Riappropriarsi della storia

di Hamdan Taha,

This Week in Palestine, #291 luglio 2022. 

L’istituzione del Dipartimento Palestinese delle Antichità nel 1994 è stato un evento epocale, in quanto ha inaugurato la rinascita del Dipartimento delle Antichità, istituito nel 1920, che era stato sciolto a causa della Nakba. Questo ha segnato una riappropriazione ufficiale della storia.

Rivitalizzare l’archeologia palestinese, 1994: installazione della segnaletica al Palazzo di Hisham, Gerico.

Secondo gli accordi di Oslo del 1993, ai palestinesi è stato dato il controllo di diversi settori amministrativi, tra cui l’archeologia, nelle aree designate come A e B. C’era l’intesa che le responsabilità nell’Area C [sotto il totale controllo israeliano] sarebbero state trasferite gradualmente ai palestinesi entro il maggio 1999. Ma questo calendario concordato non è mai stato rispettato da Israele. In assenza di un accordo di pace definitivo, Israele rimane un occupante militare nei territori palestinesi, con responsabilità stabilite dalla legge. Operando in una situazione di occupazione, l’archeologia in Palestina è stata, e in parte rimane, un’arena di lotta tra due narrazioni in competizione: una narrazione palestinese indigena e la narrazione coloniale del sionismo. Predominante ormai da decenni, la narrazione israeliana tende a dare la priorità assoluta al patrimonio ebraico in Palestina e a negare e sopprimere la storia non ebraica e araba della Palestina. L’archeologia coloniale biblica ha utilizzato i suoi risultati per creare un passato mitico del progetto coloniale sionista in Palestina, che è stato usato per impadronirsi del territorio palestinese, espellere i palestinesi dalle loro terre e proprietà e creare una falsa storia degli ebrei come vittime in questa regione. Ma poiché le aree palestinesi sono territori occupati e come tali soggetti al diritto umanitario internazionale, la Conferenza Internazionale sull’Archeologia del Vicino Oriente, tenutasi a Roma nel 1998, ha affermato il proprio impegno nei confronti della Carta dell’UNESCO che, riguardo agli scavi nei territori occupati, stabilisce che alla potenza occupante è vietato condurre scavi archeologici in tali territori.

A partire dall’agosto 1994, sono stato direttore del Dipartimento delle Antichità e ho guidato la gestione del passaggio di consegne degli uffici che fino a quel momento facevano parte dell’Amministrazione Civile israeliana. C’erano solo poche persone che lavorava in una manciata di uffici; in precedenza, la loro principale responsabilità era stata quella di seguire le questioni relative alle licenze e di fungere da base operativa per il funzionario israeliano per le antichità. Il dipartimento ha dovuto superare la connotazione negativa che l’archeologia aveva tra i palestinesi, che associavano il suo lavoro all’occupazione, in quanto Israele aveva usato le antichità come pretesto per confiscare terre a scopo di insediamento. Molti insediamenti infatti sono stati fondati sulla base di campagne di scavo archeologico, come Khirbet Siloun, Mount Gerizim, Tell Rumeida e altri.

La nuova era dell’archeologia formale in Palestina iniziò con un’équipe piccola ma dedicata ed entusiasta che lavorava in un ufficio sul campo vicino alle rovine dell’antico Palazzo di Hisham a Gerico. Nonostante le sue risorse minime, il dipartimento si considerava un’estensione naturale del Dipartimento delle Antichità dell’epoca del Mandato, che aveva cessato di esistere nel 1948. Il dipartimento mirava a promuovere una comprensione moderna del patrimonio culturale in Palestina. La situazione dopo Oslo ha permesso ai palestinesi di scrivere la storia della Palestina basandosi sulle sue fonti primarie, un privilegio precedentemente riservato agli archeologi stranieri e israeliani. Le attività sul campo sono iniziate in un piccolo sito di Gerico, noto come Jiser Abu Ghabush, sotto il sole cocente di agosto. L’équipe si è sentita finalmente autorizzata a gestire i propri siti archeologici e a scrivere il proprio passato.

Poiché la visione fondante del dipartimento enfatizzava l’archeologia come impresa scientifica, le sue responsabilità comprendevano la formulazione di nuove leggi, la formazione del personale per gli scavi di recupero, la lotta contro il saccheggio dei siti archeologici e il commercio illecito di antichità e la creazione di un settore museale. Con l’obiettivo di salvaguardare l’integrità dei diversi aspetti e strati del patrimonio culturale, il dipartimento ha riconosciuto l’importanza delle antichità come parte integrante della nostra identità culturale nazionale e come fonte di sviluppo sostenibile.

La nuova situazione dopo l’Interim Agreement ha permesso ai palestinesi di scrivere la storia della Palestina sulla base delle sue fonti primarie, un privilegio fino a poco tempo fa riservato agli archeologi stranieri e israeliani. Oggi gli archeologi palestinesi cercano di impegnarsi in un nuovo paradigma di cooperazione post-coloniale, nonostante gli ostacoli posti dall’occupazione.

Il neonato dipartimento si è impegnato nel primo ambizioso progetto con scavi archeologici presso il Grande Tunnel dell’Acqua a Khirbet Balama, a sud di Jenin, accanto a un grande gruppo di tombe di varie epoche. È stato recuperato un antico sistema idrico che aveva fornito agli abitanti della città di Jenin l’accesso all’acqua sorgiva alla base del tumulo e che era stato progettato principalmente per essere utilizzato in tempi di guerra e assedio. Il tunnel idrico è uno dei cinque grandi sistemi idrici costruiti a partire dall’età del bronzo e del ferro in Palestina che sono stati scoperti finora. Questi grandi sistemi idrici esistevano anche a Gerusalemme, Abu Shushe (Gezer), El-Jib (Gebion) e Tell el-Mutesselim (Megiddo); erano generalmente collegati ai principali centri urbani e riflettono una sofisticata conoscenza dei principi ingegneristici.

Il sistema di tunnel idrici di Khirbet Bal’ama.

Una delle scoperte più importanti nelle tombe adiacenti è stata la collezione di monete d’argento di Qabatiya. La collezione comprende monete provenienti da otto Paesi europei e dimostra le ampie relazioni culturali e commerciali che esistevano tra la Palestina e l’Europa durante il periodo ottomano.

Nei nostri progetti successivi, abbiamo dato priorità alla pulizia di un centinaio di siti archeologici e alla valorizzazione di siti che erano stati scavati e abbandonati da precedenti missioni archeologiche che avevano trasferito materiali archeologici e archivi di scavo a vari musei europei e americani. Il lavoro di rivalutazione di questi siti archeologici non solo mirava a interpretare le prove archeologiche in modo oggettivo, ma anche a riabilitare questi siti come parchi archeologici, come a Tell es-Sultan, vicino a Gerico, che era abitato da cacciatori-raccoglitori Natufiani 10.000 anni fa. Il sito è rimasto in uso per tutto il Neolitico preceramico, il Neolitico ceramico, l’età del bronzo e del ferro, fino a quando è stato abbandonato nel VI secolo a.C., dopo essere stato distrutto durante l’invasione persiana.

La nuova situazione ha permesso al dipartimento di impegnarsi sempre più in un nuovo paradigma di cooperazione post-coloniale. Sebbene la Palestina sia ancora sotto occupazione, i permessi di scavo sono stati sostituiti da protocolli d’intesa che riflettono l’uguaglianza e il rispetto reciproco, ed è stato abolito il principio coloniale dell’appropriazione dei materiali archeologici. Mentre le precedenti ricerche bibliche in Palestina miravano generalmente a confermare la storicità dei racconti biblici come modo per giustificare le rivendicazioni coloniali sioniste –e minare la storia palestinese– le nuove ricerche sono motivate dallo studio dell’ampio spettro di culture del passato. I risultati di questi scavi congiunti sono stati interpretati con parametri scientifici oggettivi piuttosto che per scopi ideologici e politici e mirano a scrivere una narrazione inclusiva della storia piuttosto che una narrazione esclusiva sionista.

Il Prof. Paolo Matthiae dell’Università di Roma La Sapienza è stato il primo a proporre scavi congiunti a Tell es-Sultan a Gerico. Seguirono presto scavi congiunti con l’Università di Leiden, nei Paesi Bassi, a Khirbet Bal’ama (Jenin) e a Tell Balata (Nablus). Tell Balata presenta un centro urbano cananeo identificato con l’antica Shikmu (Sichem). Il sito fu abitato già 6.000 anni fa e raggiunse il suo apice nella media età del bronzo. Il tell è stato scavato da diverse spedizioni archeologiche nel corso del secolo scorso, ma il sito è stato lasciato incustodito durante l’occupazione israeliana. Il progetto ha riguardato principalmente la riabilitazione del sito archeologico trascurato e lo ha trasformato in un moderno parco archeologico, dotandolo di un centro di interpretazione, di segnaletica, di percorsi pedonali e di opuscoli a beneficio della comunità locale e dei visitatori stranieri.

Tell Balata, Nablus. Foto per gentile concessione dell’Assemblea Palestinese per la Fotografia e l’Esplorazione.

Gli scavi franco-palestinesi hanno avuto luogo a Tell al-Blakhiya, a Gaza, identificata con l’antica città portuale di Anthedon e menzionata nel periodo islamico con il nome di Tida. Qui sono stati rinvenuti resti archeologici risalenti all’età del ferro e ai periodi persiano, ellenistico, romano, bizantino e islamico. La città fu abitata dal IX secolo a.C. all’XI secolo d.C.. Sempre a Gaza, un insediamento umano a Tell Um Amer, vicino al villaggio di Al-Nuseirat, fu fondato in epoca romana lungo il Wadi Gaza, vicino alla riva del mare. Appare sulla mappa di Madaba del VI secolo con il nome di Tabatha. Il sito contiene le rovine del monastero di Sant’Ilarione (nato nel 291 d.C.), fondatore della vita monastica a Gaza. Il monastero comprende due chiese, un luogo di sepoltura, una sala per il battesimo e sale da pranzo; i suoi pavimenti sono decorati con mosaici colorati che presentano scene di piante e animali. Tell es-Sakan a Gaza, situata sulla sponda meridionale del Wadi Gaza, è una città cananea dell’inizio dell’Età del Bronzo che era un importante forte sull’antica via per l’Egitto e l’Arabia.

Gli scavi palestinesi-norvegesi a Tell al-Mafjar, sulla sponda settentrionale del Wadi Nueima vicino a Gerico, hanno recuperato un importante insediamento calcolitico che arricchisce la storia culturale di Gerico. È stato recuperato un ricco insieme di utensili e vasi in pietra, vasellame, statuette di animali in terracotta e ossa di animali, che indicano un insediamento agricolo. Gli scavi russo-palestinesi nel sito di Sycamore Tree a Gerico hanno rivelato un’importante area di occupazione umana che dal V all’inizio dell’VIII secolo faceva parte del centro bizantino di Gerico.

A Khirbet al-Mafjar, nei pressi di Gerico, noto anche come Palazzo di Hisham, un antico palazzo islamico servì come stazione invernale degli Omayyadi (661-749). Il palazzo è composto da un edificio a due piani con torri angolari, un bagno termale, una moschea e una fontana monumentale. Rappresenta un esempio spettacolare della prima architettura araba, con i suoi ricchi mosaici, le decorazioni a stucco e la scultura di alta qualità. Il palazzo è attribuito al califfo Hisham Ibn Abd el-Malik (724-743), sulla base di testimonianze epigrafiche. Il Palazzo di Hisham fu distrutto da un grave terremoto nel 748-749. Qui, il dottor Dimitri Baramki aveva interrotto gli scavi in corso a causa dei turbolenti eventi che avevano preceduto la Nakba del 1948. Mi batteva il cuore quando ho letto nella sua tesi (1953) la seguente frase: “Che le circostanze future permettano a qualche volenteroso di portare a termine il compito”. Ho iniziato gli scavi nel 2006 e ho portato a termine “il compito” tra il 2012 e il 2015, insieme a Don Whitcomb, lavorando nell’area adiacente al bagno omayyade e nell’area settentrionale per esporre gli aspetti del palazzo di epoca abbaside (750-1258). Gli scavi palestinesi-americani hanno recuperato la porta settentrionale del palazzo omayyade e hanno esplorato l’insediamento settentrionale che comprende un recinto con opere murarie di pregio e un grande torchio per l’uva contemporaneo al palazzo omayyade. I resti abbasidi nell’area settentrionale contengono un insediamento murato, una moschea, un’unità residenziale e una stalla, a indicare che la tenuta agricola continuò a funzionare in un periodo successivo.

Sebastiya. Foto di Firas Jarrar.

Sono ripresi anche i lavori nei siti precedentemente scavati a Sebastiya, un importante centro urbano dall’età del ferro all’epoca ellenistica e romana. Gli scavi condotti dall’Università di Harvard tra il 1908 e il 1910 sotto la direzione di G. Reisner e C. Fisher e la spedizione congiunta tra il 1931 e il 1935 sotto la direzione di J. Crowfoot hanno rivelato una parte sostanziale della città, tra cui le mura, una strada colonnata, una basilica, templi e un teatro. I nuovi scavi si sono concentrati sulla riabilitazione del sito come parco archeologico, anche se la parte occidentale del sito è ancora nell’Area C. Inoltre, sono state effettuate esplorazioni archeologiche nel sito di Haram er-Rameh, identificato con l’antica Mamre, all’ingresso meridionale della città di Hebron, oltre a numerosi altri lavori di riabilitazione in vari altri siti oggi visitabili.

Il Dipartimento delle Antichità ha documentato l’incresciosa e deliberata distruzione del patrimonio culturale, in particolare a Gerusalemme, Hebron e Nablus, a partire dall’occupazione del 1967, che ha costituito un’estensione dello sfollamento e della distruzione nel 1948 di oltre 600 villaggi palestinesi, con tutto il loro patrimonio. Abbiamo anche documentato i danni inflitti ai siti archeologici e agli edifici storici durante i successivi assalti israeliani a Gaza.

Battir. Foto per gentile concessione di everything-everywhere.com.

Una sfida importante che il dipartimento ha affrontato è la minaccia causata dagli insediamenti israeliani costruiti nei territori palestinesi dal 1967, che controllano più del 50% delle risorse culturali in Cisgiordania e a Gaza. Un altro problema significativo è la minaccia posta al patrimonio archeologico dal muro di separazione di Israele, comprese le parti costruite a Gerusalemme e dintorni. Il muro separa le persone dalla loro terra e dalla loro storia e ha un impatto devastante sui siti archeologici e sul paesaggio culturale.

Nel 2005, la Palestina ha iniziato a redigere una lista provvisoria dei siti del patrimonio mondiale in Palestina, compresi venti siti del patrimonio culturale e naturale. Alla Conferenza sul Patrimonio Mondiale del 2010 in Brasile, la delegazione palestinese ha rifiutato di sedersi finché il suo posto non fosse stato contrassegnato da una targa con il nome della Palestina, come avviene per le delegazioni di altri Paesi. Il riconoscimento della Palestina da parte dell’UNESCO nel 2011 è stato il frutto di una lunga lotta. Ha rappresentato il primo riconoscimento culturale internazionale ufficiale e ha avviato il processo di rettifica di parte dell’ingiustizia storica che ha colpito il popolo palestinese. Ha inoltre permesso l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale dei siti di Betlemme nel 2012, del paesaggio culturale di Battir nel 2014 e della città vecchia di Hebron nel 2017. Nel frattempo, un dossier di candidatura per Tell es-Sultan è stato presentato al Comitato del Patrimonio Mondiale.

La Palestina ha ottenuto l’adesione a organizzazioni regionali come ALECSO e ISESCO nel 1970 e negli anni Ottanta. Nel 2011 la Palestina è diventata membro a pieno titolo dell’UNESCO. Tuttavia, l’impegno internazionale in Palestina ha assunto la forma di una gestione della crisi, piuttosto che offrire soluzioni concrete al problema dell’occupazione. Sebbene la terra possa essere divisa per ragioni politiche, la storia è indivisibile, il che significa che la Palestina rimarrà la patria fisica e morale dei palestinesi.

Archeologia comunitaria a Tell Balata.

Poiché il ruolo dell’archeologia è quello di ricostruire il passato per costruire il futuro, i palestinesi stanno ora contribuendo agli sforzi per scrivere una narrazione inclusiva della loro storia, attingendo a fonti primarie che incorporano le voci di tutti i popoli, gruppi, culture e religioni che hanno vissuto sulla terra di Palestina – in netto contrasto con la fantasia esclusiva avanzata dalla narrazione coloniale del sionismo. È per me fonte di ispirazione quanto scritto da Dimitri Baramki in The Art and Architecture of Ancient Palestine (1969, p. 239), secondo cui tutte le prove archeologiche e storiche dimostrano che la Palestina è stata abitata da molti popoli, dai primi tempi dell’Homo sapiens fino al XX secolo, e che nel corso di questa storia –anche se segnata da molte guerre, invasioni e conversioni politiche e religiose– la popolazione indigena non è mai stata eliminata. I palestinesi hanno sempre resistito. Questo fatto ci dà speranza nella nostra lotta per la liberazione dall’occupazione coloniale di Israele e dal regime di apartheid instaurato nella terra di Palestina.

Hamdan Taha è un ricercatore indipendente ed ex vice ministro del Ministero del Turismo e delle Antichità. È stato direttore generale del Dipartimento delle Antichità e del Patrimonio Culturale dal 1995 al 2013. È autore di una serie di libri e di numerosi rapporti sul campo e articoli scientifici.

https://thisweekinpalestine.com/reclaiming-history/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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