Pogrom, IDF e palestinesi: come l’esercito israeliano sta dissacrando il suo codice morale

Ott 30, 2022 | Notizie, Riflessioni

di Yonatan Touval,

Haaretz, 27 ottobre 2022. 

Gli attacchi dei coloni contro i palestinesi sono in aumento, ma la risposta letargica dell’IDF, che tende al tacito consenso, non è solo una violazione del diritto israeliano e internazionale. È anche un terribile svilimento della storia ebraica.

Coloni israeliani sparano contro i palestinesi (fuori campo) mentre un soldato israeliano resta a guardare, durante gli scontri nella città cisgiordana di Huwara questo mese.OREN ZIV – AFP

L’occupazione militare israeliana della Cisgiordania si trova in una fase pericolosa. L’IDF (Esercito Israeliano) è sotto esame per il crescente numero di civili palestinesi uccisi, la maggior parte dei quali è il risultato di sparatorie da parte di soldati israeliani, mentre altri sono dovuti a brutali maltrattamenti o a puro terrore emotivo, come la morte di un 78enne palestinese-americano o di un bambino di sette anni il mese scorso.

L’IDF sta perdendo anche la capacità, e forse la volontà, di prevenire gli attacchi violenti dei coloni ebrei contro i palestinesi.

Solo nell’arco di 10 giorni di quest’ultimo mese, i coloni avrebbero commesso circa 100 crimini nazionalistici contro i palestinesi della Cisgiordania. Il numero di attacchi è di per sé impressionante (una media di 10 al giorno). Tuttavia, altre due circostanze rendono questo sviluppo particolarmente preoccupante.

In primo luogo, gli attacchi non sono più perpetrati dai soliti sospetti: i gruppi marginali di coloni più giovani, comunemente noti come “giovani delle colline“. Sebbene questi estremisti violenti siano i principali istigatori degli attacchi, a loro si uniscono adulti più anziani, donne e bambini. In altre parole, provocare e attaccare i palestinesi è diventato un passatempo popolare comune, persino familiare, tra alcuni coloni della Cisgiordania.

In secondo luogo, e non meno preoccupante, le autorità di sicurezza israeliane sul campo – sia l’IDF che la polizia – stanno facendo poco, spesso nulla, per prevenire questi attacchi.

Tale inazione è il risultato di diversi fattori, tra cui il numero crescente di coloni all’interno delle truppe dell’IDF – rappresentati specialmente dal battaglione ultraortodosso noto come Netzah Yehuda (“Giudea per sempre”), i cui membri sono responsabili di innumerevoli crimini di guerra, tra cui la morte del 78enne.

Ma c’è anche la timida, e troppo spesso silenziosa, risposta dei vertici dell’IDF, tra cui lo stesso Capo di Stato Maggiore Aviv Kochavi, che non interviene, né tantomeno esprime interesse pubblico, riguardo a molti di questi attacchi, dando così agli ufficiali dell’IDF sul campo, nello spirito se non nella lettera, libero sfogo all’azione che ritengono opportuna. Proprio la settimana scorsa, una guardia di sicurezza israeliana si è unita ai coloni ebrei mentre attaccavano i civili palestinesi.

La base della brigata Netzach Yehuda fuori dall’insediamento ebraico di Beit El in Cisgiordania.Emil Salman

Tale condotta solleva seri interrogativi sugli ordini – o meglio, sulla loro mancanza – che i soldati israeliani ricevono quando si trovano ad affrontare episodi di attacchi violenti da parte dei coloni contro i palestinesi. E mette in discussione il fatto che tutto dipenda dalle “regole d’ingaggio”, che per lungo tempo sono state il quadro entro cui venivano osservate le azioni dell’IDF in Cisgiordania.

In effetti, solo un mese fa l’amministrazione Biden ha fatto saltare i nervi a Israele quando ha annunciato che avrebbe “fatto pressione sui nostri partner israeliani affinché rivedessero attentamente le loro politiche e pratiche sulle regole di ingaggio”. La dichiarazione è arrivata un giorno dopo che l’IDF aveva pubblicato le conclusioni della sua indagine sull’uccisione, nel maggio del 2022, della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh, provocando una brusca reazione da parte della leadership israeliana.

Respingendo quella che ha definito una sgradita interferenza straniera, il ministro della Difesa Benny Gantz ha dichiarato che il capo di stato maggiore dell’esercito, “e solo lui, determina, e continuerà a determinare, le regole di ingaggio in conformità con le nostre esigenze operative e i valori dell’IDF”.

Solo che ora, a quanto pare, il problema non sono – o non solo – le regole d’ingaggio dell’IDF che dovrebbero essere riviste; è anche, e più urgentemente, la crescente tendenza al disimpegno dei suoi soldati: il disimpegno dal dovere, la loro negligenza di agire per prevenire danni ai Palestinesi sotto occupazione israeliana.

Un soldato israeliano cammina accanto a coloni ebrei mascherati che lanciano pietre durante gli scontri con i palestinesi.Credito: AP

Questa negligenza non è solo una violazione del diritto israeliano e internazionale. Costituisce un’orribile ironia per un esercito il cui ethos risiede nel trauma storico degli ebrei all’inizio del XX secolo. Non c’è bisogno di invocare l’Olocausto, riguardo al quale le ragioni culturali e politiche dell’indifferenza americana sono oggetto del recente documentario di Ken Burns. Infatti, se c’è un momento storico che segna una svolta radicale nel rapporto degli ebrei con le armi, questo è stato proprio il pogrom nella città di Kishinev nell’aprile del 1903.

Il più famoso di una serie di pogrom che ebbero luogo nell’Impero russo durante il primo decennio del XX secolo, il bagno di sangue di Kishinev inviò onde d’urto in tutto il mondo ebraico e oltre. Ma lo shock non fu solo per la brutalità delle atrocità; fu anche per l’impotenza degli ebrei nelle mani dei pogromisti e per il ruolo complice delle autorità russe.

Fu questo shock che Haim Nachman Bialik catturò con forza in “Nella città del massacro”, un poema epico che è stato un catalizzatore per l’emergere, per la prima volta nell’era moderna, di gruppi ebraici organizzati di vigilanza che andavano sotto il nome di “autodifesa” (in yiddish, zelbstshuts).

In effetti, l’emergere di questi gruppi di polizia sta alle origini di formazioni simili in Palestina negli anni successivi – prima il piccolo gruppo Bar Giora, che operò dal 1907 al 1909, e poi HaShomer, che operò dal 1909 al 1920. Trapiantati nella realtà politica della Palestina, essi mantennero lo spirito di “autodifesa”, adattando la loro missione dalla difesa degli shtetl [insediamenti] ebraici contro i pogromisti alla difesa degli insediamenti ebraici di recente creazione da –almeno inizialmente– ladri e saccheggiatori arabo-palestinesi.

Membri di HaShomer, un gruppo di autodifesa ebraico, a Kfar Giladi. HaShomer fu attivo tra il 1909 e il 1920. Credit: UNKNOWN

In quegli anni fu chiaro ai leader dell’Yishuv [popolazione ebraica antica] che, indipendentemente dal fatto che fossero gli Ottomani o gli inglesi a comandare, gli ebrei in Palestina erano da soli. Questa consapevolezza alimentò l’etica di autodifesa dell’Haganah (in ebraico “Difesa”), l’organizzazione succeduta all’HaShomer e la principale forza armata dell’Yishuv dal 1920 fino alla creazione dell’IDF nel 1948.

Nel corso degli anni, l’etica dell’autodifesa è stata articolata con la frase spesso usata “difendersi da soli”, un tropo che i leader israeliani affermano regolarmente e che il più stretto alleato di Israele doverosamente riecheggia.

“Il primo e fondamentale principio di sicurezza di Israele è che Israele deve avere i mezzi per difendersi da solo. L’autosufficienza è sempre stata al centro dell’identità nazionale israeliana e dell’ethos delle Forze di Difesa Israeliane”, ha affermato eloquentemente un deputato statunitense durante un’audizione alla Camera dei Rappresentanti qualche anno fa. I legislatori israeliani, che forse hanno letto Bialik ma non certo Ralph Waldo Emerson, non avrebbero potuto esprimersi meglio.

Eppure, se il potere militare ebraico e israeliano ha avuto successo nell’affrontare la sfida di difendere le vite degli ebrei nell’Yishuv e, successivamente, nello Stato, ha avuto meno successo nel prevenire la violenza contro i non ebrei, e in particolare i palestinesi, che vivono sotto il suo controllo militare.

Il caso più orribile in cui l’IDF ha chiuso un occhio sugli attacchi contro i palestinesi non è stato in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza, ma in Libano. Il fatto che il massacro del settembre 1982 dei civili palestinesi nei campi di Sabra e Shatila a Beirut, compiuto dai miliziani falangisti cristiani, sia avvenuto sotto la sorveglianza dell’IDF, è una macchia indelebile sulla fedina morale dell’IDF e, più specificamente, del ministro della Difesa dell’epoca, Ariel Sharon.

Due donne palestinesi piangono sul marciapiede di una strada nel campo profughi palestinese di Sabra, a Beirut Ovest, in Libano, dopo aver trovato i corpi dei loro parenti uccisi da una milizia falangista cristiana sotto lo sguardo dell’IDF.ASSOCIATED PRESS

Ma questa orribile distrazione (o supervisione, a seconda della versione dei fatti) non è stata un’esclusiva dell’IDF. L’esercito olandese, nel suo ruolo di forza di pace dell’ONU, è stato responsabile di una calamità analoga, quando è rimasto a guardare mentre i serbi massacravano i musulmani bosniaci nel massacro di Srebrenica del 1995.

Certo, quello che sta accadendo ora in Cisgiordania non è un massacro. Inoltre, gli attacchi quotidiani contro i civili palestinesi non riflettono, nel complesso, lo spirito della leadership politica. Nel 1982, il leader etno-nazionalista del Likud e Primo Ministro Menachem Begin ha notoriamente liquidato il clamore suscitato dall’accusa di un ruolo dell’IDF nel massacro di Sabra e Shatila con un lapidario: “I goyim [gentili, non ebrei] hanno ucciso i goyim, e ora accusano noi”.

Il Primo Ministro Yair Lapid e il Ministro della Difesa Gantz, al contrario, sono forse più sinceramente angosciati dalla violenza. L’unico problema è che sono politicamente impotenti a denunciarla e tanto meno ad agire per fermarla.

In un certo senso, nulla di tutto ciò è veramente nuovo. È stata la storia dell’occupazione fin dall’inizio. Israele stesso lo ha riconosciuto formalmente nel corso degli anni, come, ad esempio, nel Rapporto Karp del 1984, in cui un gruppo di giuristi israeliani, guidati dal vice procuratore generale del Paese, descriveva l’incapacità della polizia israeliana di proteggere i palestinesi dai crimini dei coloni ebrei, compresa la violenza esplicita, nei territori occupati.

Tuttavia, questi fallimenti non sono più solo un modello, ma la struttura della vita quotidiana in Cisgiordania. Peggio ancora, in troppi casi il chiudere un occhio dell’IDF viene interpretato dai coloni come un sinistro ammiccamento. Volontariamente, l’esercito israeliano sta dissacrando la memoria delle vittime ebree nel mattatoio d’Europa. E sta minando le basi storiche e culturali su cui è nato il moderno potere militare ebraico.

Yonatan Touval è analista senior di politica estera presso Mitvim: Istituto Israeliano per le Politiche Estere Regionali. Twitter: @Yonatan_Touval

https://www.haaretz.com/israel-news/2022-10-27/ty-article-opinion/.highlight/pogroms-the-idf-and-palestinians-how-israels-military-is-desecrating-its-moral-code/00000184-14c8-de18-a7df-17fecb4e0000

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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1 commento

  1. Sebastiano Comis

    Scritto dopo l’uccisione durante la marcia del venerdì del palestinese in carrozzella per avere perso le gambe in un bombardamento su Gaza.

    L’armata più morale
    del mondo spara in testa,
    dove fa meno male,
    a chi incita e protesta
    e specie a chi le gambe
    avendo perso entrambe
    in un diverso inferno
    è un bersaglio più fermo.

    Rispondi

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