati uccisi 49 palestinesi, tra cui 17 bambini. Nessun israeliano è stato ucciso.

A meno di 10 giorni dalla fine dell’offensiva, l’esercito israeliano ha ammesso di aver condotto l’attacco aereo che ha ucciso cinque bambini palestinesi mentre visitavano la tomba del nonno, dopo aver inizialmente attribuito la loro morte a un errore di tiro della PIJ. La vittima più giovane dell’attacco aveva solo tre anni.

La resistenza armata palestinese vede una ripresa in Cisgiordania

Combattenti della resistenza palestinese della Brigata Balata in una parata militare nel campo profughi di Balata, vicino a Nablus. 4 novembre 2022. (foto: Nasser Ishtayeh/Sopa Images via Zuma Press Wire/Apa Images)

A seguito dell’Operazione Break the Wave [Rompere l’Onda], la resistenza armata palestinese è diventata più diffusa in Cisgiordania. Negli anni passati, la maggior parte della resistenza armata contro le forze israeliane e il colonialismo proveniva dalla Striscia di Gaza assediata, ma quest’anno la resistenza armata è aumentata in Cisgiordania e all’interno della Linea Verde (nelle comunità palestinesi che vivono all’interno dello Stato israeliano). A marzo di quest’anno, le operazioni con armi da fuoco hanno preso di mira gli israeliani all’interno dei confini formali dello Stato israeliano e sono state alcune delle prime attività che hanno scatenato la risposta israeliana.

La resistenza armata organizzata in Cisgiordania, tuttavia, si è concentrata quasi esclusivamente su obiettivi militari e coloni israeliani. La maggior parte delle operazioni armate condotte dai vari gruppi armati sono state di natura difensiva, in risposta alle invasioni israeliane o all’invasione dei territori palestinesi. Molti di questi combattenti della resistenza sono giovani e alcuni hanno legami con le Forze di Sicurezza palestinesi, il che indica una scissione dal collaborazionismo e dalla complicità della vecchia generazione con il dominio coloniale israeliano.

Sebbene i gruppi armati operino individualmente, sono guidati da un senso di unità che trascende l’affiliazione di fazione. Ciò significa che, sia che siano allineati con una struttura di orientamento islamista, come la PIJ o Hamas, o con un gruppo più laico, come la Brigata dei Martiri di Al-Aqsa di Fatah o il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), tutti questi sforzi di resistenza appaiono operare sotto un ombrello comune.

Gli attacchi dei “lupi solitari”, a differenza dei gruppi organizzati, sono stati di natura offensiva, colpendo obiettivi militari israeliani e coloni, spesso senza una pianificazione preventiva, e sono stati condotti a bruciapelo utilizzando strumenti primitivi (coltelli, pistole o investimenti con auto). La natura decentrata di queste operazioni e l’assenza di una struttura organizzativa formale le ha rese difficili da anticipare e prevenire, ponendo una sfida significativa di sicurezza alla struttura di intelligence israeliana. Uno degli esempi più evidenti è stato quello di quest’anno, quando il combattente della resistenza palestinese Udai Tamimi ha ucciso un soldato israeliano in una sparatoria al posto di blocco militare di Shu’fat, sfuggendo alla cattura per quasi due settimane di una lunga caccia all’uomo prima di uscire dal suo nascondiglio e fare un ultimo gesto all’ingresso dell’insediamento di Maale Adumim, dove è stato colpito e ucciso.

Ma queste operazioni individuali non sono una novità e sono state precedute da centinaia di operazioni simili fin dal 2015. La nascita di gruppi ufficialmente organizzati, invece, è una novità particolare di quest’ultimo anno. La serie di omicidi di importanti combattenti della resistenza palestinese ha aggiunto ulteriore benzina al fuoco e accelerato la nascita di queste operazioni. Giovani come Ibrahim Al-Nabulsi, soprannominato il “Leone di Nablus“, sono diventati icone che hanno avuto eco oltre i confini di Nablus e si sono estese ad altre aree della Cisgiordania. Battaglioni di giovani, come il “Battaglione Nabulsi”, hanno preso vita in molte città e villaggi.

Senza una formazione militare istituzionale o formale, l’ascesa di gruppi armati come la Brigata Jenin e la Tana dei Leoni ha spinto i giovani a organizzare i propri gruppi locali, anche se più piccoli e con poche armi. A Ramallah e Al-Bireh, per esempio, un gruppo decentrato di giovani ha formato il “battaglione di disturbo notturno”, concentrandosi nell’affrontare le invasioni israeliane con bombe Molotov e lancio di pietre.

Intanto, mentre i giovani cercavano di organizzarsi, l’Autorità Palestinese si è trovata nel mezzo. Alla fine, ha svolto il ruolo che ha sempre avuto: delegata alle repressione per procura di Israele. A settembre ha arrestato diversi resistenti, scatenando una campagna di disobbedienza civile di massa a Nablus. Più tardi, a ottobre, l’Autorità Palestinese avrebbe svolto un ruolo strumentale nell’offrire una presunta amnistia ai combattenti della resistenza in cambio della consegna delle armi.

Questo anno ha mostrato il completo distacco dell’Autorità Palestinese dalle preoccupazioni della società palestinese, mentre la sua incapacità di soddisfare il bisogno di protezione dei palestinesi dalla soppressione coloniale non è mai stata così evidente.

Numero record di palestinesi uccisi in Cisgiordania da decenni a questa parte

Lutto al funerale del comandante e combattente della resistenza Ibrahim al-Nabulsi, insieme a due suoi compagni, nella città di Nablus. 9 agosto 2022. (foto: Wajed Nobani/Apa Images)

Quest’anno si è registrato il più alto numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania dalla Seconda Intifada: più di 230 palestinesi, di cui 171 in Cisgiordania. La maggior parte di loro è stata uccisa durante operazioni di ricerca e arresto o nel corso di operazioni di assassinio extragiudiziale, soprattutto a Nablus e Jenin.

Dei 171 palestinesi uccisi in Cisgiordania, 36 erano bambini e minori. Ciò significa che ogni cinque palestinesi uccisi da Israele, uno era un bambino. Il mese più sanguinoso è stato ottobre, con 30 palestinesi uccisi dalle forze israeliane in un solo mese, otto dei quali erano minori.

Questa intensificazione segnala una svolta sanguinosa nell’approccio israeliano alla resistenza palestinese, ulteriormente evidenziata dall’allargamento delle regole d’ingaggio israeliane e dal ritorno della decennale strategia di Israele di assassinii extragiudiziali.

Crimine illegale a livello internazionale, le esecuzioni extragiudiziali in Cisgiordania indicano che le forze israeliane hanno evidentemente ricevuto chiare direttive di usare una forza eccessiva. Ne hanno subito le conseguenze bambini come Fulla Masalma, 14 anni, uccisa in un’auto che attraversava Betunia e crivellata di proiettili per 3 minuti e 55 secondi senza sosta.

La copertura di Mondoweiss di queste uccisioni ha mostrato questo schema di deliberata condotta letale, reso più chiaro dalla continuazione della resistenza palestinese anche durante i periodi di diminuzione della mortalità – il che significa che l’alto numero di morti palestinesi è una decisione preventiva di Israele, una questione di politica deliberata indipendente dagli sviluppi sul campo. La strategia alla base dell’oscena pratica di giocare con la conta dei morti palestinesi è chiara: aumentare il prezzo della resistenza in modo che i palestinesi abbandonino la lotta.

La Coppa del Mondo vede livelli senza precedenti di solidarietà con la Palestina

I tifosi si radunano per le strade di Doha, in Qatar, tenendo in mano bandiere marocchine e palestinesi in vista della partita dei Mondiali di calcio tra il Marocco e il Portogallo. 10 dicembre 2022. (foto: Ashraf Amra/Apa Images)

I Mondiali di calcio del 2022 in Qatar hanno segnato la prima volta che l’evento sportivo mondiale si è tenuto in Medio Oriente. Di conseguenza, tutto ciò che riguardava l’evento faceva notizia – titoli che nei media occidentali erano spesso pieni di pregiudizi e bigottismo e spesso contraddicevano ciò che i tifosi stavano effettivamente facendo sul posto.

Una cosa che ha fatto notizia, e che ha attirato critiche e acclamazioni da tutto il mondo, è stata la presenza della Palestina al centro della scena in Qatar, sia dentro che fuori dal campo. Simboli ed emblemi della Palestina, come la bandiera e la keffiyeh, erano presenti negli stadi in quasi tutte le partite, nelle folle per le strade, nelle trasmissioni televisive internazionali e nei parchi dei tifosi.

Le piattaforme di social media come Instagram e TikTok sono state inondate da video di fan di tutto il mondo che si rifiutavano di parlare con i giornalisti israeliani o interrompevano le trasmissioni in diretta dei canali televisivi israeliani per esprimere il loro sostegno alla Palestina.

Per i palestinesi, le dimostrazioni di solidarietà sono state epocali e hanno offerto quello che sembrava un barlume di speranza tanto necessario in un anno tumultuoso e mortale in Palestina.
“È stato un campanello d’allarme per gli israeliani: credevano di essere riusciti a realizzare chissà quale illusione con gli Accordi di Abramo, ma in realtà non sono ancora i benvenuti nel mondo arabo”, ha dichiarato a Mondoweiss Jalal Abu Akhter, un tifoso palestinese di Ramallah. “Il popolo non dimentica l’occupazione. Il popolo non dimentica l’apartheid”.

Israele elegge il governo più a destra della storia

Benjamin Netanyahu ha riportato al potere Itamar Ben-Gvir e il fantasma di Meir Kahane nelle recenti elezioni israeliane. (vignetta: Carlos Latuff)

Il 1° novembre Israele ha tenuto la sua quinta elezione consecutiva in soli quattro anni e i risultati sono stati chiarissimi: l’opinione pubblica israeliana ha parlato, e rivuole Benjamin Netanyahu. Questa volta, però, non ci sarebbe stato spazio per i colloqui con i cosiddetti “centristi”, i partiti arabi o la “sinistra” israeliana, da tempo dimenticata. Sono stati i partiti di destra apertamente fascisti a vincere alla grande, e lo hanno fatto basandosi principalmente su una piattaforma di supremazia ebraica e razzismo anti-palestinese, guidata da legislatori che erano stati precedentemente condannati per incitamento al razzismo e sostegno a un’organizzazione terroristica.

Il partito ultra-nazionalista Sionismo Religioso, guidato da Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, è emerso come il terzo partito più grande nel nuovo governo israeliano, concedendo ai due legislatori, che hanno una sordida storia di essere apertamente fascisti e fermamente anti-palestinesi, nuovi livelli di potere che loro stessi, e i loro sostenitori, non avevano mai visto prima.

Lo stesso Ben-Gvir è stato condannato per incitamento contro i palestinesi e, in passato, è stato l’avvocato di estremisti ebrei accusati di aver commesso attacchi contro i palestinesi.

Il nuovo governo di Netanyahu ha prestato giuramento il 29 dicembre e Ben-Gvir e Smotrich sono destinati ad assumere posizioni di alto livello nei ministeri della Difesa e della Sicurezza Nazionale. Le loro posizioni nel nuovo governo potrebbero vedere i due – entrambi coloni che vivono nella Cisgiordania occupata – acquisire potere sugli insediamenti illegali in Cisgiordania e nuovi livelli di autorità sulla polizia israeliana.

C’è un disegno di legge che mira a modificare i regolamenti di polizia per consentire a Ben-Gvir, in qualità di ministro della Sicurezza Nazionale, di consolidare il controllo sul capo della polizia e sulle indagini di polizia, il che potrebbe avere implicazioni significative quando si tratta del già deplorevole tasso di indagini sugli attacchi dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania.

Uno sguardo al 2023

Il 2022 è stato uno degli anni più sanguinosi a memoria d’uomo per i palestinesi.  Il tentativo di Israele di aumentare il prezzo della resistenza palestinese ha portato alla morte di centinaia di persone durante l’Operazione Break the Wave. Ma il 2023 si preannuncia ancora più tumultuoso, poiché lo Stato israeliano sembra pronto a scatenare una nuova ondata di repressione.

Solo due giorni fa, il 27 dicembre, la Knesset ha approvato un emendamento alla Legge Fondamentale che concede a Bezalel Smotrich il potere di nominare il nuovo capo dell’Amministrazione Civile e il Coordinatore delle Attività Governative nei Territori (COGAT). Il ministro della Difesa uscente, Benny Gantz, ha messo in guardia dalle escalation che si prospettano, in vista delle politiche di linea dura di Smotrich e Ben-Gvir, entrambi destinati ad assumere posizioni di influenza sulla politica della Cisgiordania all’interno del prossimo governo israeliano di destra.

I contorni del prossimo anno non sono difficili da prevedere. La continua confisca coloniale delle terre palestinesi, la pulizia etnica delle comunità palestinesi, gli attacchi rabbiosi e i linciaggi dei coloni e l’assalto a oltranza alle comunità palestinesi ribelli e ai gruppi di resistenza armata continueranno probabilmente anche nel nuovo anno, con una ferocia ancora maggiore rispetto al passato.

Ma l’unico fattore che rimane incerto è anche il più importante: quale sarà il destino della resistenza palestinese?

Yumna Patel è direttrice delle notizie sulla Palestina per Mondoweiss. Mariam Barghouti è corrispondente senior dalla Palestina per Mondoweiss. Faris Giacaman è redattore capo di Mondoweiss.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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