Questa non è una vibrante democrazia

Ott 29, 2022 | Notizie, Riflessioni

di Hagai El-Ad,

B’Tselem, 28 ottobre 2022. 

Mentre gli israeliani si stanno preparando per le quinte elezioni generali in meno di quattro anni, che si terranno martedì prossimo, molti sono preoccupati per la frequenza con cui ci rechiamo alle urne. Tuttavia, l’effettivo significato del voto sembra essere oggetto di un ampio consenso: le elezioni in Israele sono una celebrazione della democrazia e offrono a tutte le persone che vivono qui un’uguale opportunità di partecipare liberamente al processo politico, di decidere chi deve ottenere un seggio in Parlamento e nel Governo (se emergerà una coalizione) e di determinare le politiche che modellano le nostre vite, almeno fino alle prossime elezioni.

Ma è davvero così?

Nel gennaio 2021, B’Tselem ha pubblicato un documento che analizza come l’intera area tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo sia governata da un unico regime incentrato su un unico obiettivo: promuovere e consolidare la supremazia ebraica attraverso leggi, pratiche e violenza organizzata. Il documento illustra le caratteristiche chiave che rendono questo regime un regime di apartheid. In vista delle prossime elezioni, pubblichiamo un nuovo documento di posizione che si concentra su uno di questi aspetti: il diritto alla partecipazione politica e il modo in cui il regime organizza o nega questa partecipazione ai diversi segmenti della popolazione sotto il suo controllo.

Circa la metà delle persone che vivono in questa intera area sono ebrei-israeliani, e l’altra metà palestinesi. Il regime annulla la parità demografica esistente frammentando i palestinesi in sottogruppi e sottoponendoli a un diverso grado di oppressione. Questo gli permette di consolidare il monopolio ebraico-israeliano sul potere politico, raccogliendo i benefici dell’immagine democratica che le elezioni generali propongono.

Di seguito i punti chiave del documento, pubblicato oggi come inserto nell’edizione ebraica di Haaretz.

 Gli ebrei-israeliani possono esercitare pienamente i loro diritti politici, ovunque vivano, che sia a Tel Aviv o in un insediamento della Cisgiordania, e votare legalmente vicino a casa.

Per i palestinesi, è vero il contrario. In nessun luogo tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo possono esercitare pienamente i loro diritti politici. Milioni di persone a Gaza e in Cisgiordania sono private dei loro diritti e trattate come semplici sudditi, esclusi dal sistema politico che gestisce le loro vite. Israele sostiene che i Palestinesi hanno sistemi politici indipendenti: l’Autorità Palestinese in Cisgiordania e Hamas a Gaza. Tuttavia, questa propaganda è molto lontana dalla realtà e oscura il fatto che il regime israeliano controlla la vita di tutti i palestinesi nell’intera area.

I cittadini palestinesi di Israele possono votare e candidarsi, ma la loro rappresentanza è limitata e mai uguale a quella degli ebrei. Il Regime Militare, che è stato imposto ai cittadini palestinesi di Israele fino al 1966 e che ha limitato la loro attività politica, ha dato il via all’opinione diffusa oggi che le risoluzioni della Knesset sono legittime solo se assicurano una “maggioranza ebraica”. Anche la rappresentanza politica palestinese è limitata dalla legge. La Sezione 7a della Legge Fondamentale viene regolarmente invocata per cercare di squalificare i candidati e le liste palestinesi in corsa per il Parlamento, con la motivazione che la loro lotta per la piena uguaglianza nega l’esistenza di Israele come Stato ebraico. Nella democrazia ebraica israeliana, combattere con mezzi democratici per il più basilare dei principi democratici – l’uguaglianza – è proibito.

Spero che la lettura dell’intero documento [tradotto qui sotto] faccia riflettere sul significato delle elezioni in Israele, nel passato, nel presente e nel futuro. Una cosa è certa: questa non è una democrazia da festeggiare.

Hagai El-Ad, Direttore esecutivo di B’Tselem

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