di Ibtisam Azem,
The New Arab, 21 dicembre 2022.
L’ex Alta Commissaria del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHCR) ha parlato con The New Arab delle indagini sull’illegalità dell’occupazione israeliana, dei doppi standard nel diritto internazionale e della sua esperienza nella lotta all’apartheid sudafricano.
Nel maggio 2021, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC) ha istituito una commissione d’inchiesta internazionale (COI), “per indagare, nei Territori Palestinesi Occupati (TPO), compresa Gerusalemme Est, e in Israele, su tutte le presunte violazioni del diritto umanitario internazionale e sugli abusi del diritto internazionale dei diritti umani che hanno preceduto e seguito il 13 aprile 2021”.
A presiedere la COI è stata nominata Navanethem Pillay, avvocata sudafricana di spicco per i diritti umani, ex giudice e Alta Commissaria del Consiglio per i Diritti Umani.
In un’intervista esclusiva con Ibtisam Azem, corrispondente senior di Al-Araby Al-Jadeed (sito arabo gemello di The New Arab) presso le Nazioni Unite a New York, Pillay ha discusso dell’ultimo rapporto e degli attacchi alla Commissione.
L’intervista è stata modificata per ragioni di brevità e chiarezza.
Ibtisam Azem: La COI da lei diretta ha concluso nel suo ultimo rapporto di ottobre che l’occupazione israeliana del territorio palestinese è illegale secondo il diritto internazionale, a causa della sua durata e delle politiche di annessione de facto e de jure del governo israeliano. Si tratta di un cambiamento nella discussione del problema e, se sì, quali sono le sue ripercussioni?
Navanethem Pillay: Si tratta di uno spostamento della discussione nel luogo più importante, ovvero l’ONU, l’organo decisionale. Non è una novità per la società civile e per i palestinesi. Le nostre raccomandazioni sono state di deferire la questione dell’illegalità dell’occupazione alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG).
Gran parte del discorso finora è stato incentrato sull’adesione di Israele alle leggi internazionali che regolano l’occupazione del territorio, insieme al diritto internazionale sui diritti umani applicabile. Dopo aver constatato, nel nostro primo rapporto, che erano la continua occupazione e la discriminazione dei palestinesi a guidare il conflitto, nel nostro secondo rapporto all’Assemblea Generale abbiamo portato avanti questo discorso, cioè ci siamo chiesti se l’occupazione stessa fosse ormai illegale.
Ci sono ragionevoli motivi per concludere che sia illegale, a causa della sua durata e delle azioni intraprese da Israele per annettere parti della terra, de facto e de jure. Tali azioni includono sgomberi, deportazioni, trasferimenti forzati di palestinesi all’interno della Cisgiordania, espropriazioni, saccheggi, sfruttamento della terra e delle risorse naturali vitali, restrizioni alla circolazione e il mantenimento di un ambiente coercitivo nei confronti dei palestinesi, con l’obiettivo di frammentare la società, incoraggiare l’allontanamento dei palestinesi da alcune aree e far sì che essi non siano in grado di soddisfare il loro diritto all’autodeterminazione.
Abbiamo anche concluso che alcune politiche possono costituire crimini di guerra, come il trasferimento di parti della popolazione israeliana nel territorio occupato attraverso il programma di insediamento, e i crimini contro l’umanità della deportazione e del trasferimento forzato.
Tali azioni e politiche non possono rimanere senza attenzione. Dato il chiaro rifiuto di Israele di porre fine all’occupazione e di rispettare gli obblighi internazionali, era necessario un cambiamento nella conversazione, passando da una discussione su come Israele dovrebbe rispettare le leggi dell’occupazione al riconoscimento che l’occupazione stessa è illegale e che ci devono essere conseguenze legali e obblighi per gli Stati terzi per garantire il rispetto del diritto internazionale.
Si tratta quindi di un approccio drammatico che abbiamo portato per la prima volta nelle sale dell’Assemblea Generale.
I.A.: Quanto è significativo che la Corte Internazionale di Giustizia indaghi su questo?
N.P.: È estremamente significativo e lo accogliamo con favore, anche se devo notare che la risoluzione deve ancora essere adottata dalla plenaria dell’Assemblea Generale questo mese. Tuttavia, il voto di 98 Paesi a favore, con 52 astensioni e 17 contrari in quarta commissione, dimostra che la maggioranza degli Stati membri riconosce che la situazione attuale non può rimanere senza risposta.
Abbiamo bisogno di chiarimenti sulle conseguenze legali del rifiuto di Israele di porre fine all’occupazione. Vogliamo che la Corte chiarisca quali sono gli obblighi degli Stati terzi per garantire il rispetto del diritto internazionale.
I.A.: Sin dal momento della sua istituzione, la COI è stata attaccata. Dopo aver pubblicato il primo rapporto a giugno, il Dipartimento di Stato americano ha rilasciato una dichiarazione di opposizione all’inchiesta, descrivendo il suo lavoro come “un approccio unilaterale e di parte che non fa nulla per avanzare le prospettive di pace”. Tuttavia, i Paesi occidentali sostengono altre COI su Ucraina, Siria e altro. Secondo lei, perché questo sostegno non c’è nel caso della Palestina?
N.P.: Quando ero Alta Commissaria per i Diritti Umani, abbiamo riscontrato questo tipo di doppi standard e di giustizia selettiva. Ho sempre detto che gli Stati devono applicare gli stessi standard ai loro amici e ai loro nemici. La Commissione continua a godere del sostegno della maggior parte degli Stati membri dell’ONU; per questo ritengo che ci troviamo su un piano morale elevato.
Vorrei sottolineare che i diritti umani sono universali e che il diritto internazionale si applica a tutti gli individui e a tutti gli Stati senza distinzioni. Per quanto riguarda l’accusa che questa COI non fa nulla per far progredire le prospettive di pace, sarei curiosa di sentire dagli Stati Uniti quali specifiche prospettive di pace attuali ritengono che il nostro lavoro stia ostacolando.
Per quanto riguarda i commenti sul fatto che la COI abbia un approccio unilaterale, lo hanno detto anche prima che pubblicassimo il nostro primo rapporto. Tutti gli Stati dovrebbero essere ritenuti responsabili per qualsiasi mancanza nel promuovere e proteggere i diritti umani delle persone all’interno dei loro confini. E lo stesso vale per Israele, senza eccezioni, e negli OPT, che sono sotto il suo effettivo controllo.
È vero che i nostri primi due rapporti si sono concentrati principalmente sulle violazioni commesse da Israele. Su mandato del Consiglio per i Diritti Umani, abbiamo scelto di affrontare innanzitutto le cause profonde e i fattori scatenanti del conflitto, che secondo noi sono l’occupazione perpetua e la discriminazione dei palestinesi.
Sia chiaro che stiamo indagando su tutti i responsabili. Questo include l’Autorità Palestinese, le autorità de facto a Gaza, così come gli atti dei gruppi armati… La nostra commissione darà voce a tutte le vittime, indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione o dalle convinzioni politiche, perché i diritti umani sono universali.
Questo tipo di accuse rivolte a chi è critico della politica e delle pratiche israeliane non sono nuove e sono spesso utilizzate da Israele e dai gruppi pro-israeliani per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dai risultati e dalle raccomandazioni emesse da vari meccanismi dedicati a esaminare la condotta di Israele negli OPT.
Così, oltre alle accuse di unilateralità, siamo stati continuamente accusati di essere antisemiti… una tattica molto efficace utilizzata per mettere a tacere qualsiasi critica alle violazioni dei diritti umani e ai crimini internazionali di Israele… Ma data l’estrema gravità della questione dell’antisemitismo, siamo seriamente preoccupati dal fatto che tali accuse finiscono per promuovere la banalizzazione dell’antisemitismo vero e proprio e l’uso crescente di accuse politicamente motivate per mettere a tacere il legittimo controllo del rispetto dei diritti umani internazionali da parte degli Stati membri.
I.A.: Vede dei paralleli con la sua esperienza nel Sudafrica dell’Apartheid?
N.P.: Èsempre rischioso confrontare due situazioni diverse. Abbiamo ricevuto numerose richieste da parte di organizzazioni della società civile di esaminare la questione dell’apartheid. Condurremo le nostre indagini e le nostre analisi legali su eventuali crimini internazionali… Il crimine dell’apartheid è molto complesso e presenta numerosi elementi che devono essere valutati.
L’analisi legale si baserà sul criterio che i dati soddisfino la definizione legale, non sul fatto che Israele e le sue politiche assomiglino a quelle impiegate dal Sudafrica dell’apartheid o da qualsiasi altro regime.
Voglio notare che diversi Paesi che hanno vissuto in prima persona gli effetti terribili della colonizzazione, della discriminazione e della negazione del diritto all’autodiscriminazione… sono stati i più forti sostenitori del nostro mandato.
I.A.: Il mandato della COI comprende la formulazione di “raccomandazioni sulle misure da adottare da parte di Stati terzi per garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario negli OPT…”. Questo rende anche paesi, come gli Stati Uniti e altri che stanno aiutando militarmente Israele, responsabili per le violazioni dei diritti umani e potrebbero anche loro subire accuse legali?
N.P.: È un’ottima domanda, perché ci avverte della possibilità che l’Alta Corte stabilisca che l’occupazione è illegale e che gli Stati terzi abbiano l’obbligo legale di non sostenere questo atto illegale. Credo che questo sia il motivo per cui hanno paura del mandato.
È la prima volta che ciò accade in un mandato COI. È una chiara indicazione del riconoscimento da parte dell’UNHRC che gli Stati terzi hanno l’obbligo di agire per garantire il rispetto del diritto internazionale da parte di Israele, anche ponendo fine all’occupazione, e di mettere in discussione la loro stessa condotta nel sostenerlo.
I.A.: Molti palestinesi si sentono abbandonati dalla comunità internazionale. Anche quando ci sono risoluzioni delle Nazioni Unite che fanno giustizia, la loro realtà quotidiana non cambia e non c’è fine alle loro sofferenze. In qualità di ex giudice in Sudafrica e alla Corte Penale Internazionale, di avvocato, di Alta Commissaria per i diritti umani che ha lavorato su tanti casi, cosa dice loro?
N.P.: Laquestione dell’impatto sulle vittime è molto importante. Nessuno sembra affrontarla appieno. Ho fatto l’avvocata per 30 anni difendendo, pro bono, attivisti per i diritti umani e oppositori dell’apartheid… Mentre combattevamo ogni giorno su diverse questioni relative all’apartheid, ho vissuto molti momenti difficili. Non avrei mai immaginato che ci sarebbe stato un tale cambiamento nel mio Paese durante la mia vita.
Ma i cambiamenti avvengono e il motivo principale è che la società civile ritiene inaccettabili le vestigia del colonialismo e dell’occupazione. Ecco cosa dico ai palestinesi. Spero che si ispirino, come abbiamo fatto noi, al sostegno collettivo della comunità internazionale, sia degli Stati che degli attivisti di tutto il mondo. Questo ci ha davvero fatto andare avanti. Sapevamo di dover combattere le nostre battaglie e di non doverci mai arrendere.
E ora, dopo tutte le critiche ingiuriose che abbiamo ricevuto [come COI], perché sono ancora in piedi e sento di essere su un terreno morale più alto? Grazie al sostegno globale a ciò che stiamo dicendo e al sostegno globale alla lotta palestinese per l’autodeterminazione.
Navi Pillay è nata nel 1941 in Sudafrica. Nel 1967 è stata la prima donna ad avviare uno studio legale nella sua provincia d’origine, il Natal. Ha lavorato come avvocato difensore degli attivisti anti-apartheid, denunciando le torture e contribuendo a stabilire diritti fondamentali per i prigionieri di Robben Island. Pillay è stata nominata giudice ad interim dell’Alta Corte Sudafricana dopo la fine dell’apartheid nel 1995. È stata eletta giudice del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (ICTR) dal 1999 al 2003 e ne è stata presidente negli ultimi quattro anni. Ha svolto un ruolo fondamentale nella giurisprudenza innovativa dell’ICTR sullo stupro come genocidio. Nel 2003 è stata nominata giudice della Corte Penale Internazionale dell’Aia e dal 2008 al 2014 è stata Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Pillay ha conseguito un BA e un LLB presso l’Università di Natal in Sudafrica e un dottorato in Scienze giuridiche presso l’Università di Harvard.
Ibtisam Azem è scrittrice e corrispondente senior. Da dieci anni si occupa di ONU. Il suo ultimo romanzo è Il libro della scomparsa. Twitter: @IbtisamAzem
https://www.newarab.com/analysis/interview-navi-pillay-chair-unhrcs-palestine-inquiry
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
.